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La festa di Ognissanti e la commemorazione dei defunti

Catechizzate dal segno della croce, quella che oggi rappresentano due tra le più importanti commemorazioni cristiane, sono in realtà residui di antichi usi e costumi provenienti da terre lontane, celtiche: la festa di Ognissanti e la commemorazione dei defunti.

Il periodo a cavallo tra i mesi di Ottobre e Novembre, altro non era, nell’antichità, se non un vero e proprio capodanno, il Samain, il giorno che sanciva la fine e l’inizio di un nuovo anno agricolo. La terra ha dato i suoi frutti ma è già pronta a ricevere il seme del frumento destinato a rinascere a primavera. Il giorno del Samain era preceduto da quella che in Scozia era nota come la “Notte delle candele di inverno” (Nos Galan –gaeaf), durante la quale i morti percorrevano al contrario il cammino dall’oltretomba, tornando per breve tempo tra i vivi. I cari estinti non si limitavano a vagare sulla terra, ancora una volta e per un ciclo infinito che sarebbe durato per tutta l’eternità, ma interagivano con i parenti di questo mondo come se la morte non avesse frapposto nessuna barriera tra l’una e l’altra realtà. Durante il capodanno i famigliari portavano presso le aree cimiteriali doni floreali. Si riunivano qui per cantare, mangiare, colloquiare, convinti che gli spiriti dei “compianti” co-partecipassero a quelle attività. I sepolcreti erano quindi dei veri e propri luoghi di festa dai quali la tristezza era bandita. Vi erano prati ricchi di fiori colorati, si preparavano dei dolci a forma di ossa, si parlava con i teschi che in alcune culture venivano staccati dallo scheletro e impilati l’uno sull’altro in appositi spazi.

Oltre ai Celti anche Etruschi e Romani credevano che i morti potessero condividere alcune esperienze con i  cari ancora in vita. Per questo motivo l’Urbe organizzava, in occasione dei feralia (che terminavano il 21 febbraio), dei ricevimenti commemorativi oltre che diverse celebrazioni  in occasione dell’anniversario della nascita e della morte, che prevedevano  lo spargimento di viole e farina di farro, rituali di libagione e infine l’equivalente di quella  che potremmo definire oggi come messa di suffragio. Il banchetto, il refrigerium, la cui pratica è stata riscontrata anche nella necropoli paleo-cristiana di fondo Giuliano a Vaste, aveva lo scopo di portare refrigerio all’anima e al consunto corpo del defunto, affinchè potesse continuare la sua esperienza nell’aldilà senza dover rinunciare ai precedenti legami con la vita terrena. Questa pratica sopravvive ancora nel detto “‘ddrafiscu li morti toi“, esclamata solitamente quando si riceve in dono un prodotto alimentare o un grosso favore.

Pratiche da subito tacciate di paganesimo dalla Chiesa, anche se ancora in stato embrionale, che proibì le messe sui sarcofagi dei defunti con la sola eccezione di quelle dedicate ai martiri Cristiani o nei confronti di coloro, terminate le persecuzioni, che avessero dimostrato in vita un’estenuante attaccamento alla fede e alla difesa della stessa, pur essendo scampati al martirio. Anche la pratica del refrigerium venne abolita, ma questo non servì a ridimensionare la dimensione profana della morte. L’Europa era ormai intrisa delle celebrazioni del capodanno celtico, il cui rapido dilagare venne facilitato e rinvigorito dall’operato di Alcuino (consigliere di Carlo Magno), inducendo la chiesa a correre nuovamente ai ripari. Papa Gregorio IV, nella prima metà del IX sec, invitò l’imperatore Ludovico il Pio a diffondere questa nuova usanza in tutto il regno franco, iniettandole dei caratteri cattolici, per poi essere ripresa e trasformata in una celebrazione religiosa obbligatoria dal 1475 da Sisto IV. Tutto l’occidente Cristiano la conoscerà come la festa di Ognissanti. Il processo di Cristianizzazione riprendeva delle vecchie tradizioni delle chiese orientali e occidentali dei primi secoli, per le quali era prevista la commemorazione dei martiri nei giorni del martirio, quando rinacquero a “nuova vita” (allo stesso modo di come rinasce il seme) come testimoni di Cristo.

