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Tabacco e Tabacchine nel Salento

Si apre il pacchetto, se ne sfila una, la si infila in bocca per poi accenderla proteggendo con le mani la fiamma dal vento. Si consuma in poche boccate, un gesto che sa di abitudine per molti, da ansiolitico per altri. Una volta finita, si schiaccia la cicca in una posacenere o per terra. La storia che può raccontare una sigaretta però va ben al di là di una fumata. Il tabacco con il quale è stata realizzata ha un passato che sa di gioia e maledizione, di speranze e sfruttamento. Ingredienti spesso macchiati di rosso, del sangue di chi, con questa pianta, ha potuto sfamare per anni la propria famiglia: le tabacchine.

Tabacchine al lavoro (Fonte: www.pubzine.eu)

Gli europei conobbero il tabacco dai nativi americani, i cui sciamani lo utilizzavano in grandi quantità per auto indursi effetti allucinogeni e stati di trance in cerimoniali religiosi. A questa pianta si riconoscevano anche forti proprietà medicamentose e pesticide, alle quali si affiancarono quelle più ludiche, legate al fumo. Man mano che la presenza europea nel nuovo continente divenne sempre più pressante, e l’opera di evangelizzazione si radicava sempre più anche nelle zone più interne, il tabacco “perse” il suo misticismo per divenire esclusivamente uno strumento di piacere, al quale cedettero volentieri quegli “invasori” che lo portarono con sé nel vecchio continente sotto la voce “droga ricreativa”.

Nel 1559 Jean Nicot (dal quale prenderà poi il nome la nicotina), ambasciatore francese in Portogallo, fece dono di questa pianta alla corte di Caterina de’ Medici. Gli stessi francesi la introdurranno, l’anno seguente, anche nel regno di Napoli, con il nome di erba santa o nicotina,tacciandola come medicinale. Si riteneva, infatti, potesse curare il mal di denti e l’emicrania, le flussioni e la morsicatura di cani idrofobi, le piaghe e la gotta, oltre che essere un ottimo rimedio contro il colera se applicato tramite clistere.

Ferdinando Maria Orlandi ci informa che fosse possibile rinvenirla esclusivamente presso “droghieri, ed aromatarj”. Per poi continuare:

La storia della stessa ci mette al giorno, come dall’uso, ottenuto in medicina, passasse a promuovere quello del diletto degli uomini collo spesso eccitare colle frequenti vellicazioni dei nervi olfattori; e come il semplice piacere, per forza d’abito contratto sia venuto prima poco a poco ad essere stimato indifferente, indi necessario, ed infine a rendersi tra di noi nel breve corso di 75 anni tanto generale che degenerasse in abuso capace da somministrare una non indifferente risorsa alle Pubbliche Finanze.[2]

Una avversione, quella degli intellettuali per il tabacco, che indurrà il vecchio mondo a partorire regole “proibizionistiche”. Il re d’Inghilterra, Giacomo I, nel 1604 paragonava l’uso del tabacco ad

“un’abitudine spiacevole per l’occhio, odiosa per il naso, nociva per il cervello, pericolosa per i polmoni, e che per le sue nere e puzzolenti esalazioni ricorda l’orribile fumo che proviene dal pozzo senza fondo dello Stige”.[1]

Papa Innocenzo X tacciò di scomunica chiunque avesse fatto uso di tabacco all’interno della basilica di San Pietro, mentre i vari governi ed imperi stilavano leggi contro il consumo ed il commercio della pianta maledetta. Ma, nonostante i divieti e le pesanti sanzioni, nobili e popolani si resero conto della forte dipendenza maturata nei confronti del prezioso bene venuto da occidente. E mentre la faccia bella d’Europa metteva al bando il male che in essa si celava, il sud degli Stati Uniti si preparava ad accoglierla come un motore ben congeniato per una fiorente economia in rapida espansione, portando alla nascita della sigaretta, dopo la guerra civile americana, e a dare il benvenuto all’industria del tabacco.

