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Castiglione, “Festival delle Migrazioni” tra Emigranti e Africans

Valige di cartone, pane e zucchero, cioccolata amara e camice bianche

Due sere intense dedicate alle migrazioni, topos d’ogni tempo dai Messapi agli Africans, che ridisegna paesaggi, contamina etnie, rafforza identità, irrobustisce radici. Ieri contadini, oggi laureati di 3a e 4a generazione. Simbolica la location scelta dall’Associazione culturale “Arturo Benedetti Michelangeli”: la stazione ferroviaria Sud-Est di Castiglione-Andrano (Le). Qui, a partire dagli anni ‘60, mogli e madri piangevano abbracciando mariti e figli diretti a Glarus (“Little Italy”), Ginevra, Parigi, e i bambini s’attaccavano alle gambe dei padri per trattenerli. Poi una littorina asmatica inghiottiva ragazzi magri che avevano già famiglia, valige di cartone piene di robe pulite e cose da mangiare: un po’ d’olio, qualche frisa, un bottiglione di vino (“quasi sempre si rompeva nel viaggio”), per annusare l’odore d’una terra “tumàra”, mai però considerata “matrigna”, amata anzi più nell’umida baracca affittata dal “padrone” ai muratori alla periferia di Zurigo che zappando i “cuti” dei “don”, gli avidi agrari al paese, col Piano Marshall che sviluppa il Nord e la riforma agraria che ossifica lo status quo.

Molti si sono fatti la casa, “sogno d’una vita”, hanno fatto studiare i figli facendone medici, avvocati, professori: “Abbiamo conquistato la dignità, possiamo andare a testa alta…”. Altri non sono più tornati: il figlio di Stella, 19enne, morto, anni ‘70, cadendo in una betoniera sul cantiere di Neuchatel. Dice il fratello Donato: “Ancora aspettiamo notizie dallo Stato italiano”.

Ci si aspetta quattro gatti: il trend è il disimpegno, la fuga dal reale, non pensare, grazie anche alla tv-spazzatura. Ma, sorpresa: a Castiglione invertono la tendenza. Ci saranno mille persone assiepate a guardare i documentari (“diretti alle nuove generazioni che poco sanno di noi”) di matrice neorealista “Così siamo arrivate sino ad adesso” (regia Maya Schumacher) e “In nome del padre” (di Donato Nuzzo e Fulvio Rifuggio, musiche di Donato Botrugno: “L’ispirazione? L’ho trovata a Marcinelle”) proiettati su un lenzuolo sulla fiancata di un vecchio camion bianco: toccante citazione di “Nuovo Cinema Paradiso”. Questo lavoro è richiesto da numerose realtà svizzere.

“Dobbiamo parlare, nessuno può farci tacere, ci debbono ascoltare”. E’ il segno, senza se né ma, che il riflusso è finito: ci si riappropria delle tematiche forti, i nervi scoperti, gli spazi d’agibilità democratica, un’idea dal basso della democrazia, senza deleghe, in prima persona.

Nelle due sere, ai dibattiti che sono seguiti (“L’identità oltre la frontiera”) e (“L’emigrazione ha memoria lunga”) non abbiamo ascoltato parole consolatorie, sociologiche, fataliste, assolutorie, ma passaggi di vita aspra, sottolineati da applausi. Pur dura, la vita da emigrante è accettata come inevitabile. C’è chi, nonostante l’handicap della lingua, chiama la Svizzera “la mia seconda madre”, chi osserva che oggi quello non è più il Paese sognato, non offre niente segnato com’è dalla crisi (anche se ci vivono ancora 500mila italiani), chi parla di ritmi di lavoro disumani, 14 ore nelle masserie in Francia, durante il ’68, “Parigi in fiamme, 37 giorni senza notizie da casa, dove c’era una moglie di 17 anni e una bimba di 3 mesi – ricorda Giuseppe Botrugno – a mangiare pane e zucchero e dormire con le vacche”.

Le visite mediche a Milano, “vicino alla Scala”: non tutti le passavano, e poi via a Chiasso, Domodossola, la clandestinità, i 680mila contratti “A” (stagionali), famiglie divise, figli cresciuti senza la figura paterna, mogli costrette a restare al Sud, o in Svizzera da clandestine: una generazione di bambini (15mila) invisibili, “nascosta in casa, senza andare a scuola”. “Siamo partiti perché avevamo fame – dice Luigi Collutoma il bonifico non era tutto… Ogni 15 giorni scrivevi a casa, dicevi sempre di star bene…”. Il dibattito è moderato da Tiziana Colluto, di Trnews, una delle 2-3 giornaliste in Puglia. Appassionata, “militante”, con una visione delle cose, lucidità analitica, spirito critico, oltre che bella. Ha ricordato la lotta degli Africans di Nardò, 3.5 € per un cassone di pomodori dalle 3 di notte alle 19, mentre i caporali ne guadagnano 15 e a sera ne portano a casa 1000. “Illegalità consentite dalla normativa”, spiega Saffia Elisa Shaukat, ricercatrice all’Università di Losanna, studiosa dei fenomeni migratori, che ha poi parlato delle “vedove bianche” e di emigrazione che “ha cancellato i regionalismi” .

il treno Lecce – Berna

“Venivo qui a 3 anni – ricorda Tizianaa salutare mio padre che partiva. L’emigrazione è una storia collettiva, ma anche una piaga sociale in cui si manifesta la nostra condizione di figli d’un dio minore: aspettiamo ancora di vedere il binario di ritorno per chi vuol tornare…”.

Castiglione è un universo sorprendente di 1200 persone. I 100 Africans giunti tempo fa e ospitati da un agriturismo – staranno qui fino a Natale – sono trattati con affetto, invitati a pranzo, guarda caso, dalle famiglie degli ex emigranti. Girano nelle strade, la gente li chiama “fratelli”, offre una birra fresca, sigarette, ricariche per farli parlare con l‘Africa. Non saremmo però onesti se tacessimo delle lagnanze per il trattamento nell’agriturismo, la pulizia, il menù. Il titolare si difende, dice che lo Stato non ha versato un €, e che li assiste a spese sue. Visto il clima da lacrime e sangue c’è da credergli.

“In Svizzera ci hanno trattati con rispetto – aggiunge Giuseppe Botrugnoè giusto che lo stesso rispetto sia riservato ai nostri fratelli africani. Ci vogliono bene se noi li trattiamo bene. Anche loro, come noi quando uscivamo dalla baracca, devono mettere la camicia bianca, pulita, stirata…”.
Aggiunge il fratello Donato, stesso destino in una valigia di cartone: “Sà che qui ha casa l’attrice Paola Pitagora? Dice che Castiglione è il più bel paese al mondo…”. No, non lo sapevamo, e ora siamo più orgogliosi di vivere in una terra magica, antica e sempre nuova.

Francesco Greco


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