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La piazzetta Sigismondo Castromediano a Lecce

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Pochi forse sanno che lo splendore della città di Lecce non si ferma al solo barocco, alle stradine del centro storico, agli artigiani di carta pesta, ai grandi artisti e alle mostre. Molto di quello che fu Lecce nel passato è ancora lì, nel sottosuolo su vari livelli di stratificazione che aspetta solo di essere trovato ed ammirato. Ad esempio, sotto il suolo calpestio di piazzetta Sigismodo Castromediano, nei pressi della chiesa di Santa Croce, sono rimaste nascoste per anni diverse testimonianze archeologiche che spaziano dall’età del Ferro (I secolo a.C.) a quella messapica (IV-V secolo a.C) fino al XIX secolo, periodo in cui vennero demoliti gli edifici che occupavano la piazza.

Una volta terminati i lavori di scavo, condotti dall’Università degli studi di Lecce sotto la guida del Prof. Francesco D’Andria, è stata ripristinata la sua superficie calpestabile con tre feritorie corredate da specchi e un piccolo impianto di illuminazione, che consentono comunque al passante di intravedere una scaletta, un corridoio, una piccola cisterna olearia.

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‘A paparotta

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La paparotta è un semplice e classico piatto della tradizione gastronomica contadina salentina. Consiste in un ammasso di verdure lesse o legumi cotti in vari modi con pezzi di pane raffermo fritto. Di solito si preparavano per la cena con gli avanzi del giorno prima o addirittura per colazione. Si, avete capito proprio bene: dato che di solito i contadini mangiavano direttamente nei campi durante la pausa pranzo, visto che non era possibile tornare a casa per non togliere molto tempo al lavoro, capitava la sera di consumare legumi o verdure, magari recuperati proprio durante la giornata lavorativa. Ciò che avanzava dal pasto serale, poco prima di andare a letto per recuperare le forze per il giorno seguente, veniva spesso reimpiegato dalla massaie per la preparazione della prima colazione, al posto del caffè, in modo da “scaldare gli stomaci” e assimilare la giusta dose di nutrienti per poter affrontare degnamente la giornata.

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“Cuccuàsci” e “carzi larghi”

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Civetta (Fonte: www.windoweb.it)
Civetta (Fonte: www.windoweb.it)

La cuccuascia, è il termine dialettale con cui nel salento si indica la civetta, che secondo alcuni simboleggierebbe l’uccello del malaugurio. La civetta fa parte del simbolo dello stemma di Galatina insieme alle chiavi pontificie e ad una corona. Era anche, insieme al gufo, l’animale associato alla dea Minerva, la corrispettiva dea romana della greca Atena.

Minerva era la figlia di Giove e di Metide. Venne considerata la divinità vergine dei guerrieri, della poesia, della medicina, della saggezza, del commercio, delle arti, nonché inventrice della musica. Con il termine di Minerva Medica, fu la protettrice della medicina e dei dottori.

Adattando il mito greco di Atena, i Romani le attribuirono una nascita non naturale, dovuta piuttosto ad una terribile emicrania di Giove. Vulcano ne aprì la testa estraendone Minerva già dotata d’armatura e scudo, immagine che ha influenzato gli scrittori occidentali nel corso degli anni.

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Le scogliere di Castro

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La cittadina di Castro, comune che si affaccia sul mar Adriatico, è sicuramente uno dei luoghi privilegiati dai turisti durante l’estate salentina ma, indubbiamente, manifesta il suo fascino anche durante i periodi invernali.

Forse, attratti principalmente dalle sue scogliere, pochi sanno che questa località vanta numerose leggende e approdi leggendari. Virgilio infatti sostiene che Enea sia approdato in Italia proprio lungo le coste di Castro, antico centro di culto della dea Minerva di cui è stato recentemente rinvenuto un tempio a lei dedicato.

