Alfredo Codacci-Pisanelli
Due importanti scritti per ricordare l’Uomo, lo Studioso, il Politico
a cura di Francesco Accogli
Un importante personaggio che molto profuse per l’incremento economico e sociale di Tricase, del Capo di Leuca e dell’intera Terra d’Otranto fu l’On. Prof. Alfredo Codacci – Pisanelli. Egli, come è noto, non nacque a Tricase, ma ebbe nella nostra cittadina, e non solo in essa, una importanza sicuramente non secondaria. Il collegio di Tricase, infatti, lo elesse per ben sette legislature. Militò ed appartenne sempre alla Destra liberale, fu amico del Marchese A. Di Rudinì, dell’On. L. Luzzati, dell’On. A. Salandra e dell’On. F. S. Nitti. Coprì uffici importanti ed incarichi di notevole prestigio in Parlamento, nell’Università e in diversi Enti.
Il nostro interessamento è motivato anche dal fatto che il 21 febbraio scorso è ricorso l’ottantesimo anniversario della morte. La ricorrenza ci è sembrata propizia per ricordare l’On. Prof. Alfredo Codacci – Pisanelli con un intervento di Vittorio Emanuele Orlando (Palermo, 1860 – Roma, 1952) scritto pochi giorni dopo la scomparsa e pubblicato prima nell’Annuario Universitario della Regia Università degli Studi di Roma nell’anno accademico 1928-1929 e ripreso poi nel 1930 dalla rivista “Il Salento”, Rassegna annuale della vita e del pensiero salentino.
L’altro intervento che segue, pubblicato nel febbraio 1978 nel periodico locale “Bollettino Popolare”, è dell’Avvocato Gianni Raeli di Tricase. Il Raeli ci fornisce, a differenza di V. E. Orlando, delle informazioni che sono più legate a Tricase e al Salento, permettendoci di offrire al lettore una panoramica più dettagliata sul politico Alfredo Codacci – Pisanelli.
Come si potrà notare i due scritti si integrano e si completano bene nonostante la differenza di circa cinquant’anni uno dall’altro e ci illustrano, con bravura e con nobili sentimenti, le qualità e l’impegno di un Uomo che ha lasciato, in Tricase e nel Meridione d’Italia, diverse testimonianze concrete del Suo operato politico, economico e sociale.
Per coloro che fossero interessati si consiglia: NUCCIO, Oscar, ALFREDO CODACCI PISANELLI. Atti Parlamentari per la “Puglia” la “Terra d’Otranto” il “Capo di Leuca” (1897 – 1925), Galatina, TorGraf, 1999.
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Il contributo di Vittorio Emanuele Orlando:
Il 21 febbraio 1929 l’on. Alfredo Codacci – Pisanelli si spegneva serenamente tra il compianto generale. Fissare su queste pagine la figura indimenticabile di Lui – scienziato e uomo politico – era per la nostra pubblicazione un imprescindibile dovere: ma quale penna più adatta e autorevole di quella di S. E. l’On. Vittorio Emmanuele Orlando poteva darci nella compiutezza di una autorità indiscussa l’opportunità di adempire a tale obbligo? Riportiamo dunque – semplicemente – il seguente studio, che non ha bisogno di commenti ed è, per l’Uomo che il Salento piange, il più degno piedistallo di riconoscenza e di amore.
Alfredo Codacci – Pisanelli nacque a Firenze il 7 agosto 1861, da Luigi Codacci, toscano, e da Bianca Naldini, che nell’aprile 1869 sposò a seconde nozze Giuseppe Pisanelli; questi volle, per testamento, che Alfredo Codacci aggiungesse al proprio cognome quello di Pisanelli. Il portare un gran nome è un onore che determina una gravosa responsabilità; questa volta, l’illustre giureconsulto e statista pugliese non poteva il suo più degnamente affidare. Chè Alfredo Codacci – Pisanelli, non solo ne mantenne e ne prolungò la nobile fama, ma si costituì, in un certo senso, l’erede spirituale del padre adottivo, nell’opera e nel sentimento, per il Diritto e per la Patria.
