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La stella dei D’Amely nel Palazzo Baronale di Melendugno

A cura di Giuseppe Arnesano

Questa domenica ripercorriamo le strade del Salento centro-orientale in direzione di Melendugno, situato tra il capoluogo e Otranto. La leggenda narra di Malennio mitico re dei salentini e discendente di Minosse che, dopo aver fondato Syrbar, antico nome della località costiera di Roca e,  l’attuale Lecce, attribuisce dal suo nome Malen-nio al piccolo centro il toponimo di Melendugno, in seguito trasformato da Malandugno (portatore di sventura) a Melendugno (portatore di dolcezza). Fonti non ufficiali riconducono l’origine del nome dallo stemma comunale, sul quale vi è raffigurato un albero di pino d’aleppo con al centro un insieme di alveari legati alla produzione di miele che in dialetto locale viene chiamato “mele”.

Melendugno presenta antiche testimonianze dell’età del bronzo come i dolmen detti “Placa” e “Gurgulante”, ma il vero e proprio sviluppo urbano, sembra aver avuto origine durante l’epoca Medioevale. Anche in questo Paese si susseguirono numerose successioni feudali a partire dal 1335 fu sede dei Garzya, poi fu la volta dei Del Saba e dei De Palacis. Nel XIV secolo fu acquistato dai Paladini che si estinsero con la morte di Giorgio Antonio nel 1656. Passò ai Maresgallo e quindi nel 1680 ai D’Afflitto che regnarono per breve tempo in quanto costretti a vendere il casale ai D’Amely per saldare i debiti contratti. I D’Amely regnarono su Melendugno fino al 1806 anno della soppressione della feudalità nel Regno di Napoli.

Proprio agli ultimi feudatari è attribuito il Palazzo Baronale D’Amely, chiamato anche castello fu realizzato da Gian Giacomo dell’Acaya nella seconda metà del Cinquecento, su commissione di Pompeo Paladini settimo barone di Melendugno e Lizzanello. L’edificio si configura come una torre poligonale a pianta stellare appartenente all’architettura militare di scuola toscana e marchigiana, alla quale vengono, successivamente, affiancate  altri corpi di fabbrica per aumentare la disponibilità di spazi interni. La torre alta 12,50 metri con mura di 4,5 metri, presenta una base scarpata e una facciata divisa da due tori marcapiano; un tempo circondata dal fossato che attualmente è stato coperto da sovrastrutture successive, sorgeva isolata rispetto alla cerchia delle mura medievali che cingeva l’abitato, tale scelta sanciva la definitiva perdita di efficacia dell’antico sistema basato sulla cinta muraria con torri ad essa addossate in corrispondenza delle porte.

Palazzo baronale di Melendugno (Fonte: Wikipedia)

Palazzo baronale di Melendugno (Fonte: Wikipedia)

Il portale d’ingresso di stile cinquecentesco, sovrastato dallo scudo gentilizio dei d’Amely e sorretto da due putti, presenta due leoni addossati e coricati che sostengono sul dorso una torre merlata; sopra lo stemma è posta una statua della Madonna Immacolata. L’accesso era possibile attraverso un ponte levatoio, successivamente sostituito dai baroni D’Amely, con uno in muratura. Nella parte superiore dell’edificio, in direzione della verticale del ponte, sono presenti tre caditoie a scopo difensivo attraverso cui si poteva gettare qualsiasi materiale sull’eventuale assediante.

Nei pressi della torre si collocavano le carceri baronali, i magazzini per i viveri, la torre con guardiola e la piccola cappella al pian terreno che conserva ancora gli affreschi del Cristo Crocifisso e di una Madonna col Bambino, un’altra testimonianza figurativa è visibile nella “Trasverberazione di S. Teresa d’Avila”, eseguita dal De Matteis. Nel suo complesso l’edificio fortilizio risulta somigliante con il Castello di Sant’Elmo di Napoli e con alcuni elementi architettonici della cittadella di Malta, in particolare il riferimento si nota nei cosiddetti torrioni a “pinza” che disponevano tra le due cortine a stella di uno spazio ideale per bersagliare il nemico.

Giuseppe Arnesano


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