Santa Maria di Leuca: storie di indulgenze, papi, pellegrini e di un santuario
“Terra di sud, terra di sud, terra di confine, terra di dove finisce la terra”. Basterebbero queste poche parole della canzone “il Ballo di San Vito” di Vinicio Capossela per descrivere Santa Maria di Leuca, de Finibus Terrae, l’estremo fazzoletto di terra che si protende verso il mare che riflette e si mescola all’azzurro del cielo a tal punto da non poter più distinguere dove comincia uno e dove finisce l’altro. E il vecchio promontorio, testimone di eventi festosi e nefasti: dal naufragio dei primigeni della civiltà messapica agli attacchi di eserciti saraceni, l’arrivo di Santi Pietro e Paolo o delle flotte aree coinvolte nei conflitti mondiali.
Per convenzione questo promontorio viene considerato la culla della Cristianità in Occidente, anche se le teorie in merito sono molte e spesso tra loro contrastanti. E’ certa però la presenza primordiale di un tempio pagano. Secondo alcuni questo sarebbe collocabile proprio su punta Meliso, dedicato a Minerva, protettrice dei naviganti. L’arrivo degli apostoli però avrebbe scosso la terrà e fatto crollare il tempio pagano sulle cui rovine edificarono la prima chiesa in occidente, rimasta in piedi fino al 302, anno in cui Diocleziano ordinò la distruzione di tutti i luoghi di culto Cristiani. La chiesa venne ricostruita e intitolata alla Madonna Annunziata da Papa Giulio I nel 342, fermatosi nel capo di ritorno da Costantinopoli, per poi essere nuovamente distrutta, da attacchi saraceni, e successivamente ricostruita per almeno altre 5 volte. La basilica attuale risale al 1720, ricostruita sfruttando le fondamenta e le mura perimetrali delle strutture preesistenti da Monsignor Giovanni Giannelli, che arricchì il complesso con un piccolo ospizio per ospitare i pellegrini. All’interno della chiesa si conserva ancora un cippo dell’ara di Minerva appartenente al tempio originario, dove probabilmente venivano immolati animali in sacrificio.
Altri studiosi invece ritengono che il tempio pagano non fosse intitolato a Minerva, bensì ad una divinità messapica anch’essa protrettice dei naviganti, Batis (poi Batas, Zis e Iuppiter, Batius, Kyrios, Bateios, Iupppiter Vatius), il cui nome ricorre nelle iscrizioni ritrovate all’interno della grotta Porcinara su Punta Ristola, ed il cui culto sarebbe continuato fino ad almeno il III secolo dopo Cristo, fatto in discordanza con la Cristianizzazione del Salento del I secolo.
La denominazione “De Finibus Terrae” deriva probabilmente dal ruolo di “confine del mondo” che venne attribuito al tacco d’Italia nel periodo della Guerre Sante, quando a migliaia di pellegrini venne impedito di recarsi a Gerusalemme invasa dagli ottomani. Il mondo cristiano rispose con la definizione di nuove percorsi pellegrinali, come ad esempio l’istituzione dei Sacri Monti che a partire dal 1480 sorsero in Piemonte e in Lombardia.
All’epoca delle crociate il fenomeno dell’intenso pellegrinaggio verso Santa Maria di Leuca, che perdurò fino alla prima metà del secolo scorso, era già attivo da tempo. Questo si snodava lungo differenti percorsi che toccavano alcuni “centri” di raccolta e di ristoro tra cui, i due più importanti, il Santuario di Leuca Piccola a Barbarano e il convento di San Francesco a Gagliano del Capo. Numerose erano le tappe intermedie, costituite da piccoli edifici o chiese dedicati a Maria nelle quali bisognava sostare per una breve preghiera,o piccoli “ospitali”, dei luoghi in cui il pellegrino poteva cambiarsi, assolvere ai bisogni fisiologici e ricevere vitto e alloggio in cambio di denaro o di piccoli lavori agricoli. Anche il cammino era costantemente accompagnato dalla preghiera, in un ciclo che prevedeva almeno 100 Ave Maria intervallate ogni 10 da un Gloria al Padre, e 100 Croci, una preghiera tipica del pellegrinaggio Leuchese che recita:
PENSA ANIMA MIA CA’ DE MURIRE
PENSA ANIMA MIA CA’ TRAPASSARE
ALLA VALLE DE GESU’ IMU DE SCIRE
LU NEMICO NE VENE A TRUMENTARE
BRUTTO NEMICO ABBANNE ALLA TUA VIA
CA NO C’E’ FARE NENZI ALL’ANIMA MIA
PE’ CENTU CROCI E CENTU AVE MARIA
CA DISSI AN VITA MIA
LU GIURNU DE LA VERGINE MARIA.