Laureato in giurisprudenza nel 1883, Egli si recò all’Estero per perfezionarsi nei Suoi studii. Se la coscienza delle proprie manchevolezze, determinante la ferma risoluzione di ripararle, è una forza per gli individui come per i popoli, dobbiamo felicitarci che l’Italia di quel tempo avvertisse la necessità di rinnovare i suoi metodi scientifici; che se essa fu sempre ferace nel produrre sommi intelletti, il lungo servaggio e la disunione avevano impedito che al valore dei singoli si mantenesse pari la perfezione delle scuole. Or, allora, specie nelle scienze giuridiche, i migliori modelli in tal senso offriva la Germania, e così il giovine Alfredo i due anni successivi alla laurea passò a Berlino, presso quella Università, con Maffeo Pantaloni, Ugo Mazzola, Antonio De Viti De Marco, ed altri ancora, i quali orme così profonde dovevano lasciare nella rinnovata scienza d’Italia.
Compiuta per tal modo, una degna preparazione, Egli nel 1885, ventiquattrenne appena, viene assunto all’insegnamento dell’Economia Politica e della Scienza delle Finanze nella Università di Camerino; nel 1886 vince il concorso per la Cattedra di Diritto Amministrativo e Scienza dell’Amministrazione nella Regia Università di Pavia. Nel 1888 passò come ordinario in quella di Pisa e dal 1899 – 900 in poi, con varie qualità (dipendenti anche dal sorteggio cui erano allora soggetti i professori deputati) insegnò nell’Università di Roma.
Più particolarmente, dal 1903 tenne all’insegnamento di Scienza dell’Amministrazione; ed al principio di quest’anno accademico 1928-29, avendo Antonio Salandra lasciato l’insegnamento di Diritto Amministrativo per limiti di età, la Facoltà di Roma volle che le due cattedre si unissero e l’insegnamento fosse, come fu, a Lui affidato.
Con l’attività universitaria s’intreccia quella politica. Giovanissimo ancora (in rapporto alla legge e al costume del tempo) egli fu eletto deputato il 21 aprile 1897 dal Collegio di Tricase, per la 20° legislatura: così anche l’attività politica di Lui coincide, nel Suo cominciamento, con quella di chi scrive queste righe, penetrato da intensa emozione ricordando quella che lo stesso compianto Amico chiamò in un autografo carissimo “fraternità di armi” durata per oltre un quarantennio, non meno nella Università che nel Parlamento.
Fedelissimi Gli rimasero i suoi elettori di Tricase fino al 1919; dopo, senza interruzione, Egli fu confermato deputato nel 1921, dal nuovo collegio provinciale di Lecce, e nel 1924, allargatasi ancora la circoscrizione, dal collegio unico della regione pugliese; rimase pertanto deputato per un trentennio, sino al recentissimo scioglimento dell’ultima legislatura.
Fu Sottosegretario di Stato al Tesoro, una prima volta dal 28 dicembre 1904 al 31 marzo 1905, e poi di nuovo dal 13 febbraio al 31 maggio 1906; Sottosegretario di Stato all’Agricoltura Industria e Commercio dal 14 dicembre 1909 al 2 aprile 1910.
Questi brevi cenni biografici in quanto attestano tutta una vita spesa in una intensa, ininterrotta attività scientifica e politica, contengono già, per loro stessi, un eloquente elogio di Lui, certamente quello che Egli di più avrebbe gradito.
Chè due furono le note dominanti di tutta la Sua nobile esistenza: la dedizione completa ed assoluta al dovere, la semplicità e la modestia onde Egli, pur adempiendolo in maniera incomparabile, rifuggì sempre dall’attribuirsene alcun merito. Per il concorso simultaneo e perfetto di queste due qualità, Egli ci appare, più che straordinario, unico. Come giurista, la Sua attività produttrice, se non fu eccezionalmente copiosa (lo scrupolo della Sua coscienza scientifica faceva si che Egli sacrificasse la quantità alla qualità) fu sempre costante e assidua; ai Suoi scritti poi si deve attribuire questo merito rarissimo, cioè che ognuno di essi non costituisce soltanto un contributo di alto pregio, ma lascia sull’argomento trattato un’impronta profonda ed incancellabile. Il Suo lavoro sul “Dogma della sovranità popolare” 1890, è una sintesi perfetta del pensiero generale della nuova scuola giuridica italiana, che in quel tempo era in tutto il suo pieno fervore di rinnovamento, mettendosi arditamente e definitivamente in contrasto con le teorie tradizionali delle scuole democratiche atomistiche fin allora predominanti. Egli dunque, si rifiuta risolutamente ad ammettere le dottrine del diritto naturale e del contratto sociale; dimostra l’insussistenza logico giuridica del “dogma” della sovranità popolare che da quelle dottrine derivava; alle quali contrappone, difende ed illustra quel principio dell’unità dello Stato e della sua personalità come fonte della sovranità, che costituì il pernio del sistema adottato dalla giovane scuola italiana. La Sua padronanza dei principii e delle teorie fondamentali, si afferma non meno ammirevolmente nell’altro Suo magistrale lavoro: “Legge e regolamento” 1888.
Questa monografia, seguita subito dopo da una Sua nota “Sulle ordinanze di urgenza“, affrontava, per la prima volta in Italia, con metodo puramente giuridico, uno dei temi più ardui; orbene, i capisaldi di esso furon fissati in maniera che ben può dirsi sia rimasta definitiva, malgrado gli ulteriori e più ampi studii di altri eminenti autori. Carattere più strettamente di diritto positivo hanno altri lavori fra i quali ricordiamo subito “L’eccesso di potere nel Contenzioso Amministrativo” 1892. Anche qui, Egli affronta un tema perfettamente nuovo, in cui la tradizione che quella stessa espressione aveva nel nostro diritto precedente, in confronto dell’uso fattone dalla legge Crispi del 1879, poteva determinare confusione ed errori; ed anche qui il nostro Autore fissa definitivamente quei principii che diventano senz’altro dominanti nella giurisprudenza di quell’istituto che ebbe come primo suo Presidente Silvio Spaventa e poi, Giorgio Giorgi e Adeodato Bonasi. Eguale valore definitivo hanno altri Suoi lavori, come quello su “l’azioni popolari” 1891; e così successivamente le monografie e le relazioni parlamentari e gli articoli svariatissimi attestan sempre la più austera preparazione e lo studio più profondo, sino all’ultimo lavoro da Lui pubblicato nel volume per le onoranze ad Antonio Salandra, e che, ahimè, costituisce quasi il Suo testamento scientifico, discorrendo da par suo, del metodo nella trattazione e nell’insegnamento delle discipline amministrative.
Un uomo che aveva siffattamente accresciuto il patrimonio scientifico del Suo paese, poteva trarne motivo di un orgoglio che sarebbe stato, quant’altro mai, legittimo. Ma il nostro Codacci – Pisanelli, pur avendone il diritto, non si atteggiò mai a “doctor gloriosus“. Nella Sua modestia e nella Sua semplicità, in confronto alla nobiltà dell’opera, Egli ci appare veramente eroico, se, come sarebbe giusto e desiderabile, per quanto sia difforme dall’uso, una tale qualificazione debba valere come tributo reso a un’autentica grandezza di animo, anche quando non sia accompagnata da una esibizione pomposa della propria personalità e una esaltazione clamorosa delle proprie gesta! Ed egualmente, la perfetta probità, la rettitudine, la purezza adamantina del carattere non furono in Lui soltanto quelle qualità etiche ordinarie che debbono riscontrarsi in ogni uomo rispettabile; esse si elevarono, e, direi, si sublimarono sino a fare della Sua persona un simbolo.
Nell’Università come nella politica, nella famiglia (che per moltiplicazione e unione crebbe intorno a Lui in forma augusta come intorno a un antico patriarca), nelle amicizie (in cui diede sempre, inesauribilmente, e non chiese mai), Egli fu di un’incomparabile altezza e nobiltà. Non cercò acclamazioni, non reclamò lodi; non conobbe il tedio sconsolato di chi si vede, come spesso Egli fu, ingiustamente dimenticato negli onori e nelle cariche, in confronto di men degni; al contrario, si sarebbe detto che Egli trovasse perfettamente naturale di non ricevere ricognizioni adeguate al bene che fece, come se la Sua stessa vocazione di offrirsi a idealità o a persone care lo avvertisse che l’attribuita ricompensa, anche non chiesta, attenua la purezza dell’atto di abnegazione.
