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Trepuzzi e slanciate forme zimbalesche

a cura di Giuseppe Arnesano

Recita un antico stornello: “Trepuzze a’nnanzi mare, tiralu ca ene, la corda se spezzau e Trepuzze staulau, Campie lu parau e Schinzanu lu tafaresciau”. Questa domenica risaliamo lungo la costa Ionica per addentrarci nel diramato e pianeggiante territorio. Giunti tra le ondulate murge, raggiungiamo Trepuzzi situato nella parte centro-settentrionale della Piana Messapica.

Profonde e controverse sono le radici etimologiche, alcuni studiosi associano l’origine del locum ad una leggenda pagana legata all’epoca dei Romani, narrante di un “Tripudium” ossia un luogo sul quale sorgeva un’area dedicata a Bacco, dove gli antichi patrizi della romana Lupiae si recavano in occasione della semina e della raccolta delle messi, ad omaggiare il Dio del vino, della vendemmia e dei vizi con dei rituali mistici e feste orgiastiche; il luogo tributato dalla leggenda pare esser prossimo alla località cittadina dove è edificata attualmente la Chiesa di S. Angelo. Altre ipotesi avanzano l’idea che il nome derivi dallo stemma del gonfalone, caratterizzato da tre pozzi che originariamente e realmente facevano parte di un successivo centro che si aggiunse al primitivo nucleo urbano, dai quali sarebbe sorta successivamente l’etimologia dialettale di Tre puzze (Tre pozzi). Un’altra ipotesi lega il termine latino tripudium ad alcuni accampamenti di truppe, dislocate sul territorio prima di partire per l’Oriente. Mentre quella più accreditata, suggerita dal Galateo, sembrerebbe fare riferimento al termine “triputeanam villulam” che letto in forme vernacolari risulterebbe nel suono “tri”.

L’antico feudo ripetutamente conteso, sia nelle prime fasi storiche risalenti ai documenti del 1190, anno del dominio normanno di Tancredi di Lecce, prima Conte e poi Re delle Due Sicilie (1189-1194), sia successivamente durante i secoli nei quali il Feudo di Trepuzzi e quello dell’ormai estinto Terenzano passò ai conti di Conversano, poi si avvicendarono i Signori Marchesi di Acquaviva d’Aragona ed infine nel 1725 il feudo venne concesso al Duca Francesco Carignani.

La chiesa Madre di Trepuzzi (Fonte: www.mappeditalia.it)

La chiesa Madre di Trepuzzi (Fonte: www.mappeditalia.it)

Passeggiando lungo il brulicante e variopinto Corso Umberto I notiamo qualche segno di quel controverso periodo testè raccontato, scolpito nel pesante stemma che compare sulla chiave di volta di quella che un tempo era la Porta del Castello Baronale. Il Castello venne costruito nel XVII secolo, probabilmente su di una preesistente fortezza che nel corso dei secoli assunse scopi difensivi; rimaneggiato più volte, ha ospitato le famiglie dei feudatari. Le insegne gentilizie dello stemma presentano un’altra famiglia nobiliare nota, sia per il nostro territorio sia per la storia locale, quella dei Condò che rivestì importanti funzioni per la storia di Lecce durante le tre fasi: militare, amministrativa, e della committenza; quest’ultima fu di notevole interesse a Trepuzzi, visibile negli stemmi familiari collocati sia sulla facciata della Chiesa Madre (insieme a quello dei Castriota-Scanderbeg) che nella cappella all’interno della stessa (partito a quello dei De Liguori e semitroncato a quello dei  Castriota-Scaderberg ed a quello dei Radalovich di Polignano). Proseguendo lungo il rettilineo, costeggiamo alla nostra destra il pesante prospetto del palazzo Comunale, subito dopo ad accoglierci la scenografica piazza del centro storico con le “case a corte” affiancate dalle possenti mura delle dimore gentilizie, come Palazzo Spinelli edificato nel XVIII secolo.

A conclusione, prima d’uscir dal piccolo centro storico, presentiamo la Chiesa Madre dedicata alla Madonna Assunta ed edificata nel 1603. Anticamente la Chiesa era dedicata a San Pietro, a testimonianza dell’antico titulus è lo stemma del santo posizionato nella zona centrale della cuspide del timpano e affiancato dagli stemmi nobiliari, al di sopra dei quali s’apre la grande finestra trilobata semibarocca. L’interno è percepito con pianta a croce latina, ma degli affreschi che decoravano le ampie volte non vi è più traccia. Si tratta di una errata scelta conservativa?

Dalle forme dello slanciato e zimbalesco campanile della Chiesa Madre, ritorniamo sulle orme dei viandanti erranti.

Giuseppe Arnesano


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