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Da Tricase agli USA: Pupazza on the world

TRICASE (Le) – La scelta della data al check-in non è stata un caso: 12 ottobre. Un sacco simbolica. La Pupazza (alias Eleonora De Giuseppe da Tricase, Capo di Leuca) alla “scoperta” dell’America.
E’ cominciata infatti l’avventura negli USA del mito della frontiera di una delle artiste più moderne, innovative, dentro al cuore del nostro tempo, del III Millennio (un’artista-cult), dopo 5 anni molto intensi a Milano, “mi hanno dato tanto, ma ho anche dato molto…”, sorrideva giorni fa un pò stressata, alle prese con l’appartamento e il furgone colorato da lasciare.

Tutte le partenze sono faticose come un brainstorming, ma anche lo snodo, l’inizio eccitante di una nuova vita.

Con una punta di ironia si potrebbe dire che ormai in Italia (da Terra d’Otranto a Roma e a Milano, ecc.) non ci sono più spazi da affrescare per i suoi murales, offrire al mondo, agli uomini. Non resta allora che osare nuovi orizzonti.

Ma come nasce il soprannome? Glielo ha dato un bambino che un pomeriggio la incontrò nell’intarsio delizioso del centro storico di Tricase, vaporosa, truccata, stivaloni, ed esclamò: “Mi pari una pupazza!”. Le piacque, lo fece suo, se lo cucì addosso.

Tra sogno, favola e magia, il suo immaginario di bolle e occhi presto avvolgerà anche gli USA: magari l’area delle Twin Towers, Manhattan, la 17ma, forse la Trump Tower…

Dopo un breve periodo a Boston, la Pupazza prenderà casa a New York, e la gente vedrà sfrecciare il suo camion colorato per le vie, ai semafori, nei quartieri, ecc. In cerca degli angoli più nascosti della Grande Mela, dove far convergere l’attenzione della gente in un tempo virale in cui siamo tutti distratti e iperattivi, commessi con i social, ma sconnessi con noi stessi.

Le sue “bolle” sono un invito a cercare la leggerezza del vivere, perchè “del doman non v’è certezza…”, gli “occhi” invece ci inducono a vedere la bellezza sfregiata, il paesaggio violentato, le macerie della nostra anima in un’epoca quasi da cupio dissolvi.

Bolle e occhi: due password per tentare di capire l’Universo e noi stessi, i calcinati silenzi dell’animo (di lei si occupò anche il “Corriere della Sera”).

Poi magari “scoprirà” anche l’Asia dai colori folli (India, Cina, Giappone), l’Africa sensuale, l’Oriente misterioso delle Mille e una Notte, il Nordeuropa con le sue fiabe, ecc., contaminando e rafforzando i codici estetici della sua arte global/local (dal particolare all’universale, e viceversa), la sua poesis, la visione del mondo, l’uomo, il mistero.

Eleonora de giuseppe, la pupazza

A cui, se vogliamo trovare un background – posto che sia possibile frugare con impudenza nello sguardo e nel cuore di un artista sperando di coglierne l’intimità maieutica – non si può che andare con la memoria alle pitture murali delle Grotte dei Cervi di Badisco (la Cappella Sistina del Neolitico), le mani, gli animali, le divinità. E poi all’arte di Diego Rivera (il marito di Frida Khalo), Kandinskj, Jackson Pollock, Andy Warhol…

Sospesa fra il barocco denso di messaggi e i colori, odori, profumi del Mediterraneo e della sua salsedine.
Pop-art, street-art, professor-art (Marian Allemand), graffitari metropolitani: cultura popolare e riflessioni metafisiche.

E l’inglese? “Me la caverò…”, sorride la Pupazza, contenta di aver ricevuto interesse alla sua opera dalla Francia, dal Giappone, ecc.

Stay hungry, stay foolish e… good luck, Pupazza!

Francesco Greco


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