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Il ninfeo delle fate nella masseria Papaleo

Il destino del ninfeo delle fate sito all’interno della masseria Papaleo, sulla strada che da Lecce conduce a San Cesario, sembra sia quello di cadere ciclicamente nel dimenticatoio per poi essere riscoperto nuovamente con rinnovato stupore.

Già nel 1925 Francesco Tummarello, sulla rivista Fede, richiamava l’attenzione delle popolazione locale sull’importante e particolare struttura cinquecentesca sita all’interno del complesso masserizio. Allora lo stato di conservazione del ninfeo risultava essere già precario, anche se era ancora possibile scorgere alcuni dettagli oramai scomparsi. Come ad esempio una parte dell’iscrizione sorretta da due putti in pietra leccese, oggi quasi completamente consunta, sull’architrave dell’ingresso alle sale del ninfeo che recitava “NIMPHIS ET…. POMO….” in carattere lapidario romano [1].

Ingresso al ninfeo delle fate

Sul messaggio capeggiava uno stemma, di cui oggi rimangono solo labile tracce: poco al di sopra, sono intagliati due piccoli scudi colle insegne attaccati alla cornice; in uno dei quali scorgonsi due torri e un leone rampante [1]. Probabilmente si tratta dello stemma di Scipione de Summa, preside della provincia del delfino che morde la mezzaluna turca dal 1532 al 1542. Solo un numero, 1585, ci consente di collocare cronologicamente il complesso.  Lo si legge alla base di un affresco rappresentante l’Annunciazione, sbiadito dal tempo, posto su una lunetta dell’unica scalinata che dal piano terra della masseria conduce in quello che doveva essere un giardino, posto ad un livello sottostante, dal quale si apre l’ingresso al ninfeo. Il giardino si confonde con un ampio spazio, più noto ai leccesi come cave di Marco Vito, 330.000 metri quadri di un paesaggio surreale ottenuto dalle certosine braccia dei cavatufi che hanno scavato giorno dopo giorno la roccia tufacea. Una cava oggetto oggi di un’attenta fase di recupero e riqualificazione tra i quali spicca il progetto di ribaltamento della stazione ferroviaria.

Masseria Papaleo

Il nome “ninfeo delle fate” non è stato assegnato a caso per rievocare mitiche leggende del mondo greco-romane all’interno del quale queste strutture ebbero origine. Posti solitamente in prossimità di sorgenti d’acqua di varia natura, erano luoghi ritenuti sacri per le ninfe che qui si veneravano mentre si poteva godere di veri e propri momenti di ozio. In questo luogo, a due passi dal cuore pulsante della città barocca, le fate ci sono per davvero e se ne stanno li, in attesa che qualcuno valichi quella porta ormai provata dal tempo e in parte ostruita da rovi e altri arbusti spontanei della macchia mediterranea, che hanno preso il posto di un pronao. Nei loro abiti eleganti, dolci lineamenti, acconciature ricercate o col capo ornato di fiori, le fate sembrano voler uscire dalle pareti intonacate d’azzurro nelle quali sembrano essere state imprigionate per rendere partecipi della loro bellezza qualsivoglia individuo abbia avuto la possibilità di varcare quella porta. Anche se sono mutilate dalla braccia non per questo sembrano aver perso la propria eleganza e relativa ipnotica bellezza.

Fate

Fate

Le nicchie sono 12, sei per ogni lato, una rimpetto all’altra. Le figure femminili, in alto rilievo, grandi al vero, sono 6, tre per ogni parete e alternate a nicchie vuote di forma emicilindrica con una grande conchiglia bene intagliata nella parte emisferica superiore [1]

Dalla stanza delle fate si accede ad un secondo vano di forma emisferica, dal diametro di circa 5 metri con un sedile che vi corre tutto intorno e semplici merlature sulla volta. Al centro doveva esserci presumibilmente una vasca e in alto una piccola apertura circolare ora ostruita. 

Un luogo così particolare non poteva essere esente dalla fantasia popolare che qui ha ambientato diverse leggende. Le fate, qui pietrificate, solevano radunarsi per curare il loro tesoro, un’acchiatura, che nascosero accuratamente per rilevarne la posizione solo ad un contadino loro amico. Oppure ancora la leggenda di una ragazza con un intenso desiderio di maternità che la condusse quasi alla follia. Qui veniva per cullare il ramo di un albero proprio come se fosse un bambino. Le fate ebbero pietà di lei tanto da trasformare quel ramo in un bambino in carne ed ossa per donarglielo.

Vano con vasca

Un luogo tanto bello quanto segnato dal tempo. Gli ambienti sono orribilmente sfigurati da crepe e il rischio di crollo della struttura è decisamente elevato. Speriamo che si intervenga prima che sia irrimediabilmente troppo tardi.

Marco Piccinni

BIBLIOGRAFIA

[1] Tummarello, Francesco: Il ninfeo delle fate a Lecce, Fede – rivista quindicinale d’Arte e di Cultura. – a. III, n. 2 (15 gennaio 1925) – consultabile on line a questo link

[2]Cazzato Mario: Guida della Lecce Fantastica, Congedo Editore (2006)


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