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Crufurd Tait Ramage, ministro della chiesa Scozzese del XIX sec. parla del Tarantismo

Questo articolo è tratto da una raccolta delle opere che alcuni scrittori-viaggiatori europei, venuti in visita in Italia, hanno scritto in relazione al fenomeno del Tarantismo, e che potete visionare sull’apposita pagina dei nostri amici di FriendsOfPuglia, curata da Monia Saponaro. Vi invitiamo caldamente a visitarla per maggiori e interessanti informazioni.

Tratto da: Viaggio nel Regno delle Due Sicilie, 1966, p.319-322

“Ero curioso di sapere cosa poteva dirmi il frate cappuccino a proposito del tarantolismo, uno strano fenomeno naturale nel quale si era fermamente creduto, e per vari secoli, in molte parti d’Europa. Esiste un ragno, noto ai naturalisti col nome di tarantola, di cui ve ne sono moltissimi in questa parte d’Italia. Si dice che il morso di questi insetti produce effetti simili a quelli di una febbre maligna e che chi ne rimane vittima può essere guarito solo a suon di musica. Alcuni autori hanno persino elencato le musiche più adatte a curare i “tarantolati” come si chiamano questi ammalati.Ricorderai forse quello che dice in proposito il Berni ( II.17) nel suo Orlando Innamorato:

“Come in Puglia si fa contro al veleno

Di queste bestie, che mordon coloro,

Che fanno poi pazzie da spiritati;

E chiamasi in vulgar Tarantolati;

E bisogna trovar un,che sonando

Un pezzo, trovi un suon che al morso

piaccia;

Sul qual ballando, e nel ballar sudando

Colui, da se la fiera peste caccia”

Il frate mi disse ch’era strano che un’idea simile si fosse radicata nella mente di molti, ma che ciò poteva spiegarsi sia per l’ignoranza dei tempi, sia per la bricconeria degli uomini.

Questo ragno è il phalangium, di cui parla Plinio, che dice che esso possiede un veleno maligno. Il frate mi disse pure che, in certe circostanze, ed in alcuni soggetti, il morso di questo ragno può provocare violente convulsioni. I nativi di questa zona d’Italia sono considerati, sia per il gran caldo al qual vanno soggetti, sia per i cibi di cui si nutrono, particolarmente sensibili alle malattie di natura isterica. Amano molto la musica e quando parecchi giovani si uniscono per fare quello che da noi in Scozia chiamiamo “stramberie”, si eccitano a tal punto che potrebbero venire scambiati per i discendenti delle sacerdotesse di Cibele, le cui danze frenetiche sono rappresentate sui vasi antichi.

Il cappuccino prestava poca fede a tutti i racconti straordinari che si fanno rispetto ai tarantini ad eccezione che alcune manifestazioni che si attribuiscono al morso del ragno si fanno presenti in soggetti costituzionalmente isterici. Sono i giovani che rivelano questi sintomi. Per quanto riguarda i cibi, il frate mi disse che i crostacei abbondano ed anche le lumache, con le quali fanno una zuppa. Questi cibi eccitano il sistema nervoso e sono causa, secondo lui, di quel nervosismo al quale i suoi compatrioti vanno spesso soggetti. Non vi è dubbio che anche la musica contribuisce ad eccitarli ed egli si diceva convinto che l’esercizio violento della danza alla quale si sottopongono riesce a calmarli per mero esaurimento fisico. Il pensiero dei più intelligenti dei suoi compaesani, rispetto alla bricconeria che spesso va di pari passo con simili manifestazioni, è egregiamente espresso nei due versi che di solito accompagnano l’aria che si suona per i “tarantolati”:

Non fu Tarantola né Tarantella,

Ma fu lo vino della carratella.

E’ interessante tracciare la storia di una simile aberrazione, fin dove ce lo consente la tradizione. Il buon frate conosceva bene gli autori antichi del suo paese ed aveva scoperto un’allusione alla medesima nelle opere del Malaterra e precisamente nel brano in cui l’autore descrive l’attacco sferrato, nell’anno 1064, dai Normanni contro Palermo. Egli dice che i normanni erano accampati su un monte sopra la città e che ebbero a soffrire molto per i morsi delle tarantole, ma non dice che siano ricorsi alla musica per curarsi.

Il primo scrittore che dà un resoconto dettagliato degli effetti prodotti dal morso della tarantola e ne descrive la cura, è Nicola Perotto di Sassoferrato, Arcivescovo di Sipontum nelle Puglie, che visse intorno al 1450. Egli parla pure di molti altri autori che danno notizie altrettanto precise e forse ancora più circostanziate in proposito, eppure anche lui pensava si trattasse di illusione, o peggio ancora, di una mistificazione. E’ curioso poi notare che Esichio, il lessicografo, vissuto intorno al 389 d.C. fosse a conoscenza degli effetti provocati dal morso del phalangius. L’italiano colto, oggi si vergogna di credere a simili fandonie e nega che il phalangius provochi effetti di questo genere sul sistema nervoso, come erratamente credevano gli antichi.

La mia graziosa ospite ha trascritto di proprio pugno una descrizione della “Pizzica” una danza tarantina. Sono certo che ne avrebbe potuto anche dare una dimostrazione pratica, e con maggiore successo, nella sala da ballo. Te la copio con le sue stesse parole, e ti accorgerai che è molto simile ad una vecchia danza scozzese, un po’ volgare che si chiama Pillow (Cuscino) ma che non si usa più da quando è venuta di moda la quadriglia, questa si può ancora vedere qualche volta, in occasione di balli rustici. Ecco quanto ha scritto al mia gentile ospite: ” Una donna incomincia a carolare da sola, dopo qualche istante getta un fazzoletto a colui che il riccio le indica, e lo invita a danzare con lei. Lo stesso capriccio fa licenziare questo ed invitarne un altro e poi un altro ancora, finché stanca va a riposare. Allora rimane al suo ultimo compagno il diritto di invitar altre donne. Il ballo continua in tal modo sempre più variato e piacevole. Guai al male accorto la cui curiosità lo fa segno al tiro del fazzoletto perché né la sua inespertezza, né la sua grave età, può essere di scusa; un dovere di consuetudine l’obbliga a non rifiutare l’invito.”.

Tale la Pizzica dei Tarantini e ti lascio immaginare quali possano essere i suoi divertenti sviluppi.”


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