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Tribute a Specchia alla dea Inge Feltrinelli

Alla fine c’è la standing-ovation. Dura una decina di minuti. Bella come una divinità celtica, lei (è seduta in seconda fila, siamo nel cortile di Palazzo Risolo, a Specchia) è imbarazzata, pudica. Esita un po’ e poi Inge Schoental Feltrinelli si concede all’intervistatore Paolo Pisanelli che l’ha inserita da extra nella rassegna “Cinema del reale: Passioni, visioni, rivoluzioni”.

Non è abituata alle interviste, lo dice, e si capisce da come regge il microfono (poco prima, stranamente, s’è concessa a Gino Greco di “Radio Venere”).
Com’è nata l’idea di “IngeFilm” (prodotto dal figlio Carlo), un’intervista di ben 14 ore firmata da Luca Scarzella e Simonetta Fiori, da cui nel 2010 sono stati estratti 75 minuti?

“E’ da anni che almeno una decina di editori da tutto il mondo me lo chiedevano…”.

Poi la scambiano per un’esperta di rivoluzioni e domandano cosa pensa di quelle work in progress nel mondo. Risponde che le piace quella dei gelsomini, in Tunisia, ma che le rivoluzioni non devono essere cruente, gli uomini non debbono soffrire nè morire per esse. Altro applauso del pubblico assiepato per l’evento, silenzioso, intimidito.
In un angolo c’è Serena Dandini con Isabella, la ragazza della libreria “Marescritto” che firma le copie del suo libro “Dai diamanti non nasce niente” (Rizzoli) e i ragazzi del Comitato contro la 275 a quattro corsie (Vito Lisi e Marco Cavalera) col banchetto che sensibilizzano la gente contro il “mostro” che vuol stuprare il Salento.

L’intervista dura pochissimi minuti, la divinità è timida. Poi il tribute della folla silenziosa venuta anche da lontano per conoscere da vicino il mito. Dicono che a Specchia e nei vicoli del centro storico è di casa, che ha qualche amicizia, per cui si vede spesso e in gran segreto. Aspiranti scrittori le si avvicinano, timorosi, chiedendole di lasciare il loro manoscritto: “Me lo mandi a Milano…”, sussurra sorridendo la dea dagli occhi di gatto, bella, di quella bellezza sconfinata che dura in eterno.

Il documentario in cui racconta di sé e della sua vita dura un’ora e un quarto e si può leggere come si vuole: si decide prima la password di decodificazione e poi si “entra”. E’ uno spaccato di vita italiana di mezzo secolo. C’è tutto: la politica, il costume, i libri, la Storia con la “esse” maiuscola, l’anima del tempo appena andato. Lei è una delle protagoniste di assoluto rilievo.

Eccola bambina “mezza ebrea scampata per caso allo stesso destino di Anna Frank”. La madre sposa un ufficiale tedesco che la adotta. E’ bellissima, inquieta, il mondo le sta stretto, decide di conoscerlo da vicino e si mette una macchina fotografica a tracolla.

Una rivista tedesca “femminista”, “Constance”, la mette in copertina, perché Inge è davvero bella: fa anche l’attrice. Impara l’arte del click e dopo la guerra è a New York dove un’altra rivista le compra una foto: “I miei primi 50 dollari…”.

Elegante, capelli nerissimi, curiosa, determinata, appassionata, va a trovare Hemingway a Cuba (lo ritrae ubriaco che dorme a terra) e Picasso (“piccolo, muscoloso, occhi come diamanti neri: un toro”) in Spagna. Ha oltre seimila negativi negli scatoloni, da qualche parte… Poi è in Grecia dove rimane sorpresa dal senso di ospitalità di quella gente, che ritrova nella Puglia meridionale che ha eletto ad agorà del suo “otium” oggi che fa la nonna, ha due splendidi nipotini che sta vedendo diventare uomini e sogna di veder lavorare in Feltrinelli, “Casa Editrice di idee”.

Ecco i viaggi con l’uomo della sua vita, il miliardario Giangiacomo: “Parlava quattro lingue, cosa rara in Italia…”. Sono a Cuba, con Fidel: giocano a basket sulla terrazza della sua casa. Solo a lei concede di farsi fotografare in pigiama alle 7 del mattino. Decidono di cambiare il mondo con i libri. Pubblicano quelli del Gruppo 63, “sapevamo in anticipo che non vendevano più di 1000 copie…”.

Eccoli alla Buchmesse di Francoforte, nelle riunioni di redazione. L’intuizione delle librerie Feltrinelli (oggi sono 300), oggi copiata in tutto il mondo. Fu un viaggio a Cuba per i lavori dell’Internazionale Comunista a cambiarlo, “ci andò da solo”.

Inge parla della sua “tormentata coerenza”: non crede alla teoria della bomba che, marzo 1972, gli sarebbe scoppiata in mano sotto al traliccio di Segrate:

“Dai Borgia a oggi, l’Italia è un Paese pieno di misteri insoluti… No, non mi convincono… Era stato minacciato di morte…”. Best-seller mondiali, ma anche libri brutti, alcuni dei quali invecchiavano precocemente tanto era tumultuoso il ritmo della Storia. Dopo la morte di Giangiacomo, un altro compagno, Tomàs Maldonado, “una roccia”. Le banche non rinnovano le fidejussioni, i giornali danno addosso, “troppo di sinistra”, gli scrittori scappano, gli amici voltano le spalle. “Dovemmo licenziare 25 persone: fu un momento molto duro….”.

Spiega la genesi del “Dottor Zivago”: Boris Pasternak scrisse in francese che non si doveva pubblicare: era il segnale in codice per dire di mettere in azione le rotative. A nulla valsero le pressioni di Togliatti per bloccarle. Poi del “Gattopardo”. “La mia Africa” vendette pochissimo, ma divenne best-seller 20 anni dopo, all’uscita del film con Meryl Streep e Robert Redford. Eccola con Ungaretti, Sciascia, Gabriel Garcìa-Marquèz, “timidissimo, scansava i giornalisti”. Dopo 15 anni in Feltrinelli, cambia scuderia: “Oggi per parlare con lui devi essere almeno Mitterànd…”, ironizza. Eccola con Doris Lessing e Nadine Gordimer.

“L’editoria è cambiata – osserva con un velo di rimpianto negli occhi e la voce – ha altri ritmi: ieri era artigianale, l’incubazione di un libro durava anche 9 mesi… Ma l’editore deve comunque sempre essere un grande seduttore…”.

Poi l’umida notte magno-greca rapisce la dea Inge, il mito, la leggenda. Sfolliamo contenti di poter dire un giorno: “Io c’ero…”.

Francesco Greco


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