Martiri e non, santi e comuni mortali accomunati dal concetto della morte, uno status irrinunciabile, intimamente e indissolubilmente legato al concetto stesso della vita e che ricorre come promemoria il 2 novembre, in occasione di una seconda importante commemorazione, quella di tutti i defunti. Una delle ricorrenze più sentite che, anche se accomunata nelle origini pagane a quella di ognissanti, ha avuto un decorso differente. La preparazione di dolci a forma di ossa, tradizione ancora oggi viva in Sicilia e con diverse forme di sfogo anche in altre regioni d’Italia, trova un’erroneo accostamento nella vendita delle fanfullicchie a Lecce, caramelle (di origini calabresi ma di adozione salentina) di zucchero, frutta e coloranti, di antica memoria, che videro fiorire un mercato maggiore in tempi recenti, proprio in concomitanza del 2 novembre, quando tutta la cittadina si recava ai cimiteri per far visita ai relativi defunti. La tradizione delle fanfullicchie è viva e attiva tutt’oggi, e svolge un importante richiamo culturale per le nuove generazioni della Lecce che fu.

Fanfullicchie (Fonte: http://blog.libero.it/Pinkturtle/)

Furono  i bizantini, nel medioevo, a celebrare un suffragio per i tutti i morti nella stessa giornata, il sabato che precedeva l’ottava domenica prima di Pasqua, tra gennaio e febbraio, pratica introdotta nella chiesa latina nel X secolo dai benedettini. Nel 998, Sant’Odilone di Cluny ordinò ai cenobi dipendenti dall’abbazia francese di far risuonare le campane con i tradizionali rintocchi funebri dopo i vespri solenni del 1° Novembre, annunciando ai monaci che dovevano officiare in coro l’ufficio dei defunti. Il giorno seguente tutti i sacerdoti avrebbero offerto al Signore l’eucaristia pro requie omnium defunctorum. Il rito si diffuse lentamente nei vari ordini religiosi fino ad essere accolto da Roma nel Trecento.

Nonostante gli sforzi profusi, la Chiesa non è riuscita a debellare del tutto il paganesimo, sopravissuto, e in parte tramandato, nelle contrade rurali, giungendo in forme molto edulcorate fino al XXI secolo.

Marco Piccinni

Bibliografia:

Alfredo Cattabiani –  Calendario, le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno. Mondadori (2003)


5 commenti su “La festa di Ognissanti e la commemorazione dei defunti

  1. FRANCESCO LOPEZ Y ROYO ha detto:

    per quel che concerne la giornata del ricordo,i regali ai bambini, da quel che sò è un’antichissima usanza pagana pervenutaci dalla Grecia ,proprio per il ricordo del defunto/a si regalava ai bambini qualche frutto di stagione o frutta secca, affinchè i ragazzi chiedessero il perchè di quei doni ed i genitori chiarivano loro che erano mandati dal defunto raccontandogli la storia. questa usanza è ancora in uso in alcuni nostri paesi dove il 2 novembre si usa far trovare ai bambini dei fichi secchi o altro. A Lecce dall’inizio del 1900 si usano comprare le caramelle appositamente fatte per quella ricorrenza “la Fanfullicchie”.
    Per quanto riguarda la festa presso il cimitero con banchetti ed altro sò che in Bolivia è usanza tradizionale nel giorno del ricordo addobbare i cimiteri portare cibo e dolciumi trascorrendo la giornata con i familiari presso i vari sepolcri.

  2. Anna Maria Miloro ha detto:

    Carissimo Marco
    vorrei farti sapere una cosa, le fanfullicchie non hanno origini leccesi.
    Furono portate a Lecce 1948-50 dalla Calabria, e insieme a queste c’erano anche i bomboloni, ossia delle grandi caramelle aromatizzate al caffè, all’anice.non ho notizie cartacee, ma sono sicurissima di questo in quanto la persona che le introdusse era mio padre.
    un grande abbraccio Anna Maria Miloro

  3. antonfiore ha detto:

    Marco carissimo, come al solito il tuo impegno per la divulgazione risulta sempre piu’prezioso.
    Pensavo di saperne qualcosa sulla ricorrenza di ognissanti, ma piu’ leggo , meno ne so- grazie –
    Grazie anche alla signora Miloro oper la sua interessantissima testimonianza.
    Adesso sarei curioso di sapere perche’ si chiamano Fanfullicche i titici dolcetti.

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