Ferdinando IV, nel regno di Napoli, tornò sui suoi passi abolendo il proibizionismo. Come afferma lo stesso Orlandi:

Solo basta cennare, che guai a colui,  cui fosse toccata la male ventura di ritrovarsi nel contrabbando del tabacco, fino anche nella tabaccheria, per esserne interamente rovinato, ma ora grazie a Dio ci hanno liberi, e se la narrazione per tanti innumerevoli titoli si professa obbligata al glorioso felicissimo governo di Ferdinando IV, per quello certamente dell’abolizione del diritto proibitivo del tabacco, la dev’essere oltremodo.[…]

[…]Di fatti nel 1752 i leccesi si erano talmente assuefatti all’uso del tabacco nostrano, ch’eludendo l’oculatezza degli arredatori, soli se lo fabbricavano onde il governo per ovviare a si fatti voluti disordini risolse, che con assetto s’introducesse in questa provincia una nuova fabbrica, secondo il gusto dei medesimi naturali.

Or in questa provincia si coltiva il tabacco al solo fine di, ridotto in polvere, tirarlo su pe’l naso […].[2]

Così nel ‘700 si preparava il tabacco a Lecce secondo un cronista del tempo: “la qualità di questo tabacco non la cede per niente a quello di Siviglia, ma bisognava lasciarlo invecchiare 8 anni prima di usarlo, si preparava nel modo più semplice e più comune. Per averlo molto buono, non si piglia se non la cima della pianta, e non si fa altro che macinare le foglia al mulino, e si passare la polvere attraverso una mussola, e poi si conserva in una bottiglia di vetro nella quale fermenta ed acquista il suo punto di perfezione.” [7]

Vittorio Bodini ce lo presenta, invece, come un ottimo rimedio per evitare la chiamata alle armi:

al tempo dell’altra guerra contadini e contrabbandieri si mettevano foglie di Xanti-Yaca sotto le ascelle per cadere ammalati. Le febbri artificiali, la malaria presunta di cui tremavano e battevano i denti, era il loro giudizio sui governi e la storia.

Ai frati mendicanti e Cappuccini si attribuiscono le tecniche per una corretta coltivazione e resa del tabacco, che divenne da li a breve, anche nell’estremo Salento, un ingrediente fondamentale per apportare quella desiderata e necessaria ventata modernizzatrice all’agricoltura salentina, perché costituiva una tangibile integrazione allo scarsissimo reddito contadino. Era il momento giusto! A Tricase nel 1884 un insurrezione popolare di cittadini, oppressi dalla politica nazionale e dell’assensa di un lavoro, mise a ferro e fuoco il municipio. Nello stesso anno il principe di Tricase, il senatore Giuseppe Gallone, inviò a Salonicco, un suo stretto collaboratore, Emilio Putzolo, perché apprendesse i metodi di coltivazione e di disseccamento del tabacco, sperimentandoli in agro di Tricase e Supersano; poco dopo arrivarono in provincia di Lecce i rappresentanti della casa Allatini di Salonicco.

Da queste basi nacque una fiorente economia, al pari di quella sudamericana, che per oltre un secolo fu il traino dell’intero promontorio japigio. Nel periodo di maggior splendore erano attivi ben 400 magazzini all’interno del quale lavoravano  400.000 tabacchine, senza tenere in considerazione i coloni e i braccianti che coltivavano, accudivano e coglievano le foglie della pianta, i concessionari, e gli addetti al controllo della qualità del prodotto prima di essere venduto al monopolio.

Macchinari all’interno dello stabilimento ACAIT

I magazzini divennero rapidamente sede di compromessi ed ossimori, una situazione esasperata dall’avvento dell’era fascista che nel leccese, terra del segretario del partito fascista Achille Starace, vedeva la formazione del popolo “ideale” per il regime: morbida argilla da modellare idealmente alla bisogna.