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Cosa sta accadendo alle palme dei nostri comuni? Tutta colpa del punteruolo rosso

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Alcuni di noi si saranno forse chiesti, in questi mesi, come mai molte palme presenti all’interno dei propri comuni di residenza allo scopo di abbellire piazze e viali vengono ora tagliate e coperte con una plastica o con un telo. Bene è tutta colpa del Rhynchophorus ferrugineus, o più comunemente conosciuto come il punteruolo rosso delle palme.

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Le Grecìa Salentina ed il Griko

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“Zeni esù en ise ettù ‘s ti Kalimera”

Questo è il messaggio inciso su una stele funeraria posta nei giardini pubblici di Calimera e vuol dire:

“straniera tu non sei qui a Calimera

La stele è stata donata dal sindaco Di Atene per rinnovare una fratellanza che dura da secoli ormai, tra le due nazioni opposte rispetto al mediterraneo, L’italia e La Grecia. Questo particolare legame in realtà non comprende tutta la penisola ma solo nove piccoli comuni del basso Salento:Calimera, Martano, Castrignano dei Greci, Corigliano d’Otranto, Melpignano, Soleto, Sternatia, Zollino, Martignano. Questi comuni, che nel loro complesso formano quella che è definita la Grecìa Salentina, sono quelli che ancora conservano parte delle tradizioni, della lingua, degli usi e dei costumi degli antichi greci, che si insediarono in buona parte del capo di Leuca dall’adriatico allo iono.

Questa comunità, insieme all’isola linguisitca di Bovesia in Calabria, fa parte della minoranza linguistica greca Italiana, in quanto è particolamente diffusa, soprattutto tra gli anziani, un antica lingua,  conosciuta come griko o grecanico. Questa lingua raccoglie uno o più dialetti di tipo neo-greco, residuato probabilmente di una più ampia e continua area linguistica ellenofona esistita anticamente nella parte costiera della Magna Grecia. I greci odierni chiamano la lingua Katoitaliótika (Greco: Κατωιταλιώτικα, “Italiano meridionale”).

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I Turchi di Cannole

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I cannolesi si fregiano di un ulteriore soprannome oltre a quello di Cuzzari legato alla tradizione culinaria. Vegnono conosciuti infatti anche come i Turchi, epitteto originato da una leggenda che vede da protagonista l’intero territorio cannolese.

Dopo il sacco di Otranto del 1480 i saraceni cominciarono pian piano ad invadere i comuni e le zone limitrofe. Cannole è abbastanza vicino ad Otranto tanto da essere scelto come una delle successive mete dei successivi attacchi.

Consci di ciò che era accaduto a Otranto e in preda ad una giustificata paura, i cannolesi implorarono l’intervento della Madonna di Costantinopoli che non tardò ad arrivare.

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San Dana, la piccola frazione di Gagliano del capo con il nome di un santo

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San Dana, frazione di Gagliano del Capo, è un piccolissimo centro abitato con poco meno di 200 abitanti, posto ad un altezza di circa 155 metri dal livello del mare. Il suo nome deriva da quello del suo ipotetico fondatore: un santo albanese di nome Dana, Dano o Danatte, nato a Valona nel IX secolo e approdato nel salento per prestare servizio di diacono presso il santuario di Santa Maria di Leuca.

Si racconta che durante uno dei numerosi attacchi dei pirati Saraceni al capo di Leuca, Dana prese con sé la pisside contenente l’ Eucaristia e fuggì via da Leuca, in direzione della più protetta Montesardo, per metterla in salvo. La sua fuga però non durò a lungo: infatti a poche miglia dal paese, in località Pareddi, venne raggiunto da un gruppo di saraceni e ferito a morte. Prima di esalare l’ultimo respiro, consumò le particole sacre per evitare che venissero profanate dal nemico. In ricordo di quell’evento, sorge oggi nel largo ‘a Mora, a circa 200 metri dal centro abitato, una stele sormontata da una croce eretta nel 1968.

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