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Il Matrimonio nel Salento

Parlando del matrimonio bisogna subito dire che la forma dal punto di vista delle usanze è molto cambiata, anche se alcune tradizioni sono rimaste.

La prassi tradizionale fatta di presentazione, conoscenze, fidanzamento ufficiale davanti ai familiari più intimi, presupposti di date, dichiarazione di patrimonio, ecc., ecc., ormai non viene quasi mai rispettata.


Tutto adesso viene fatto in modo più semplice e spontaneo. Anni fa tutto cominciava con qualche incontro segreto tra i due interessati. Una volta che il legame diventava una cosa seria e vera, subentrava u mannaturu o u cappeddhru , uomo di grande considerazione in paese, avente al funzione di mediatore, il cui rispetto fungeva da sicurezza e da legame per le famiglie degli aspiranti fidanzati. Se questo rituale aveva un esito positivo, i due giovani erano, a tutti gli effetti, fidanzati ufficialmente.

Il fidanzamento poteva durare molti anni prima che si arrivasse al matrimonio. Qualche volta durava, poco ma quasi sempre in questo caso i fidanzati se ne fuscivane (per tanti motivi) lasciando di stucco i genitori che già pregustavano per i loro figli un bel matrimonio coi fiocchi.

Per quelli che invece seguivano la prassi tradizionale (u sinnacu, a dota, u lettu) i giorni prima del matrimonio erano vissuti in modo frenetico. La sposa era impegnata nel sistemare la dota e l’arredo della stanza da letto. Lo sposo arredava le altre stanze, completando l`arredamento della cucina con alcuni mobili come a mattrabbanca ed alcuni utensili come u pisaturu (oggetto in legno a forma di calice, usato per raffinare il sale o altri ingredienti). “Usanza voleva, che la sposa cucisse la camicia per u mannaturu e il suocero, acquistando per loro anche e mutanne, i pedulini, u foazzulettu e a cravatta. Usanza tutt’ora vigente nei confronti del suocero. Il medesimo obbligo aveva lo sposo verso la suocera.

Dopo la cerimonia religiosa, tutti gli invitati si recavano presso la nuova abitazione degli sposi e, le donne in casa e gli uomini sulla terrazza, festeggiavano, terminando con balli che si protraevano sino a tardi.

La mattina del giorno dopo, le suocere si recavano presso l’abitazione degli sposi per avere la prova, dalle lenzuola, della verginità della sposa. Il risultato, se negativo, poteva essere motivo di forti contrasti tra le due famiglie.

Gli sposi, ssivene all’ottu, uscivano da casa per la prima volta, dopo otto giorni, recandosi in chiesa e a far visita ai suoceri. Alla scadenza dei nove mesi, tutti s‘aspettavano la nascita del bambino. Se questo non avveniva, cominciavano a nascere dubbi: Questo e albero che non fa frutto, taglia lui la testa, dicevano i maligni.

Oggi, parecchie di queste usanze sono sparite, anche quelle più simpatiche ed originali come ad esempio il pranzo nuziale fatto con panini, olive, alici, peperoni, lupini, e vino a volontà.

Invece un’usanza ancora persiste: l’esposizione del corredo (la dota) al pubblico, preparato in tanti anni di paziente lavoro dalle ragazze.

Nello stesso giorno che il corredo viene esposto ed è stato ammirato, invidiato o criticato, viene raccolto e ben sistemato nel baule ( la cascia) e portato nella casa dove andranno ad abitare gli sposi e messo sotto la responsabilità della suocera.

Vestito nuziale e 'de lu ottu' dei primi del '900 - Museo civico Giuggianello

Francesco Accogli (da Tradizioni popolari a Tricase di Carlo e Francesco Accogli – Edizioni dell’Iride)


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