Giulio Cesare Vanini, storia di un altro martire
Giulio Cesare Vanini nasce a Taurisano nel 1585 da Giovanni Battista, intendente del feudo per conto di Mercurino Gattinara e da Beatrice Lopez de Noguera, una nobile di origine catalana.
Nel 1601 lascia il suo paese natio per trasferirsi a Napoli, dove studia diritto civile e canonico ed entra nell’Ordine dei Carmelitani con il nome di Frà Gabriele.Laureatosi in utroque iure parte alla volta di Padova per proseguire gli studi di teologia e qui viene attratto dalla polemica di alcuni circoli veneziani contro le autorità ecclesiastiche, allontanandolo dal rigore morale dell’Ordine cui faceva parte.
Presto l’Ordine ingiunge a Vanini e ad un suo confratello, Giovanni Genocchi, di tornare nelle rispettive zone da cui provenivano, ma nel 1612 i due fuggono in Inghilterra, per timore di essere spediti in qualche remoto convento.
Oltremanica i due frati abiurano in pubblico la fede cattolica alla presenza del filosofo Francesco Bacone e ottengono il permesso di predicare nella Chiesa detta “dei Merciai” o “degli Italiani”.Vanini pone al servizio dell’arcivescovo di Canterbury, George Abbot, e della Chiesa Anglicana la sua nota abilità di controversista e la sua conoscenza teologica.
Intanto la Segreteria di Stato Vaticana è già al corrente della fuga di due frati in Inghilterra e teme che possa costituirsi una forte opposizione al Papa tra i protestanti. In realtà i due fuggiaschi non trovano quell’accoglienza in cui avevano sperato e chiedono attraverso numerose lettere indirizzate a Roma il perdono del Papa e il ritorno al cattolicesimo. Ma l’arcivescovo Abbot dispone un’attenta sorveglianza dei due frati e per questioni di sicurezza (crede ormai imminente una loro fuga) chiede che siano arrestati e imprigionati in sedi diverse. E’ il 1614 e il re d’Inghilterra in persona viene informato della questione, in cui peraltro si sospetta il coinvolgimento di agenti di nazioni straniere, in primis l’ambasciatore spagnolo.
A Roma la vicenda è seguita con particolare interesse e proprio con l’aiuto di alte personalità romane Vanini e Genocchi riescono ad evadere di prigione e a riparare a Bruxelles e di lì a Parigi, presso il nunzio apostolico Ubaldini.Entrambi, dopo aver ritrattato, sono riammessi al cattolicesimo e Vanini per ingraziarsi il Vaticano scrive nel 1614 l’Apologia pro Concilio Tridentino, andata perduta.
Vanini è ormai di casa a Parigi, ospite presso le corti libertine del tempo, accolto con grande entusiasmo dalla nobiltà francese che apprezza le sue brillanti conversazioni, le sue battute e soprattutto la sua cultura poliedrica. Tra il 1615 e il 1616 scrive due opere, le sole pervenuteci: Amphiteatrum eternae providentiae e De admirandis naturae reginae deaque mortalium. Vanini per entrambe le opere aveva ottenuto, con l’inganno, licenza dal re e dalla Chiesa. Infatti due teologi della Sorbona avevano espresso il loro benestare a due testi del filosofo che non erano quelli effettivamente in circolazione. I due nuovi testi contengono «alcuni errori contro la comune fede» e la Chiesa non tarda a disporre la distruzione delle copie in circolazione e l’arresto di Vanini.
Sotto la protezione di alcuni nobili, assunto il nome di Pompeo Ugilio, l’autore incriminato fugge da Parigi e ripara a Tolosa, feudo dell’ortodossia cattolica. Qui come precettore si dedica all’insegnamento di dottrine con chiari riferimenti all’ateismo, peraltro argomenti bene accetti tra i giovani aristocratici, ma la voce della presenza di un italiano blasfemo giunge presto alle autorità politiche e religiose della città transalpina.
Il 2 agosto del 1618 il Parlamento di Tolosa dispone l’arresto di Vanini, ormai riconosciuto, con l’accusa di empietà, quindi di ateismo e di lesa maestà. La sentenza è del 9 febbraio 1619: condanna a morte, da eseguire lo stesso giorno. Trascinato nella Place du Salin, passa davanti alla Chiesa di S. Stefano e si rifiuta di chiedere perdono, gridando persino che non poteva farlo perché Dio non esisteva, altrimenti avrebbe colpito il Parlamento per le sue ingiustizie, e che allo stesso modo neanche il diavolo esisteva, altrimenti avrebbe fatto affondare lo stesso Parlamento.
Fissato ad un palo, sul patibolo, al suo ennesimo rifiuto gli viene strappata la lingua con le tenaglie. Viene appeso poi alla forca e infine arso.
La piazza testimone della condanna sarebbe stata ripulita subito dopo per accogliere le nozze di Cristina, sorella di Luigi XIII, e di Vittorio Amedeo di Savoia. Un’ironia piuttosto tragica ha visto la nascita e la morte del filosofo accomunate dalla figura di S. Stefano: nella Chiesa di S. Stefano di Taurisano Vanini ha ricevuto il battesimo; davanti la Chiesa tolosana intitolata allo stesso Santo Protomartire ha ricevuto la morte.
Uno dei più grandi poeti dell’Ottocento, Friedrich Holderlin, gli avrebbe dedicato un suo componimento:
« Empio osarono dirti e d’anatemi
oppressero il tuo cuore e ti legarono
e alle fiamme ti diedero. O uomo
sacro! perché non discendesti in fiamme
dal cielo, il capo a colpire ai blasfemi
e la tempesta tu non invocasti
che spazzasse le ceneri dei barbari
dalla patria lontano e dalla terra!
Ma pur colei che tu già vivo amasti,
sacra Natura te morente accolse,
del loro agire dimentica i nemici
con te raccolse nell’antica pace. »(Vanini, 1798)
Considerato da molti uno dei più grandi esponenti del Libertinisme erudit, Vanini ha sostenuto le sue idee e il libero pensiero anche a costo della vita, ed ha anticipato alcune delle sensibilità che avrebbero caratterizzato l’Età dei Lumi. Ha sempre cercato con le sue teorie di svincolarsi dai condizionamenti indotti dai testi sacri (assai noto era il suo anticlericalismo) e da superstizioni varie. La sua è una figura piuttosto complessa, soprattutto in ragione della sua formazione, perché era un religioso, un medico, un naturalista e persino un mago.
Enrico Troisio
Bibliografia:
Taurisano Guida alla storia, all’arte, al folklore di Roberto Orlando – Congedo Editore
Sitografia:
Wikipedia – Giulio Cesare Vanini