Home » Cripte e Ambienti Rupestri » Le Cento pietre di Patù

Le Cento pietre di Patù

Se i luoghi possono essere metafore, Patù lo è di tutto il Sud, di come è diventato parte dell’Italia. Nel 788, le truppe di Carlo Magno distrussero quelle bizantine, longobarde e saracene che occupavano Vereto, città la cui origine è precedente all’invenzione umana della storia: fu la prima fondata dal popolo dei Messapi.[…]

Le forze delle più grandi potenze di Europa si affrontarono lì e l’esito decise l’indirizzo del futuro. Gli unici a non essere nominati sono quelli che ci vivevano; assenti dalla storia perché erano il foglio su cui gli altri la scrivevano. Che fine fecero? […]

Con le pietre della distrutta Vereto, dopo la battagila costruirono un monumento unico in Italia: le cento pietre, una specie di tempio dedicato al Paladino di Carlo Magno che cercò di evitare lo scontro, ma fu ucciso: Geminiano. [1]

Così, Pino Aprile nel suo libro Terroni, parla di Patù, una città le cui fondamenta sono state edificate sul sangue degli abitanti di Vereto, messa a ferro e fuoco dalla truppe di Carlo Magno dopo un primo assedio da parte dei saraceni. Le pietre che costituivano parte integrante della cinta muraria, ormai inutile,  venero trasportate a valle (sul capo da donne forzute secondo una leggenda locale) dalla collina sulla quale si trovavano, e vennero reimpiegate per l’edificazione di un monumento funebre che tanto ancora fa discutere e confondere: la storia di nessun altro luogo è così ricca dei più disparati retroscena, smentite, ed errori clamorosi.

Il monumento delle centopietre

La storica battaglia tenutasi nel campo Re, un terreno adiacente le cento pietre, che secondo alcuni studi non sarebbe supportata da dati archeologici sufficienti ad accertarne il reale svolgimento, venne combattuta il giorno di San Giovanni, il 24 giugno di un anno che cambia a seconda delle fonti. Due dati papabili, 877 e 788, due numeri con i quali non è molto difficile fare confusione. A seconda del secolo di riferimento però le dinamiche cambiano. Nel primo caso sarebbe stato Carlo il Calvo a cavalcare le scene della battaglia e sbaragliare l’esercito che contribuiva al raggiungimento del disegno espansionistico dell’impero Ottomano, anche se probabilmente impossibilitato dato che si intratteneva nello stesso periodo a Varcelli con Papa Giovanni VIII, oltre che avere altri grilli per la testa dal tipico elmetto cornuto: i vichinghi. La seconda data, invece, il 788, vede come protagonista Carlo Magno, la cui presenza sarebbe accreditata tra le poche pagine dell’Historia della Terra de Leuche (Padova, 1653), un opuscolo scritto da mano anonima ma con licenza della Santa Inquisizione, e ritrovato per un caso fortuito negli archivi della biblioteca di Bari. Qui viene citato Carlo figlio di re Pipino, che si mosse con tutto il suo esercito per porre d’assedio la città di Vereto e di Santa Maria di Leuca.

 “..Orlando andò a trovar Rè Carlo che il quale havendo saputo che nella Provintia di Terra d’Otranto era raccolta per paura dei Christiani grandissima quantità de Saraceni, e s’erano salvati e fatti forti in due Città alla confini della Provintia dove si chiama il Capo de Leuche e l’altra Verito, dove Rè Carlo si dispose in tutto volerne vedere la loro disfattione e subito senza perder tempo alcuno, si mosse con tutto il suo esercito e pose l’assedio alla Città de Leuche… dopo Rè Carlo andò e pose l’assedio alla Città di Verito, ch’è vicino qualche tre miglia o quattro à Leuche… e giurò a Dio di non si partire mai dal campo finché non l’hà in mano, e a sua memoria dove stava il campo fè edificarvi una Chiesa nominata S. Giovanni di Campo Rè… da l’una parte quanto da l’altra ne erano assai orti e feriti, essendo stati morti alcuni Cavalieri del Campo, il Rè Carlo ne hebbe grandissimo dolore, e fece lì officiare e seppellire, in monumenti di pietra.” [2]

L’assedio di Carlo magno ebbe successo, liberò il meridione, almeno temporaneamente, dalla minaccia saracena decidendo, come afferma Pino Aprile, il decorso della storia. Di quella battaglia, sulla quale la discussione è ancora aperta rimangono tutt’oggi due segni tangibili, la chiesa di San Giovanni voluta per un ex-voto dello stesso imperatore e il mausoleo delle centopietre (monumento nazionale di seconda classe dal 1873).

