La Cupeta

Semplice e tradizionale dolce del meridione, la cupeta altro non è che una variante di torrone realizzato con mandorle e zucchero. Nelle altre regioni del sud è conosciuto più comunemente come croccante.

La sua orgine sarebbe da attribuire alla gastronomia degli antichi romani, i quali chiamavano “cupeddia” una pasta cotta con zuccheroe mandorle. Anche la parola Araba “qubbaita” indica un dolce molto simile alla “cupèta”.

Per realizzare la cupeta basta dosare in egual misura zucchero e mandorle sbucciata, pulite della pellicina e tostate. Lo zucchero va poi sciolto con pochissima acqua sul fuoco, con l’accortezza di girarlo in continuazione per evitare che si attacchi e si bruci.

Fonte: Wikipedia

Fonte: Wikipedia

Dopo che lo zucchero si sarà sciolto verste all’interno del pentolino le mandorle e girate con forza in modo che il tutto si possa amalgamare il più possibile. Versate a questo punto il composto all’interno di uno stampino o su un marmo unto d’olio. Nel primo caso dovrete preoccuparvi di mettere della carta forno sotto le mandorle in modo da evitare che il composto si attacchi sul fondo del recipiente.

Sarebbe preferibile pestare l’impasto così ottenuto con un limone, in modo che possa trasmettere parte del suo aroma allo zucchero ancora caldo, e per appiattire la superficie in modo da conferire alla cupeta la tipica forma.

Una vola raffreddato lo zucchero potrete tagliare la cupeta nella forme che più desiderate. Un tempo questo era fonte di dedizione e sentimento dato che venivano realizzate strane forme a seconda delle diverse occasioni che si potevano presentare. A coloro che partivano per il servizio militare, ad esempio, si regalava una cupeta a forma di cavalluccio, per augurare buona fortuna. Gli innamorati invece se ne donavano a forma di cuore, magari decorate con nastrini e fronzoli vari. Spesso le incartavano con la foto dell’innamorato/a in una bella carta colorata. Questo “standard” venne utilizzato anche dai rivenditori ambulanti di cupeta, che per anni l’hanno venduto nelle fiere.

Anticamente questo croccante veniva tagliato dando forme diverse: il cavallino per regalarlo ad ungiovane prossimo alla partenza militare; nel frattempo, avrebbe ricordato il profumo di caramellato chesi spargeva per la casa; il pulcino e la “pupetta” (bambolina) per i bambini; il cuore per gli “ziti” (innamorati).La “cupèta” veniva incartata con la foto della “zita” in una bella carta coloratae chiusa con un nastro di colore vivace. Era un messaggio d’amore autentico,che non aveva bisogno di parole. Questi cuori di “cupèta” con al centro il ritrattodi una ragazza, per anni sono stati venduti nelle fiere delle feste patronali.Ancora oggi il profumo della “cupèta” è sinonimo di allegria, di frastuonodi bande e di luminarie accese. Il termine “cupèta” deriva da “cupeddia”un nome dato dagli antichi Romani ad una pasta cotta con zuccheroe mandorle. Anche la parola Araba “qubbaita” indica un dolce moltosimile alla “cupèta”.

Possiamo trovare anche delle fonti scritte in alcuni atti giudiziari che accerterebbero la consumazione di questo dolce già nel XVII sec. Ad un cupetaro, Nicola Mogavero di Gagliano del Capo, che si recò per vendere la sua merce alla fiera della Madonna del Gonfalone che da secoli si tiene nel territorio di Tricase il giorno del 22 Agosto, venne infatti confiscata, dal governatore di Tutino, una cassa di cupeta da utilizzare come pagamento per alcuni debiti contratti dal mercante nei confronti di un negoziante di Nardò, dal quale aveva acquistato delle mandorle.

Si preparava anche sui carrettini abulanti, durante le feste patronali. Oggi invece viene utilizzata anche come base per la realizzaione di alcuni pasticcini, di solito ripieni con crema e/o frutta.

Marco Piccinni

BIBLIOGRAFIA:

Lucia Gaballo D’Errico, Il Salento a Tavola – Guida alla cucina leccese, Galatina – Congedo Editore (1990)

Francesco Accogli (a cura di), La Cappella del Gonfalone ed il Casale di Sant’ Eufemia in Tricase – Edizioni dell’Iride (2004)

Centro sul Tarantismo e Costumi Salentini – Calendario 2011


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