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La storia di Otranto

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Otranto sorge al termine di una valle resa fertile dalle acque del fiume Idro che ha dato anche il nome alla città.

Otranto, Hydros per i Greci e Hydruntum per i Romani, ha origini che si perdono nella notte dei tempi. Qui l’insediamento umano è stato favorito dal clima sempre mite, dalla ricchezza del territorio e dalla posizione geografica che proietta verso oriente e pone al centro di rotte commerciali che nel mondo antico hanno rivestito grande importanza. Ed infatti la città ha tessuto per millenni stretti rapporti con le civiltà d’oltreadriatico, greci e cretesi in particolare. Ed Otranto pare che sia nata proprio come colonia cretese anche se mancano notizie certe al riguardo.

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Nzacareddhre e Zigareddhre: I colori, la cura delle malattie, il legame con i Santi

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Dio vede e provvede”. Dio e la sua lunga schiera di Santi. Uno per ogni malattia…

Sant’Antonio Abate protegge contro ogni tipo di contagio e soprattutto contro il fuoco di Sant’Antonio; Sant’Apollonia viene invocata per il mal di denti; San’Eustachio protegge dalle patologie all’intestino. Contro le malattie nervose, la rabbia e la follia si invoca Sant’Acario di Noyon, il patrono dei caratteri difficili; Santa Marina per l’itterizia…

Secondo la medicina popolare, le malattie provenivano da forze malefiche svegliate dall’invidia, dal malocchio o dall’ira divina per i peccati commessi da noi poveri mortali.

Il malato poteva sperare nell’opera di un guaritore dotato di “fluido benefico”, o di un mago  che, con sortilegi, erbe e amuleti, poteva riuscire a mandar via il malocchio.

Ma se il medico, il mago o il guaritore fallivano nella loro impresa, al povero non rimaneva che invocare con fede e fiducia l’intercessione di qualche Santo Taumaturgo specializzato nella guarigione del suo malessere…

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Giuseppe de Maggio, un salentino con due cuori

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Articolo di Alessandro Laporta, direttore della Bilbioteca Provinciale di LecceL’uomo con due cuori, pubblicato su “Terra di Leuca” – n. 35 – febbraio 2010, consultabile on line a questo link.

Un breve trafiletto anonimo, apparso sul giornale La Provincia di Lecce nel 1904 informa il lettore curioso dell’esistenza di un “uomo – fenomeno”. Si tratta esattamente di Giuseppe De Maggio, nato a Scorrano nel 1881, diventato evidentemente un personaggio a causa di una malformazione assolutamente unica: la presenza di due cuori, uno a destra e “uno insensibile a sinistra” insieme ad altre particolari anomalie agli organi interni.

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Al Carmine di Lecce

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A cura di Giuseppe Arnesano

Di ritorno dall’entroterra salentino in questa domenica primaverile raggiungiamo il capoluogo di provincia. Proseguendo nel territorio cittadino da Viale Marche, continuiamo passo dopo passo lungo l’ottocentesco Viale Gallipoli.

Giunti nei pressi della Stazione Ferroviaria, il campo visivo, in precedenza coperto dalla prospettiva alberata, si dilata, ma ahimè attualmente, quel superfluo reticolo elettrico deturpa quella “romantica” visibilità che si mirava nelle modeste architetture civili,testimoni di un passato non più recente. Le fronde verdeggianti del principale rettilineo, ci guidano in direzione della chiesa e, tra pensanti e sospese maglie del desueto filobus, ci fa capolino quell’alta cupola del Carmine decorata a squame verdi e bianche. Percorrendo lo stretto e spigoloso gomito nella secondaria via Giuseppe Cino s’apre la caratterista Piazzetta Tancredi sito dell’elaborata Chiesa del Carmine.

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La cripta di Sant’Apollonia in San Dana

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La penisola salentina ha ereditato dalla moltitudine di popolazioni e culture che ha ospitato nel corso di secoli, un patrimonio culturale ineguagliabile fatto di cripte, affreschi, antichi porti, monumenti e luoghi di culto. Uno di questi luoghi è sito a San Dana, si tratta di una piccola cripta, sita in una zona periferica della frazione di Gagliano del Capo, restaurata tra il 2007 ed il 2008 grazie ai fondi del Pis 14 e sottoposta ad ulteriori studi archeologici dalla sopraintendenza leccese. La cripta è dedicata a Sant’Apollonia, di cui si può ammirare uno splendido affresco su di una parete laterale, rappresentata frontalmente con in mano la palma del martirio ed un giglio bianco e contornata da nubi e angeli.

