Home » Arte del Salento » La pala del giovane Tintoretto, a Tricase una testimonianza dei legami antichi tra Puglia e Venezia

La pala del giovane Tintoretto, a Tricase una testimonianza dei legami antichi tra Puglia e Venezia

Articolo giù pubblicato su “Terra di Leuca” – Aprile 2010, consultabile in line a questo link

di Nuccia Barbone *

La chiesa dei Cappuccini di Tricase custodisce sull’altare maggiore un dipinto su tela che raffigura l’ “Incontro di Cristo con la Veronica sul Calvario”. Assegnato dagli studiosi locali ad Oronzo Letizia, è stato restituito da chi scrive a Domenico Tintoretto (1560-1635) figlio, discepolo e collaboratore di Jacopo Comin (questo era il vero nome di Jacopo Robusti detto il Tintoretto, come ha scoperto Miguel Falomir in occasione della mostra dedicata al grande pittore tenutasi a Madrid nel 2007).

Chiesa di San Antonio in Piazza dei Cappuccini

Domenico fu particolarmente apprezzato dai contemporanei per i ritratti nei quali elaborò un linguaggio in cui gli insegnamenti paterni si fondono agli stimoli provenienti dagli esempi dei bresciani e dei bergamaschi, producendo una intonazione sentimentale patetica e una ricercata caratterizzazione naturalistica. Il soggetto iconografico del dipinto tricasino è un tema molto caro alla religiosità francescana,  strettamente legato alla devozione del Christus patiens e, quindi, a quella della Via crucis, la cui propagazione fu opera soprattutto dei Francescani, custodi ufficiali dal 1342 dei Luoghi Sacri. Fulcro della  composizione è il Cristo, al centro in primo piano, chino sotto il peso della croce.
Inginocchiata davanti a lui è la Veronica che mostra il panno con cui si accinge ad asciugarne il viso; alle sue  spalle uno sgherro osserva attentamente la donna e a questa figura corrisponde, sul margine destro del   dipinto, rinserrando da questa parte la composizione, un altro armigero raffigurato di spalle.

Il corteo al seguito del Signore, arginato dalla croce, è capeggiato dai dolenti e da alcuni soldati. Sullo sfondo a sinistra, lungo il crinale del monte, si snoda il corteo che accompagna i due ladroni. Nel margine inferiore a destra è collocato lo stemma dei committenti. Affiora il riferimento a schemi compositivi di Jacopo: la pala di Tricase ricalca infatti lo svolgimento del corteo su due assi contrapposti della “Salita al Calvario” di Jacopo per l’Albergo della Scuola di San Rocco a Venezia e del dipinto di analogo soggetto della   collezione Buhrle di Zurigo, ritenuta opera di Jacopo con largo intervento di Domenico.

Committente della pala tricasina fu Stefano II Gallone (1601-1663), membro di quel potente casato che, grazie all’innata, viva vocazione per il commercio, – soprattutto di olio alimentare e di olio “lampante” prodotto nel Salento e smerciato attraverso i porti di Tricase e di Otranto soprattutto a Venezia – da cui aveva tratto e traeva ingenti guadagni, aveva acquistato nel 1588 il feudo di Tricase, affermandosi in tal modo tra quelle famiglie emergenti che, sostituendosi alla più antica feudalità, disegnarono nel corso del Cinquecento il nuovo assetto della geografia feudale in Terra d’Otranto. Stefano II, primo principe di Tricase – il titolo era stato conferito nel 1651 da Filippo IV-, si ricollegava nella scelta d un’opera veneta alla  tradizione inaugurata dai suoi avi che dalla città lagunare avevano fatto arrivare per gli altari della chiesa matrice di Tricase dapprima un dipinto di Paolo Veronese e bottega, la Madonna col Bambino e i santi Matteo e Francesco di Paola con i donatori Cesare e Matteo Gallone, quindi l’Immacolata, giunta a Tricase alla fine del 1612, e la Deposizione, richiesta nel 1613 e sbarcata nel porto di Otranto nel 1615, entrambe commissionate dal padre di Stefano II, Giovan Angelo Gallone, a Jacopo Palma il Giovane, artista molto in  voga in Terra d’Otranto, le cui tele con languide sante e atletici martiri, con dolorose Deposizioni, Sacre Conversazioni ed iperbolici trionfi celesti, raggiunsero, oltre Tricase, Ostuni, Otranto, Lecce, Santa Maria di Leuca, Poggiardo, Monopoli – centri tutti impegnati nei traffici con la Serenissima -, decretando la fortuna  pugliese dell’artista.

Morto Palma il giovane nel 1628, Stefano Gallone trovò naturale rivolgersi al giovane Robusti che Palma aveva ricordato nel suo testamento come “eccellentissimo nella pittura”.

* Direttore Galleria Nazionale della Puglia


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *