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Quel mare antropomorfo nell’arte di Cesare Piscopo 

Il mare se lo porta nella mente, nel cuore e nel dna. Declinato in tutte le sue infinite, barocche sfaccettature. Come si dice: semanticamente affollato. Capace di suscitare mille emozioni, ricordi, sedimentazioni; dar corpo ai sentimenti più veri e più intimi. 
 Un mare antropomorfo, insomma, che riassume ogni forma naturale e interiore dell’immaginario dei popoli, le culture, gli uomini. 
E’ la “poiesis” dell’artista Cesare Piscopo  (Parabita, Lecce), che si propone con la personale “Forme e colori del mare” (“TataMino Bistrot”, via Roma, 199 Salve). 

Il mare come soggetto delle sue tele, quando lo ha scelto e perché?

“Dipingo il mare, il paesaggio marino, da moltissimi anni. Ma soltanto dal 2000 lo faccio in maniera continua, tanto da divenire una ricerca costante. Anche perché, vivendo in una località marina, ho un contatto diretto, fisicamente e idealmente, col mare”. 

E quindi mare come inconscio profondo dell’umanità e coscienza dell’uomo?

“Mare che non ha riferimenti precisi a luoghi, perchè per me è essenzialmente un luogo dell’anima. Rappresenta simbolicamente la vita, e la vita è sempre diversa.
In un certo senso, come lei ben dice, è un mare dell’inconscio (collettivo), che si svela a poco a poco e sempre cangiante”.

E visto anche come dialettica con noi stessi e memoria di storie, di eroi, di vissuti, individuali e collettivi? 
“Attraverso il mare cerco la mia vera identità e nello stesso tempo approfondisco la conoscenza della realtà naturale, quella del paesaggio in cui vivo e che dialetticamente ricreo”.

Francesco Greco


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