Questa modestia, questa semplicità, questo disinteresse tuttavia non furon mai timidità. Quando il dovere glielo imponeva, quando la legge di coerenza verso la Sua fede Lo determinava, Egli seppe mostrarsi fermo ed inflessibile, coraggioso ed ardente; né piegò mai verso le ire delle folle, né verso i potenti.
Ma anche in siffatte reazioni imposte da un imperativo categorico, inalterata restava la naturale bontà; l’asprezza della lotta non generò mai, in Lui, sentimenti di asilo e tanto meno di odio, né alcuna ombra offuscò mai la serenità dell’anima, sempre indulgente, generosa e benevola.
Del resto, la grandezza della perdita, è comprovata dall’eco profonda e vibrante di dolore suscitata dalla notizia ferale, il mattino del 21 febbraio. E fu dolore di colleghi, di studenti, di amici, di avversarii (nemici non ebbe) di tutti quanti, insomma, Lo conobbero e, per ciò solo, Lo stimarono e Lo amarono. Questo universale compianto ha un significato che conforta quel senso di ottimismo che non di rado è messo a dura prova da qualche amara esperienza: attesta, infatti, che dopo tutto, le anime schiette ed oneste, gli spiriti veramente nobili e grandi hanno pure il loro fascino dominatore e, malgrado la loro stessa semplicità e modestia, arrivano ad imporre il rispetto di quel massimo fra i valori umani che è la superiorità morale.
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Contributo di Gianni Raeli
Alfredo Codacci – Pisanelli nacque a Firenze il 7-8-1861. Adottato da Giuseppe Pisanelli, si trasferì giovanissimo nel Mezzogiorno. Da Pisanelli, che lo educò e lo istituì suo erede, e dai suoi insigni amici, Imbriani, Spaventa, Scialoya, Mancini, De Santis, Borghi, Massari e Tarantini, gli fu ispirato l’amore verso la Patria e la Giurisprudenza. Appartenne, come il suo maestro e padre adottivo, a quella schiera di patrioti, che hanno tutto donato alla Patria, mantenendosi sempre integri e puri, anche attraverso le degenerazioni della vita politica e parlamentare. Laureatosi in Legge a Napoli e completati gli studi in Germania, a 24 anni già insegnò Scienze delle Finanze all’Università di Camerino. Conseguita, per concorso, nel 1886 la cattedra di diritto amministrativo presso l’Università di Pisa, esercitò tale insegnamento sino al 1898, quando ottenne presso l’Università di Roma, la cattedra di Scienza dell’Amministrazione. Esercitò anche, con particolare competenza, la professione forense. Tra i suoi scritti, generalmente brevi, ma sempre concettosi e incisivi, ricordiamo “L’Azione popolare” (1887), “Legge e Regolamento” e “Il dogma della Sovranità popolare” (1891), “Scritti di Diritto pubblico” (1900), “Lezioni di Diritto amministrativo” (1901) e “Lezioni di scienza dell’amministrazione” (1928).
Avversario irriducibile di qualsiasi tendenza demagogica, dette un indirizzo austeramente positivo e giuridico alle sue indagini ed alle sue monografie, riguardanti le “azioni popolari”, le ordinanze di urgenza, l’eccesso di potere nel contenzioso amministrativo, la riforma della giustizia amministrativa e ad altri temi di diritto pubblico. Alfredo Codacci – Pisanelli, oltre ad essere stato profondo cultore di diritto e valente docente, fu anche un grande uomo politico e di governo. Fu deputato del Collegio di Tricase dal 1897 al 1929, appartenendo al gruppo politico di destra, raccolto intorno a Sidney Sonnino. Fu sottosegretario di Stato dal 28-12-1904 al 31-3-1905, nel secondo governo di Giolitti, che, nel 1904, per stroncare la imperante demagogia aveva provocato nel novembre dello stesso anno, lo scioglimento delle Camere e nuove elezioni, favorendo le tendenze moderate e appoggiandosi alle forze cattoliche, per rafforzare la compagine nazionale. Fu nuovamente sottosegretario dal 13-2 al 31-5-1906 e dal 14-2-1909 al 4-2-1910 nei governi presieduti da Sonnino, collaborando nell’attuazione di vasti programmi che comprendevano la risoluzione dei problemi della scuola, tributi locali, ferrovie, riduzione della ferma obbligatoria, banca del lavoro ed altri. Passò poi all’opposizione e, nella breve legislatura dal 1919 al 1921, rimase fermo al suo posto, nella esigua ma stimata pattuglia di “destra”. Rieletto deputato nel 1921, fu nominato presidente del Gruppo liberale di destra. Fece parte e fu anche relatore di importanti commissioni parlamentari, come quella sul Regolamento della Camera, sulle elezioni, sull’emigrazione e sulla Riforma universitaria. Di quest’ultimo discorso, tenuto alla Camera l’11-5-1899, ci sembra doveroso ricordare almeno la parte, nella quale l’on. Codacci – Pisanelli espose compiutamente e lucidamente gli inconvenienti e le deficienze di allora che, a nostro sommesso avviso, sono, sia pure peggiore, quelle di oggi.
