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I dolmen Chiancuse, Grassi, Peschio e Orfine di Giurdignano

Chiancuse, Grassi, Peschio, Orfine. Sono i nomi di alcuni dei dolmen che sorvegliano incessantemente le contrade rurali di Giurdignano. Solitari, silenziosi, pazienti. Sono stati eretti come tante sentinelle alle quali è stato assegnato un compito ancora oscuro, svelato solo per certi versi da supposizioni e congetture.

Alcuni di loro non sono stati in grado di contenere l’inesorabile avanzata del tempo che ne ha deturpato forma e prestigio. Altri si sono nascosti tra i rovi, mentre altri continuano ancora a mettere in bella mostra una vena di narcisismo. Tutti però ci chiamano per render loro una visita. Come rifiutarsi?

Accettiamo il loro invito. Percorriamo la Minervino-Giurdignano fino a ché una pietra megalitica posta sul lato destro della strada ci indica che siamo giunti nel Giardino Megalitico d’Italia. Ci armiamo di zaini e una buona vista, abbandoniamo l’auto e cominciamo ad abbracciare appieno la natura.

Lasciati alle spalle smog e clacson ci inoltriamo nella campagna giurdignanese.

Dolmen Peschio

Il primo a venirci incontro è il dolmen Peschio (identificato anche come il dolmen Paolo Niuri da Paolo Malagrinò). Ciò che ne rimane è la sola lastra orizzontale lunga all’incirca due metri e larga uno e mezzo, sollevata da terra per 70cm. Una serie di pietre sparse nelle immediate vicinanze, che potrebbero far parte del nucleo originario del megalite, si amalgamo e mimetizzano alla perfezione con un paesaggio bucolico, sgraziato solo da alcune abitazioni di recente costruzione e limitoni di mattoni di tufo. Scoperto da Maggiulli e Micalella nel 1910, ha un’apertura orientata a sud-ovest, in direzione del suo amico Orfine, che sembra quasi voler ricercare con lo “sguardo” e indicarcelo come prossima meta del nostro piccolo pellegrinaggio. Lo raggiungiamo dunque.

Dolmen Orfine

Parte della lastra di copertura e degli ortostati del dolmen Orfine sono riversi al suolo. Pezzi che è possibile ricomporre virtualmente nelle tre dimensioni osservando l’incisione del 1893 del Nicolucci, la quale riporta alla mente un’immagine molto simile alla descrizione del De Giorgi, che riteneva dovesse avere una lastra di copertura  di 2,3 x 1,45 metri.

Nello stesso anno Nicolucci immortalò con la sua arte un ulteriore dolmen, il Chiancuse, scoperto poco prima dal Maggiulli e successiva meta del nostro vagare. Dei sette ortostati che sorreggevano l’imponente lastra di copertura oggi non rimane più nulla. Il dolmen è completamente riverso al suolo dalla seconda metà del secolo scorso e, nonostante sia sottoposto a tutela, è completamente ricoperto da rovi che ne impediscono la vista.

Dolmen Chiancuse ricoperto dai rovi

Il 1893 si presenta come un anno fruttuoso per la ricerca del Maggiulli, ai già citati “cimeli” recuperati dall’oblio storico e riconsegnati al presente se ne aggiunte un altro, o forse due? I(l) dolmen Grassi.

Dolmen Grassi

Caso emblematico o forse pura casualità. Il dolmen sembrerebbe in realtà costituito da due strutture contrapposte, sorrette in totale da 17 ortostati, con una coppella parallelepipeda in pietra nell’intermezzo, utilizzata per quale rituale legato all’acqua? Canaline e coppelle sono evidenti su una delle due lastre, con un rimando al vicino dolmen stabile. Il suo aspetto lo rende paragonabile per similutine, anche se non per dimensioni, al dolmen San Silvestro di Giovinazzo (Bari)

Il sole tramonta alle nostre spalle. Lasciamo riposare questi giganti del tempo. Torniamo a casa soddisfatti del viaggio.

Marco Piccinni

SITOGRAFIA:

Le incisioni d’epoce e i dettagli tecnici sono tratti dal link:  http://www.pinodenuzzo.com/pietre/Giurdignano.htm


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