La piazzetta Sigismondo Castromediano a Lecce
Pochi forse sanno che lo splendore della città di Lecce non si ferma al solo barocco, alle stradine del centro storico, agli artigiani di carta pesta, ai grandi artisti e alle mostre. Molto di quello che fu Lecce nel passato è ancora lì, nel sottosuolo su vari livelli di stratificazione che aspetta solo di essere trovato ed ammirato. Ad esempio, sotto il suolo calpestio di piazzetta Sigismodo Castromediano, nei pressi della chiesa di Santa Croce, sono rimaste nascoste per anni diverse testimonianze archeologiche che spaziano dall’età del Ferro (I secolo a.C.) a quella messapica (IV-V secolo a.C) fino al XIX secolo, periodo in cui vennero demoliti gli edifici che occupavano la piazza.
Una volta terminati i lavori di scavo, condotti dall’Università degli studi di Lecce sotto la guida del Prof. Francesco D’Andria, è stata ripristinata la sua superficie calpestabile con tre feritorie corredate da specchi e un piccolo impianto di illuminazione, che consentono comunque al passante di intravedere una scaletta, un corridoio, una piccola cisterna olearia.
La presenza di una cisterna olearia dovrebbe dissipare ogni dubbio sul fatto che quello che abbiamo sotto i piedi sia in realtà un antico trappeto, databile al I secolo a.C. In questo periodo l’attività di produzione dell’olio era particolarmente fruttuosa nel salento, tanto da divenire centro di esportazione per il mediterraneo intero nei secoli successivi.
La produzione olearia si è trasformata nel tempo con nuove tecniche, metodologie e applicazioni. La struttura ipogeica è sempre stata preferita a quella sopraelevata in quanto realizzabile a costi contenuti con semplici procedure di scavo oltre che garantire una temperatura costante e ideale per la conservazione dell’olio. Se ne contano a centinaia in tutto il terrirorio: molti si trovano sotto il manto stradale, diventati in maniera quasi inconsapevole parte della fondamenta di costruzioni postume; altri si trovano nei complessi rupestri come quello di Macurano ad Alessano. Solo una piccola percentuale di questi frantoi sono stati recuperati e resi fruibili al pubblico.
L’impianto di Lecce fu abbandonato intorno al II secolo d.C. quando la produzione di olio spagnola divenne più economica di quella salentina.
L’ambiente è pavimentato in cocciopesto. Delle presse macinavano l’olio che tramite alcune canaline raggiungeva la cisterna olearia dotata di pozzetto di decantazione, profonda 2,6 metri.
Sono in molti che sostengono che i centri storici del Salento leccese, così come la stessa chiesa di Santa Croce a Lecce, siano stati costruiti con i soldi derivanti dall’attività della produzione e commercio dell’olio. Basti pensare che alcune delle cisterne rinvenute a Lecce potevano contenere fino a 800.000 litri d’olio! Un quantità decisamente elevata utilizzata principalmente per la combustione delle lampade. Il cosìdetto olio lampante lasciava i porti salentini (soprattutto quello di Gallipoli e di Otranto) diretto verso le principali capitali Europee.
Oltre a questo nucleo, più antico, ve ne sono altri due più recenti e datati rispettivamente al XVI e XVII secolo. Il primo è un deposito oleario accedibile mediante una scaletta, costituito da un vasto ambiente sotterraneo con pavimento a 3,60 metri al di sotto del livello calpestabile. Le cisterne in questo caso sono allineate verticalmente lungo il perimetro.
L’ultimo deposito, quello del XVII secolo consiste in un ambiente rettangolare a 3,25 metri sotto l’attuale suolo calpestabile e anche questo è accedibile da una scaletta. Sul pavimento sono presenti 5 bocche per altrettanti cisterne di diversa capienza.
Marco Piccinni
BIBLIOGRAFIA:
Le infomazioni archeologiche sullo scavo sono tratte da un articolo di Andrea Bruno, Piazza Castromediano a Lecce, disponibili on line in formato pdf a questo link.