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Morelli, primo “femminista” italiano lottò per l’emancipazione della donna

Uomo del Risorgimento, nacque a Carovigno, morì in “assoluta povertà”

Salvatore Morelli come Carneade: chi era, costui? Per lo storico Sergio Romano, il “primo femminista italiano” ma la sua figura politica è caduta nell’oblio e l’opera è misconosciuta. Una rimozione ex abrupto di una delle menti più raffinate e degli uomini più coraggiosi del Risorgimento.

Purtroppo, nemmeno le commemorazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia gli hanno reso giustizia riportandolo in superficie. Anche se gli hanno dedicato una scuola di Carovigno, dove nacque il primo maggio 1824, e il Presidente della Repubblica lo ha “sdoganato” l’8 marzo scorso, Giornata Internazionale della Donna:

“Nella giovane Italia postunitaria – ha detto fra l’altro Napolitanoil deputato Salvatore Morelli presenta diversi progetti di legge per l’emancipazione femminile, incluso il diritto al voto. Nel suo libro, che attribuisce alle donne il ruolo di agente primario per un migliore avvenire italiano afferma: ‘Si illumini quindi la donna (…) si riconosca in lei la personalità giuridica e tutti i diritti che le sono inerenti’”.

E nelle librerie cittadine si trova qualcosa sulla sua vita avventurosa, l’arme e gli amori.
Troppo poco rispetto alla statura del personaggio. A rendergli giustizia arriva ora la seconda edizione di un saggio di Emilia Sarogni, studiosa piacentina, “L’Italia e la donna” (La vita di Salvatore Morelli), Daniela Piazza Editore, pp. 208, € 15.

Il politico pugliese affolla tutti, o quasi, gli archetipi dell’uomo meridionale, marcando il Risorgimento con la sua irruenza e il coraggio. Vivendo una parabola molto italiana, estro e genialità, ma anche nell’estraneità sostanziale rispetto al suo tempo e ai contemporanei che gli furono, o quasi, indifferenti.

Nacque da una famiglia della buona borghesia meridionale, primo di 11 figli. E per tutta la vita ebbe un’adorazione per la madre, Aurora Brandi, sposata a Casimiro Morelli. A Napoli compì gli studi di Giurisprudenza a partire dal 1840. Nella capitale del Regno si avvicina agli ambienti mazziniani dove si parla di Costituzione e diritti dell’uomo e aderisce alla “Giovane Italia”. Nella foga giovanile intravede in Re Ferdinando un “liberale” capace di grandi innovazioni, ma quando capisce che così non è, ne brucia in piazza il ritratto. E’ incarcerato e inizia, da Ischia a Ventotene, il calvario da una fortezza all’altra. Partecipa con Carlo Pisacane alla spedizione di Sapri assaporando ancora una volta il rigore borbonico (a Lecce).

Il 1861 per Morelli coincide con la pubblicazione del saggio sulla dignità e i diritti delle donne “La donna e la scienza o la soluzione del problema sociale”. Solo 8 anni dopo, in Gran Bretagna, uscirà “Subjection of Woman”, di Jhon Stuart Mills. L’inglese avrà fama imperitura, l’italiano sarà scordato quasi subito.

Era nato in anticipo sui tempi, e anche sull’unità europea e l’idea atlantica. Solo extra moenia ne compresero la grandezza. All’estero era tradotto e quasi un “cult”. Victor Hugo gli scrisse: “Voi avete un nobile pensiero”. E perfino Garibaldi, in una lettera del 6 luglio 1867, parla di lui come del primo politico italiano a sollevare la questione-donna. Le femministe americane lo avevano in grande considerazione e alla sua morte, nel 1880, “praticamente ridotto alla fame”, quelle inglesi volevano dedicargli un monumento a Londra.

Dal giugno 1867, quando entra in Parlamento, fu tutto un balletto di proposte di legge per l’avanzamento sociale della donna: la riforma del diritto di famiglia, la parità dei diritti fra marito e moglie, il divorzio, l’abolizione della discriminazione fra figli legittimi e naturali. Come la riforma dell’istruzione e la soppressione dell’insegnamento religioso, ma anche la chiusura dei cimiteri e la cremazione. E deposita perfino, dal 1887 al 1880, quattro progetti di legge per l’introduzione del divorzio. Una storia molto “italiana”, attuale ai giorni nostri. Morelli visse dunque in un tempo acerbo e sordo, e la tragedia della sua, e nostra patria, è purtroppo nel relegare a voci che urlano vanamente nel deserto, inascoltate, le sue intelligenze migliori, talvolta trattate da cretini di talento e i mediocri da scemi del villaggio.

Francesco Greco


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