Tempo di lettura: 4 minutiLo storico Salvatore Coppola smentisce De Felice. Duce in Terra d’Otranto: fu un consenso di facciata.
I treni arrivavano in orario e le porte potevano restare aperte, ma bastano i luoghi comuni montati ad arte dalla propaganda per poter dire che il fascismo ebbe il consenso delle masse? Balilla e figli della lupa alle coreografiche parate, adunate a Piazza Venezia a sentire il capo carismatico sfatto, si sa oggi, dal sesso mordi e fuggi, e le cui parole erano rimbalzate nelle piazze dei paesi dalla radio, ma questa sociologia è sufficiente a concludere che il regime “fece” l’Italia e gli italiani (come lo intendeva D’Azeglio?). La materia è scivolosa quanto complessa, non fosse altro per il fatto che abbiamo alle spalle 60 anni di interpretazioni storiografiche più che lucide analisi delle dinamiche che portarono all’ascesa, l’affermazione e infine il crollo della dittatura. Per cui non è ozioso domandarsi se il regime ebbe un consenso popolare, tesi cara a Renzo De Felice, confutata però, fra gli altri, dallo storico britannico Denis Mack Smith. Dove propaganda e populismo si intrecciarono? E se consenso fu, di che natura? Convinta o estorta? (“Manganello, manganello / Che rischiari ogni cervello / Sarai tu sempre il suggello Che punisce la viltà”). Quand’è che si cominciò a “credere, obbedire, combattere” e lievitò l’humus dell’adesione che consentì la campagna dell’Etiopia e poi la Guerra di Spagna, sfilò le vere d’oro dalle mani delle donne italiane e debordò nell’orrore delle leggi razziali? Quando gli italiani “pecore anarchiche” (Montanelli) si identificarono nel partito e nel suo astuto, effervescente capo che per certi aspetti riuscì a far credere il fascismo una religione? “Siamo stanchi di due Dii e di due religioni, a noi basta un solo Dio e questi è Mussolini, una sola religione e questo è il fascismo”.