“Gli inconvenienti maggiori, i quali – in venti anni di vita universitaria, si sono rivelati alla mia modesta esperienza, prima di scolaro e poi di professore, sono i seguenti: insufficienza di attrattiva nella carriera di insegnamento verso il fiore intellettuale della Nazione che, un po’ per difetto di garanzie efficaci nelle norme relative all’ammissione e all’avanzamenti nella carriera stessa, e più per la esiguità delle retribuzioni, non si riesce sempre ad assorbire nel culto esclusivo della scienza; mercato indecente sulle firme di iscrizione, non solo da parte di alcuni liberi docenti, ma talora anche da parte di qualche insegnante ufficiale, per corsi liberi che, per lo più, non si ascoltano e, talora, non si fanno addirittura, mentre sono pagati a spese dello Stato, sul quale ogni studente può trarre assegni che a lui nulla costano, a beneficio di chi tiene corsi liberi; mancanza, quasi generale, di partecipazione attiva degli scolari alla ricerca scientifica, nella quale non può essere guida sufficiente la lezione accademica, che spesso passa senza lasciare alcuna traccia di se; eccessiva produzione di laureati, il medio livello intellettuale dei quali si va sempre più abbassando, come sempre più cresce, per essi, la difficoltà di trovare un utile collocamento nella società moderna; indisciplinatezza della scolaresca, la quale si agita periodicamente, quasi sempre senza motivo ragionevole, e spesso con lo scopo di ottenere la chiusura dell’Università che, comminata in via di pena, si risolve, sovente, come il mio egregio amico, l’on. Orlando rilevava, scrivendo un arguto articolo, in un premio alla infingardaggine di coloro che con le agitazioni mirano a far chiudere l’Università per diminuire il numero delle lezioni e, con esse, la materia da esporre agli esami, quasi dovunque informati ad una indulgenza eccessiva, morbosa e funesta; deficienza, quasi universale, di mezzi, di studio adeguati, a cominciare dai locali nei quali si impegna, per finire alle biblioteche ed ai gabinetti scientifici”.
Speciale menzione merita anche la relazione, su incarico della Commissione Reale, per la riforma delle leggi sulla giustizia amministrativa, che ebbe l’onore, di essere, insieme alle conclusioni, integralmente trasfusa nella riforma del Consiglio di Stato. Ma l’opera dell’illustre parlamentare più feconda e meritoria fu quella dedicata all’incremento economico di Terra d’Otranto e del Capo di Leuca. Il nome dell’On. Codacci – Pisanelli è indissolubilmente legato alla cooperazione agraria ed edilizia, alla “concessione” delle ferrovie salentine, alla sistemazione delle Terme di S. Cesarea, alla estensione della coltivazione dei nostri tabacchi e alla loro esportazione, alla costruzione della “litoranea” Leuca – Otranto, alle opere portuali di Otranto e Tricase, all’acquedotto pugliese, nonché alla risoluzione dei più importanti problemi dell’epoca in provincia di Lecce. Alla Camera pronunziò notevoli discorsi sul problema delle pensioni, sulla municipalizzazione dei servizi pubblici, sulla finanza locale, sull’emigrazione, sull’acquedotto pugliese, sulle condizioni economiche del Salento, sul tabacco e sulle ferrovie salentine. L’azione, decisa e corretta, da lui svolta nel governo, l’alto sapere, la sua prudenza, la pienezza del giudizio, il senso pratico, le idee chiare, a cui era aggiunta una onestà di intenzioni nobilissime e una realtà senza pari, indusse l’On. Luzzati, suo ministro e maestro, ad incaricarlo di sostenere, dal banco del governo, importanti relazioni e, tra le più importanti, quella della legge sulla trasformazione del debito ipotecario e sui provvedimenti per il Mezzogiorno. Fu tenace avversario del