Nei magazzini non si poteva parlare per evitare rimproveri dalla “Maestra”, una donna preposta al controllo del lavoro delle operarie all’interno degli stabilimenti. Non si poteva magiare, se non qualche tozzo di pane nascosto nella tasca del camice quando non si era osservate. Non si poteva arrivare in ritardo, anche se le donne giungevano a piedi nei magazzini da paesi lontani. Non si poteva lavorare meno della quantità individuale di foglie di tabacco a testa. Ogni rimprovero e ammonizione poteva costare cara, come la sospensione dell’operaria “disubbidiente” dal lavoro per qualche giorno. Ma se non lavoravi non venivi pagato e, per migliaia di famiglie, il tabacco garantiva l’unico apporto di contante in casa. Basti pensare che la vendita di un raccolto poteva garantire il sostentamento di una famiglia per un intero anno. L’economia divenne dipendente dal tabacco come molti dei leccesi che ne facevano uso. Solo alle donne che avevano partorito da poco si riservavano dei segni di gentilezza, garantendo loro la possibilità di effettuare delle pause per allattare i propri neonati, custoditi da una balia che viveva in prossimità dei magazzini.

Nursury e asilo – ACAIT

Le condizioni igieniche, i pressanti orari di lavoro e le nuove “esigenze” del partito fascista però, trasformarono rapidamente quello che era il sogno redditizio di molte giovani donne in un vero e proprio incubo. Gli incidenti sul lavoro divennero sempre più frequenti, come le malattie “professionali” contratte dalle tabacchine.

Tra il 1926 ed il 1927, le operaie tabacchine diedero vita, insieme a braccianti e coloni, ad una serie di manifestazioni contro l’obbligatorietà del tesseramento sindacale:  nel novembre del ’26 scesero in lotta le operarie di Neviano, Novoli e Trepuzzi dove  in centinaia manifestarono il proprio dissenso astenendosi dal lavoro:  a decine vennero arrestate per istigazione. La stessa cosa accadde a Poggiardo, dove gli arresti tra le dimostranti ebbero come effetto collaterale quello di espandere il movimento, al quale parteciparono più di 200 lavoratrici. Nei primi tre mesi del 1927, i magazzini di molti paesi del Salento furono teatro di manifestazioni e scioperi di protesta; i casi più clamorosi per numero di partecipanti si verificarono a Soleto e a Salve, dove vennero fermate e denunciate più di 50 tabacchine. Le autorità addette all’ordine pubblico furono sollecitate dal ministro dell’interno ad adottare energiche misure di vigilanza per reprimere ogni manifestazione di dissenso, dovuta, a loro avviso, alla mancanza di un’educazione sindacalista dei lavoratori. Nonostante la vigilanza e la repressione, le operaie tabacchine continuarono a manifestare il proprio dissenso anche nei mesi successivi. Alla riapertura dei magazzini, nel novembre del 1927, le agitazioni continuarono, non solo per protesta contro i contributi sindacali obbligatori, ma anche per chiedere un aumento di salario giornaliero. L’episodio più significativo si manifestò a Marittima, dove il 21 novembre scesero in sciopero più di 150 tabacchine per protestare contro la diminuizione della mercede. Individuate come promotrici dell’abbandono del lavoro, vennero tratte in arresto 21 operaie e, insieme con loro, fu arrestato il locale fiduciario sindacale che, ritenuto responsabile di avere manifestato la propria solidarietà alle lavoratrici, venne immediatamente sospeso dalla carica.

Il 14 maggio del 1935 il Ministero delle Corporazioni, per il tramite del Prefetto, rendeva noto il decreto di scioglimento del Consiglio d’Amministrazione dell’ACAIT (il primo consorzio agricolo del capo di Leuca istituito a Tricase nel 1902) e, per la verità, anche di altri Consorzi cooperativi della provincia di Lecce, per procedere alla fusione di tutti nell’unico Consorzio Agrario Cooperativo di Terra d’Otranto con sede a Lecce.