“ a Verito  là si stè Rè Carlo in campo gran tempo, il quale Rè Carlo giurò a Dio di non partire mai dal campo finchè no l’ha in mano, & a sua memoria dove stava il campo Rè fè edificar una chiesa nominata San Giovanni di Campo Rè… ” [2]

“..fra li quali Cavalieri morti ci fu un dignissimo  Barone il quale hebbe nome Siminiano..per lo quale Rè Carlo fè edificar una Cappella di cento Pietre, & in quella fece sepelire quel Beato corpo con grandissima dignità”.[2]

Il monumento funebre dedicato al messaggero di pace Geminiano, venne costruito con 100 blocchi isodomi, di cui uno trafugato da ignoti. Qui vi fu deposto temporaneamente il corpo del generale prima di essere collocato in una seconda sede, in Francia.  Originariamente priva di porte, la cento pietre venne riutilizzata successivamente da un gruppo di monaci di culto greco che ne fecero una piccola chiesa rupestre, affrescandone le pareti su più strati, tra i quali si possono ancora intravedere le sagome di 13 figure oltre che i resti di una crocefissione. Gli affreschi, posteriori al XIII secolo, hanno alimentato un ulteriore teoria che vedrebbe l’edificio nascere come luogo di culto proprio in questo lasso di tempo. Ciò che oggi possiamo dire di queste raffigurazioni, spesso reimpiegate da alcuni vandali come souvenir, lo dobbiamo alla riscoperta di un ulteriore opera, attribuita all’artista Galatinese Pietro Cavoti, nella quale sono riportate delle bozze del celebre monumento, considerate alla stregua di istantanee fotografiche, realizzate più di 130 anni fa.

Negli anni ’50 una campagna di scavo ha riportato alla luce diverse sepolture, il chè potrebbe rendere plausibile anche l’ipotesi che la cento pietre altro non fosse se un luogo destinato ad attività sepolcrare, forse privata, posto all’interno di un contesto cimiteriale più ampio.

Interno

Se a Patù è stata veramente scritta la storia come afferma Pino Aprile, è vero che tanta di quella storia deve essere ancora Scritta.

Marco Piccinni

Per informazioni e visite guidate contattare l’associazione Archès al numero 3405897632

 

BIBLIOGRAFIA:

[1] Pino Aprile, Terroni – Edizioni PIEMME (2010)

[2] Historia della città de Leuche – Edizioni dell’Iride (2008)


3 commenti su “Le Cento pietre di Patù

  1. Pino Aprile nel suo libro “Terroni” scrive anche altro su Patù e su qualche personaggio che a scavare a fondo si scoprirebbe che meriterebbe più il silenzio che i monumenti in piazza. La storia d’Italia dei testi scolastici è una mistificazione e l’Italia è stata costruita non con l’assenso ma con una annessione forzata ed una guerra non dichiarata ai Borboni che avevano governato il sud Italia in maniera più produttiva rispetto ai Savoia ed ai traditori del sud che li hanno sostenuti solo per prestigio personale ed in funzione di future poltrone da occupare. L’emigrazione al Sud, stranamente, è iniziata dopo il 1911, esattamente dopo 50 anni dall’unificazione. Al Nord (soprattutto nord-est) era incominciata molti decenni prima. Ma nessuno ha mai dato tanto importanza a questo fenomeno che, invece, la dice lunga sui risultati del modo di governare il sud da parte dei Savoia. Ed ogni altro commento è inutile perché discutere con gli ignoranti (e con i commercianti interessati a fare i loro affari) si perde sempre il proprio tempo.

  2. Antonio Pavanello ha detto:

    eppure a me saltano agli occhi strane similitudini con i templi megalitici di Malta, col modellino del museo archeologico di La Valletta

    • Marco Piccinni ha detto:

      Malta ha molte analogie con il Salento, tantochè esiste anche una teoria seconda la quale molte città maltesi siano state fondate da gente del tacco d’italia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *