San Nicola di Myra, il più antico ciclo pittorico nella chiesa di Santa Marina a Muro Leccese
In quest’ultimo giorno di Settembre ci dirigiamo nelle zone centro-meridionali del tacco “italico” ed a pochissimi chilometri dalla signorile Maglie percorriamo il lungo rettilineo di via Muro che, dal cuore del grande centro cittadino, si congiunge al “campestre sentiero” in direzione del piccolo nucleo nell’agro di Muro leccese.
Il nono mese è quello del proverbio: “Nella botte piccola c’è il vino buono” e non a caso il “detto” sembra essere consono alla storia di Muro poiché nonostante le ristrette dimensioni urbane, l’antico centro presenta un importante patrimonio archeologico, stratigraficamente ben conservato a tal punto da poter scorgere “a cielo aperto” le vicende evoluzionistiche del luogo.
I primi ritrovamenti sono riferibili sia all’età del bronzo che a quella neolitica, caratterizzati anche da numerosi monumenti megalitici sparsi nel territorio murese (queste le cinque testimonianze: Menhir Giallini, quello di Miggiano, quello del Crocefisso e di Trice, ed in fine il Menhir Croce di Sant’Antonio).
Gli altri segni dei successivi insediamenti sono ravvisabili nei resti della cinta muraria, che racchiudeva l’antica città messapica e dai quali deriverebbe il nome del borgo; le mura erano costituite da massi squadrati che si estendevano per circa 4 chilometri comprendendo un’ estensione territoriale di oltre 100 ettari. Nel III secolo a.C. Muro divenne presidio romano,mentre dal 554 d.C. fino al XI secolo perdurò la dominazione bizantina, ma nell’anno domini del 1068 la città di Otranto cadde definitivamente in mano ai Normanni ponendo fine all’egemonia bizantina in tutto il Salento; secondo fonti storiche, nel 924 d.C. Muro leccese subì un duro attacco, sferrato con distruttiva potenza dalle orde saracene; e proprio durante il X secolo invece, pare si procedesse alla costruzione della chiesa di rito bizantino dedicata al vescovo San Nicola di Myra (vissuto tra la fine del III secolo e l’inizio del IV), ma meglio nota con il nome di Santa Marina. La chiesa, edificata nel momento in cui la venerazione del Santo Vescovo era all’apice del culto cristiano,è situata alla periferia meridionale del paese fuori la cinta messapica a poca distanza dalla strada comunale per Miggiano; l’impianto originario databile attorno al IX secolo, è costruito con enormi blocchi di pietra calcarea, la struttura complessiva dell’edificio presenta una pianta a navata unica rettangolare lunga 15,40 metri e larga 5,50 con abside semicircolare sul fondo; il prospetto principale è caratterizzato da un portale centrale incassato sotto un arco, sopra il quale si trova una lunetta liscia un tempo probabilmente affrescata. Di epoca tarda è il campanile a vela rigorosamente in stile romanico, mentre sui muri perimetrali attualmente risultano due coppie di arcate cieche ricavate da due portichetti attigui che un tempo fungevano da entrate secondarie; la muratura delle arcate ha permesso la sovrapposizione di nuovi affreschi di Santi, l’interno della chiesa si arricchisce di un nuovo spazio ossia il vestibolo (vano o passaggio posto tra la porta d’entrata e l’interno di un ambiente); l’unica aula del complesso rupestre è coperta da una volta a botte, tale ambiente è diviso in tre campate con archi impostati su semipilastri addossati alle pareti.
Nel corso dei secoli l’ambiente interno ha subito numerose modifiche architettoniche, a tal proposito si annovera sulla controfacciata la scena dell’Ascensione e di Santa Barbara affiancate ad altre figure che fanno parte dello strato più antico del X secolo. Nella zona dell’abside, anch’essa molto antica, sono visibili le raffigurazioni di sei o di otto santi vescovi, riconoscibili nei Padri della Chiesa Orientale: San Basilio, San Giovanni Crisostomo e San Gregorio Nazianzeno, il sacro gruppo è effigiato secondo il rito greco ortodosso ed ogni singolo personaggio stringe nella mano sinistra l’Evangelario, mentre nella destra accenna al segno della benedizione. Proseguendo lungo le zone laterali troviamo nel primo arco di sinistra un affresco raffigurante una consacrazione di San Nicola diacono; nel secondo invece sono presenti sia dei dettagli (remo di una nave e il volto del Santo) che altri particolari corrispondenti alle storie mariane come quella riferibile al miracolo dell’apparizione del Santo sulla chiglia di un’imbarcazione. Il successivo,affrescato sull’arco, riguarda probabilmente stralci agiografici riconducibili all’episodio in cui Nicola,trattenutosi nella città di Plakoma in Licia, abbatte un cipresso infestato da demoni. In fine il quarto ed ultimo “fresco” si trova nella parte opposta al secondo arco di destra, dove in maniera poco visibile alla destra di San Nicola vi è raffigurato un edificio in decadenza.
Stando all’ipotesi espressa dal docente Falla Castelfranchi dell’Università Salento, i quattro affreschi muresi possono avere una datazione retrodatata all’anno 1043 ed inoltre “sarebbero introdotti da un’altra immagine del Santo che, posto frontalmente alla maniera greca alla base del primo arco di sinistra, sembra voler indicare l’esordio di questo ciclo agiografico”.
Giuseppe Arnesano