Il canonico Francesco Pirreca, nel suo “Historia della Madonna Santissima di Leuca detta anta Maria de Finibus Terrae” racconta di quali fossero i periodi privilegiati al pellegrinaggio, come ad esempio i primi tre giorni di Agosto, le notti di Pasqua e di Natale, il 13 Aprile e tutte le domeniche del periodo quaresimale e del mese di Maggio.
I primi tre giorni di agosto vennero fissati da Papa Giulio I (?,352) il quale, dopo aver contributo alla rinascita del santuario distrutto da secoli di persecuzioni religiose, concesse l’indulgenza plenaria e remissioni dai peccati a tutti i fedeli confessati e comunicati che si fossero recati in pellegrinaggio a Leuca. Papa Anastagio(?,498), invece, concesse la remissione dei peccati a tutti coloro che si fossero recati al Santuario nelle notti di Pasqua e di Natale, previa confessione. Le domeniche di Maggio e il 13 Aprile avrebbero garantito invece l’indulgenza a tutti i pellegrini che risposero all’invito di Leone IX (1049, 1054). Le stesse date vennero poi confermate a più riprese da altri pontefici come Innocenzo XI (1611, 1689) e Benedetto XIII (1649,1730). La stessa indulgenza veniva garantita anche ai gestori degli ospedali che avrebbero soddisfatto ai fabbisogni primari dei pellegrini.
Il 13 Aprile ha per la comunità di Leuca un significato particolare. In questo giorno si celebra la ricorrenza del miracolo che, per intercessione mariana, salvò nel 365 la cittadina da un terribile maremoto. Oltre ai pellegrini anche il clero doveva recarsi in questa data al santuario per rendere onore a Maria. In questo giorno Andrea Gonzaga e la sua consorte si recarono in pellegrinaggio alla Madonna di Leuca, per la quale dimostrarono una profonda devozione tanto da ordinare al Capitano di Fanteria di proteggere i pellegrini da eventuali attacchi da parte dei pirati. La stessa attenzione venne dedicata da parte della nobiltà Alessanese dal XVI secolo, la quale obbligò la forza militare a prestare i proprio servigi e garantire sicurezza anche all’ingente numero di mercanti, che nei primi giorni di Agosto giungevano in prossimità del santuario fin da Lecce e Bari, per prendere parte ad una grande fiera in onore alla Madre di Cristo.
Oltre ai Gonzaga anche altri personaggi illustri, si sarebbero recati sul promontorio di punta Meliso come San Francesco D’Assisi, Giuseppe Bonaparte, San Giuseppe Labre, Alfonso d’Aragona con un seguito di 300 bambini, Boemondo (figlio di Roberto il Guiscardo, principe di Taranto) e papa Costantino I. Non per tutti esistono documenti in grado di accertarne l’effettiva presenza nel capo di Leuca.
Il numero di devoti che, partendo da ogni parte d’Italia e da molti paesi Europei si mettevano in marcia per raggiungere Leuca ha raggiunto delle cifre ragguardevoli: una relazione del Vescovo Antonio Spinelli del 1613 attesta che nel solo giorno del 13 aprile potevano contarsi ben 12.000 presenze e oltre le 50.000 il 1 Agosto.
Altri luoghi di culto intitolati alla Madonna di Santa Maria di Leuca, che divennero a loro volta meta di pellegrinaggi, vennero istituiti in molti comuni salentini tra cui Nardò e Lecce. Per quest’ultimo le due principali date di pellegrinaggio divennero addirittura due giorni festivi.
Intorno al fenomeno del pellegrinaggio si svilupparono inoltre diverse leggende e strane credenze, come quella che impedirebbe l’ingresso di un Cristiano in paradiso laddove non si fosse recato, almeno una volta nella vita, in pellegrinaggio al Santuario. In questi casi la sua anima avrebbe sostato per un breve periodo nell’ambulacro della basilica per il tempio necessario prima di poter aspirare ad entrare nel regno dei cieli.
Marco Piccinni
Bibliografia:
Andrea Chiuri, Pellegrini a Leuca 2000 anni di storia – Edizioni dell’Iride (2000)
Testo molto interessante per tutti quelli che come me apprezzano Leuca