La cripta della Favana, Veglie
Situata all’interno del cimitero di Veglie, nei pressi dell’omonimo convento francescano del quale rimangono solo poche mura ed una chiesetta, la cripta della Favana rappresenta un’importante testimonianza artistica in bilico tra credo orientale ed occidentale, dove si ode ancor parlare il latino e il greco.
La chiesa del convento era meta di fedeli che imploravano la grazia al fine di guarire dal favismo, una sindrome molto diffusa nella zona, scatenata dalla presenza di numerose coltivazioni di fave in tutto il circondario. Gli uomini ne erano colpiti più aggressivamente rispetto alla donne per colpa di un difetto congenito trasmesso dal cromosoma X, responsabile di un’anomalia all’interno di un enzima che determina la distruzione dei globuli rossi se sollecitato dall’ingestione di alcuni alimenti, tra cui le fave.
Pallore, debolezza, urine arancioni, febbre, anemia, respiro difficoltoso e altri sintomi, rappresentavano un campanello di allarme inopinabile che conduceva il malcapitato a recarsi con eccessivo zelo nella chiesa del convento della Favana, o nella vicina cripta, all’interno della quale, dopo alcune ore di preghiera, la malattia sembrava retrocedere in favore della pronta guarigione.
Molti ritengono che le condizioni climatiche dell’invaso ipogeico potessero in qualche modo dar sollievo al sofferente, il quale vedeva arrestare la corsa dei sintomi al punto da poter fare ritorno con tranquillità a casa propria, sicuro di un intercessione celeste. Auto-suggestione da placebo, intervento miracoloso, pura coincidenza o che dir si voglia, i richiedenti “assistenza medica alternativa” facevano puntualmente ritorno sui propri passi e con le proprie gambe, consci di essere guariti dal male che li aveva colpiti così inaspettatamente.
L’invaso è a navata unica conclusa da un abside orientata ad est, affiancato da un piccolo locale che comunica attraverso due arcate, sia con la cripta vera e propria che con il dromos d’accesso nel quale è stata ricavata una scala, che può aver svolto la funzione di pastophorion (per ricevere le offerte dei fedeli o conservare i paramenti sacri). Era presente un altare addossato alla parete absidata su cui è anche ricavata una nicchia e qualche traccia di gradino-sedile.
È l’unico esempio di cripta rimasto con affrescato, secondo un’impostazione prettamente greca, anche il soffitto: su uno sfondo stellato in un cerchio è rappresentato il Pantocreatore attorniano da quattro angeli e dai simboli dei 4 evangelisti; leggermente staccate vi sono le tracce di due serafini; il Cristo dispensa la benedizione con un mano, mentre con l’altra regge un libro aperto con una lunga iscrizione greca la quale recita «Io sono la porta. Chi per mezzo mio entrerà sarà salvo, ed entrerà ed uscirà e…». Con queste parole si presenta come unico mediatore tra i due mondi, tra il terreno e l’ultraterreno, strada invisibile tramite la quale permettere agli uomini di raggiungere il Padre.
I santi e le due Madonne rappresentati sulle pareti, dai nimbi decorati con piccoli raggi e incisi nei contorni, sembrano essere stati partoriti da più mani. Si notano elementi più rozzi, altri maggiormente curati nei dettagli. È opinione comune che l’intero ciclo sia stato concepito in un’unica soluzione nella sua interezza nel XV sec. (su un unico strato di intonaco), selezionando armoniosamente Santi appartenenti al culto greco e a quello latino, lasciando così ipotizzare che si sia trattato fin da subito di un luogo di culto legato ai bisogni di una piccola comunità rurale mista.
Numerosi sono gli affreschi che si articolano, oltre che sulla volta, anche su tre pareti. A partire dalla parete immediatamente a sinistra della scala di accesso incontriamo una Vergine a figura intera che indossa il maphorion sul chitone, regge il figlio benedicente alla greca. Alla sua sinistra un Santo Stefano con indosso la dalmatica diaconale, in una mano regge un libro e nell’altra l’incensiere di cui si distingue solamente la parte superiore. Segue Sant’Antonio da Padova (la cui presenza, così come quella di San Francesco d’Assisi nell’atto di ricevere le stigmate, è dovuta all’influenza degli officianti del vicino convento), con indosso l’abito francescano e in mano l’evangelio. Nella parte inferiore si intravedono dei rami che probabilmente simboleggiano l’albero di noce sul quale il Santo predicava negli ultimi tempi della sua vita.
La parete absidata, oltre all’Arcangelo Michele, rappresentato nell’atto di trafiggere il drago, e ad un San Francesco, comprende, nel catino absidale, la trinità (con l’iscrizione latina TRINITAS) affiancata da San Giovanni Battista (che regge un cartiglio con l’iscrizione greca «Voce di colui che chiama nel deserto») e San Giovanni Evangelista (che regge uno stilo ed una pergamena). Nella Trinità il Padre assiso in trono regge la croce sovrastata dalla colomba, simbolo dello Spirito Santo, e sulla croce il cartiglio con la sigla I.N.R.I..
Sant’Antonio Abate, inaugura la parete successiva. Indossa il saio scuro su tonaca bianca, ha gli attributi del bastone a T, quelli del maialino e regge, in una mano, un cartiglio con una lunga iscrizione in greco, in gran parte mutilata, di cui si riesce a leggere «Amate Dio e odiate il mondo». Segue l’apostolo Sant’Andrea, che veste una tunica e un mantello e porta sulle spalle la croce dell’iconografia occidentale.
Concludono il ciclo, sull’ultima parete un Cristo tra i santi Pietro e Paolo (la figura di Cristo è di dimensioni ridotte rispetto a quella dei due Santi che lo affiancano) e una dolce Vergine che allatta il suo Bambino, seduta su un trono simile a quello del padre raffigurato nella trinità.
Marco Piccinni
BIBLIOGRAFIA:
Fonseca, Bruno, Ingrosso, Marotta – Gli insediamenti rupestri medioevali nel Basso Salento, Congedo Editore (1979)
complimenti per la pregevole pubblicizzazione del Salento c.d. minore.
forse mancano riferimenti temporali alle descrizioni della Cripta della Favana.
chi è interessato all’arte e opere rupestri in quale lavoro a stampa può trovare maggiori informazioni per codesta terra meravigliosa?
Enzo Sacchetti
Grazie! Sicuramente “Insediamenti rupestri medievali nel Basso Salento” del Fonseca.