governo Nitti ed è ricordato il fiero e denso discorso che pronunziò il 10-7-1919 in occasione della presentazione del suddetto governo alla Camera. E tale rimase l’atteggiamento dell’on. Codacci – Pisanelli, nonostante le più lusinghiere offerte e, tra queste, la più seducente, e cioè quella di affidargli, nonostante la sua tenace opposizione, la presidenza di quell’Ente per le acque di Puglia (Acquedotto pugliese) alla cui preparazione aveva dedicato lungo studio e assiduo lavoro di propaganda e discussione. Ma rinunziò alla suddetta pratica, sebbene fosse stato unanimemente proposto dalla deputazione politica pugliese, ritenendo che l’accettare quell’ufficio da un governo, cui egli era tanto avverso, gli avrebbe tolto prestigio morale, necessario per adempiere degnamente una così alta funzione. Nel 1924, a cinque anni dalla morte, avvenuta il 21-2-1929 a Roma, l’On. Codacci – Pisanelli, il quale non volle mai venire meno ai suoi ideali di patriota e “uomo di diritto”, ebbe a dichiarare, in occasione di una sua intervista:
“la meta e l’altezza, di cui in me vive la speranza, è quella di un “buon Stato”, anche nella gerarchia civile e militare; che nella Giustizia trovi il fondamento suo ed il fine precipuo; che sia equanime tutore delle libertà e delle energie svolgentesi nell’ordine saldamente mantenuto; che promuova in ogni classe sociale l’elemento della salute, della cultura, della ricchezza, tenendosi in armonia con le correnti dell’opinione pubblica, senza lasciarsi paralizzare da ogni isterico conato di una Camera, anche se ridotta, come era un tempo, a conventicola di politicanti e demagoghi.
Per quanto riguarda il tabacco e la cooperazione agricola, non possiamo fare a meno di ricordare il magnifico discorso, tenuto dall’on. Codacci – Pisanelli alla Camera dei Deputati nel giugno del 1903, per chiedere aiuti al Governo, allo scopo di dare incremento alla coltura. Né può essere dimenticato che, nel 1902, creò, in Tricase, il Consorzio Agrario per il Capo di Leuca (ora A.C.A.I.T.) cooperativa tra gli agricoltori per la coltivazione e lavorazione dei tabacchi levantini, sia per il mercato interno che per l’esportazione. Anche per il suo interessamento venne costruito, tra Tricase e Alessano, un magazzino di lavorazione per il tabacco dello Stato. L’On. Codacci – Pisanelli fu anche propugnatore autorevole della cooperazione nel campo dell’edilizia. Basti, su tale attività, ricordare quanto ebbe a dichiarare nel 1921: “La cooperazione edilizia è forse quella che più risponde ad un desiderio e a un bisogno vivamente e largamente sentito. Mancano le case in Terra d’Otranto, come mancano in quasi tutte le province d’Italia. Abbonda, però, tra noi il risparmio; cui una ben ordinata organizzazione di edilizia popolare potrà bene offrire un impiego attraente nelle due forme, opposte e integrantesi fra loro, delle costruzioni facilitate da mutui assicurativi e dei depositi a risparmio destinati e vincolati al finanziamento di questi indefettibili mutui”.
Molto si potrebbe e si dovrebbe ancora dire sull’On. Codacci – Pisanelli, come “Uomo”, come studioso e professionista e, infine, come politico. Mancano, purtroppo, lo spazio e le capacità per essere completi.
Ci scusiamo, pertanto, con i lettori, per le lacune e le deficienze in cui siamo incorsi e che saranno certamente notate! Non è facile dire tutto e bene su un “Personaggio”, “il cui valore”, come giustamente dichiarato da un giornalista dell’epoca, “esce dagli angusti confini della provincia di Lecce e diviene fortuna e gloria della intera Nazione. Noi ci inchiniamo riverenti, spiacenti solamente di non poter dire di lui quanto basti a stare al pari dei suoi meriti”.