ACAIT

Un provvedimento che per i tricasini ebbe il peso di un macigno. La preoccupazione di perdere per sempre quel posto di lavoro che, anche se dannato, garantiva a tutti un pezzo di pane. Il giorno successivo migliaia di tabacchine si diedero appuntamento in piazza, dopo il lavoro, per protestare pacificamente contro il provvedimento che minacciava la precaria economia famigliare. Una manifestazione che venne interpretata come una rivolta contro il regime fascista dalla forze dell’ordine, alle quali venne concessa l’autorizzazione, da parte delle autorità, di sparare sulla folla. Gli animi presto si scaldarono come il rogo appiccato al portone del vecchio municipio. Una miccia che fece esplodere la rabbia delle forze dell’ordine che aprirono il fuoco sulla popolazione senza fare sconti:uomini, donne, bambini, anziani. Fu il caos. I dimostranti che scappavano in tutte le direzioni, mescolandosi alla gente che usciva dalla chiesa, chiedendo aiuto a coloro che preventivamente si erano chiusi in casa, implorando l’intervento di un medico che sembrava non arrivare mai. E mentre tutti scappavano dalla triste realtà in cui si erano trovati così improvvisamente coinvolti, il fato cominciava a fare la conta delle vittime: decine i feriti, 5 i morti: Maria Assunta Nesca, Pietro Panarese (di soli 15 anni), Cosima Panico, Pompeo Rizzo, Donata Scolozzi. A loro è stata dedicata una lapide sull’edificio dell’ex municipio, li dove hanno conosciuto la morte.

Lapide commemorativa per le vittime della rivolta

Il tragico evento di Tricase, messo a tacere dalla prepotenza dell’autorità, che si prodigò ad effettuare decine di arresti nelle ore che seguirono la strage, e dalla paura della gente, che da quel giorno eliminò il canto durante la raccolta del tabacco in segno di timore e di rispetto, non servì a garantire un miglioramento della condizione delle tabacchine salentine. Il 25 Gennaio del 1961 le tabacchine di Tiggiano assediarono la città, in segno di protesta  nei confronti dell’amministratore dei beni della Baronessa di Caprarica, nella vicina Tricase, che decise di escludere 250 tiggianesi (all’epoca un quarto della popolazione femminile), preferendo una manodopera forestiera. Le donne intrappolarono le concorrenti nel magazzino mentre il paese da una parte, e le forze militari dall’altra, si preparavano ad una vera e propria guerra. Dopo 27 giorni di sciopero le richieste delle lavoratrici vennero accolte e ritornò l’ordine pubblico tra la generale soddisfazione della popolazione e delle istituzioni. Tutte le tabacchine vennero assunte.

E ancora a Calimera, il 13 giugno 1960 nel magazzino Villani e Pranzo, un incendio scoppiato durante dei lavori di disinfestazione, condotti senza alcuni rispetto delle norme di sicurezza, uccise quattro tabacchine e ne ferì gravemente altre tre.

Una storia, quella della tabacchine e del tabacco che si è persa nel tempo in una nube di fumo, proprio quello che si inspira ogni volta che si accende una sigaretta e la si porta alla bocca.

Marco Piccinni

 

BIBLIOGRAFIA:

[1] wikipedia – Tabacco

[2] Del Tabacco e della Pannina Memorie due, scritte dal Sacerdote D.Ferdinando Maria Orlandi (1786), ripubblicazione anastatica a cura della casa editrice Edizioni dell’Iride di Tricase (2006)

[3] Storia di Tricase, Francesco Accogli, Congedo Editore (1995)

[4] Bona Mixta Malis: fascismo, antifascismo e Chiesa Cattolica nel Salento,  Salvatore Coppola –  Giorgiani Editore (2011)

[5] Tabacco e tabacchine nella memoria storica,  a cura di Vincenzo Santoro e Sergio Torsello – Manni Editore (2002)

[6] Guida della Lecce fantastica, Mario Cazzato – Congedo Editore (2006)

[7] Mauro Ciardo – La Gazzetta del Mezzogiorno, 24 Gennaio 2011


Un commento su “Tabacco e Tabacchine nel Salento

  1. romeo ha detto:

    Il fumo è la più stupida mortale e costosa trappola che l’uomo si sia mai costruito! Inoltre ha un vantaggio inestimabile: prima o poi porta ad un infarto cardiaco che abbrevia la vita del fumatore tanto da risparmiargli di morire di cancro ai polmoni! Smettere di fumare è la più saggia ed intelligente delle decisioni che una persona possa prendere per se stessa e per gli altri, se non sai come farlo vai qui http://www.smettoadesso.it/report-gratuito.html adesso è più facile!

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