Le secche di Ugento
Le secche di Ugento nel corso dei secoli si sono rese protagoniste di numerosi naufragi, alcuni molto noti, altri passati inosservati… Tra i più blasonati possiamo sicuramente citare la rovinosa avventura di Pirro, re dell’Epiro, che si recò in Puglia per portare il proprio aiuto a Taranto nella sua battaglia contro Roma. Oppure ancora il mercantile Liesen, che giace a pochi metri di profondità da diverse decadi ormai e divenuto di fatto un attrazione per molti sommozzatori.
Le secche si estendono fino a 3-4 chilometri dalla costa che congiunge Torre Pali con Torre Mozza e sono costellate da numerosi scogli chiamati chiriche, ossia chierica”, in quanto ricoperti da alghe solo sui bordi mentre la parte centrale ne è priva.
I nomi con i quali vengono identificate, insieme ad alcuni degli scogli che le delimitano, ricordano molto il mondo equino ed il perchè ce lo spiega la seguente leggenda.
Una spedizione di turchi dopo aver saccheggiato Castrignano del Capo ed altri villaggi del Basso Salento, di ritorno verso il proprio vascello, incrociò un pastore con i suoi cavalli nella piccola baia di San Gregorio.Si trattava di un bersaglio indifeso e fu subito fatto prigioniero e condotto in catene sulla nave insieme con i suoi cavalli, un bottino assai gradito ai turchi.Mentre qualcuno nella stiva già presagiva una vita da schiavo, sul ponte della nave era in corso una festa: le scorrerie avevano fruttato un carico enorme di provviste tra cui una notevole quantità di vino sottratto ai contadini del Capo di Leuca.E’ semplice intuire il proseguimento della festa, ovvero una sbornia generale cui nessuno tra i turchi a bordo volle tirarsi indietro.Dopo qualche ora sulla nave ancorata nella rada di Sant’Antonio, oggi località Torre Pali, regnava il silenzio.Alcuni dei pirati erano rimasti svegli, di guardia, la compagnia intera invece era caduta in un sonno profondo, fatale, diremmo, perchè di lì a poco si scatenò un’improvvisa e tremenda tempesta che ruppe gli ormeggi e non lasciò scampo ai turchi che svegliati di soprassalto cercavano di riprendere il controllo del vascello.Ma quando l’albero fu spazzato via, non ci fu più nulla da fare: l’imbarcazione non riuscì a resistere alla forza delle onde e del vento e si spezzò.Con il caos a bordo nessuno si preoccupava del pastore incatenato nella stiva, impossibilitato a fuggire, quand’ecco che improvvisamente le catene si spezzarono ed il disperato si ritrovò libero.Lui, lucido, salì sul ponte della nave e si aggrappò alla base dell’albero di poppa e così rimase con la tempesta che continuava ad infuriare e trascinava il vascello verso le secche.Nessuno dei pirati riuscì a sopravvivere alla nottata e quando ormai le tenebre lasciarono il posto alle prime luce dell’alba fu una grande sorpresa per i primi pescatori accorsi sul posto scorgere sul relitto della nave il povero pastore, salvo, e poco distante i suoi tre cavalli illesi per miracolo, ognuno su tre scogli affioranti.Da quel giorno le secche vennero chiamate “de li cavaddhi” e a seconda della dimensione presero il nome di “cavaddhu” (cavallo) quella più grande, “sciumenta” (giumenta) la media e “puddhitru” (puledro) la più piccola.
Testo della Leggenda fornito da Enrico Troisio
Bibliografia:
Salento da favola, storie dimenticate e luoghi ritrovati – Supplemento a QuiSalento n. 2/2010, Guitar Edizioni
Pirro salpò verso le coste italiche ma, durante la traversata, fu sorpreso da una tempesta che arrecò danni alle navi e lo indusse a sbarcare le truppe, probabilmente nei pressi di Brindisi (battaglia di Eraclea, Wikipedia).