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Botrugno: Il Palagio Marchesale dei Guarino

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Questa domenica il nostro viaggio itinerante prosegue a sud del territorio di Maglie. Percorrendo quell’infinita distesa pianeggiante recisa dalla tormentata Strada Statale 275, raggiungiamo un agreste paese dagli albori toponomastici incerti: Botrugno.

Le interpretazione sull’origine del nome riguardano, probabilmente, la radice greca del termine ossia “Bortumai” che tradotto significa “produrre uva” poiché, la zona intorno al paese, era ed è  ricca di vigneti. Altre ipotesi rifacendosi sempre al concetto dell’uva e dei vigneti, si ricavano anche dai termini Botruoduros, “che ha delle uve” o da Bakkos “Bacco” nota divinità romana legata al vino alla vendemmia ed ai vizi.

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Un Giubileo ad Andrano nel 1821 per la Madonna delle Grazie

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Il culto di Santa Maria delle Grazie ad Andrano è ancora molto incerto anche se probabilmente molto antico. Due tasselli che potrebbero aiutare gli storici a determinare una collocazione cronologica ci vengono forniti grazie ad un documento ed un quadro, che attesterebbero come e quante volte gli andranesi abbiamo richiesto ed ottenuto aiuto dall’Entità Celeste.

Il documento di cui si accennava poc’anzi è una lettera scritta dal sindaco, decurioni e sacerdoti del comune di Andrano e indirizzata ad Andrea Mansi, arcivescovo di Otranto e vescovo di Castro. Attualmente è conservata presso l’archivio storico diocesano di Otranto e raccoglie le suppliche di un paese da indirizzare al Santo Padre, per concedere al piccolo borgo un Giubileo e rendere gloria alla Madonna delle Grazie,  manifestando una piena riconoscenza inseguito ad un miracolo avvenuto per Sua intercessione. Con questa Grazia una famiglia di sei persone ha potuto trovare la salvezza inseguito al crollo di un campanile sulla loro modesta casa, provocato da una tromba d’aria. Tutto successe la notte del 17 Ottobre 1819.

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Acaya: nel segno dell’ingegno architettonico di Gian Giacomo

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A cura di Giuseppe Arnesano

Il sole è già alto e la proiezione ombrosa delle lunghe fronde degli alberi ci accompagna in questa gita domenicale. Dalla costa ionica risaliamo la china della pianeggiante penisola salentina, in direzione del piccolo borgo medioevale di Acaya, frazione del Comune di Vernole, situato a poco più di dieci chilometri dal capoluogo di provincia e a circa quattro dal mare adriatico, a ridosso della Riserva Naturale delle Cesine. Giunti nelle vicinanza della cittadella fortificata, proseguendo su Largo San Paolo, dopo qualche metro, s’apre di fronte a noi una vasta area, sede del poderoso Castello della famiglia degli Acaya, che occupa l’angolo sud-orientale del sistema di fortificazione bastionato del borgo. Il periodo storico di maggior rilievo risale all’epoca medioevale, quando l’allora e antico borgo di Segine (oggi Acaya) durante il XII secolo venne annesso in un primo momento alla Contea di Lecce e, successivamente, con la lenta conquista del Regno di Napoli da parte degli Angioni, il borgo venne ceduto prima al Convento di S. Giovanni Evangelista di Lecce ed in fine, nel 1294 fu concesso in feudo da Carlo II d’Angiò a Gervasio Acaya.

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La Cupeta

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Semplice e tradizionale dolce del meridione, la cupeta altro non è che una variante di torrone realizzato con mandorle e zucchero. Nelle altre regioni del sud è conosciuto più comunemente come croccante.

La sua orgine sarebbe da attribuire alla gastronomia degli antichi romani, i quali chiamavano “cupeddia” una pasta cotta con zuccheroe mandorle. Anche la parola Araba “qubbaita” indica un dolce molto simile alla “cupèta”.

Per realizzare la cupeta basta dosare in egual misura zucchero e mandorle sbucciata, pulite della pellicina e tostate. Lo zucchero va poi sciolto con pochissima acqua sul fuoco, con l’accortezza di girarlo in continuazione per evitare che si attacchi e si bruci.

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