Home » Comuni Salentini » Lecce » Gli occhi chiusi vedono tutto, personale di Daniele Ferrante

Gli occhi chiusi vedono tutto, personale di Daniele Ferrante

Le Ali di Pandora

presenta

“Gli occhi chiusi vedono tutto”

Personale di

Daniele Ferrante

venerdì 3 febbraio 2012

h.20.00

intervista con l’artista

c/o II Circoscrizione

via Adda

Lecce

Ingresso Libero

Si apre a Lecce venerdì 3 febbraio alle ore 20,00, presso la sede della II Circoscrizione: Santa Rosa-Stadio- Salesiani la Mostra personale “Gli occhi chiusi vedono tutto” di Daniele Ferrante a cura dell’Associazione Le Ali di Pandora che resterà aperta fino al 10 febbraio. Alla presenza delle Autorità, del Presidente della Circoscrizione Fabio Campobasso, interverranno Lucy Ghionna e Ambra Biscuso

In questi ultimi due anni la sfida dell’Associazione Le Ali di Pandora è stata di portare: “il centro nella periferia”, rendendo reale la scommessa di portare l’arte e la cultura in zone normalmente destinate a dormitorio. Sempre più forte è la sinergia tra gli abitanti del quartiere e i “costruttori” di arte e cultura , così come sembra sempre più concreto il sogno di riqualificazione territoriale e culturale anche grazie ai giovani artisti che hanno deciso che il loro centro parta dalla periferia e di chi, sempre più numerosi, scelgono di vivere la periferia come centro.

Continua la lettura dei linguaggi trasversali dell’arte con l’ hic et nunc di Daniele Ferrante “Gli occhi chiusi vedono tutto”. Daniele Ferrante e un venticinquenne leccese, artista eclettico, musicista, blogger con una predilezione per i fenomeni culturali di massa, media enthusiast. I suoi molteplici interessi, trasversali rispetto a qualsiasi medium egli si avvicini, fanno sì che sia il suo discorso teorico che quello artistico siano indirizzati verso le sinestesie, l’abbattimento dei confini tra le varie arti, alla ricerca di un punto di contatto tra i sensi in quella che potrebbe configurarsi come una terza via espressiva. A testimonianza di ciò vi è la pubblicazione de “Il santuario della pazienza”disco del suo gruppo/progetto musicale Zweisamkeit, uscito nel 2011 per l’etichetta messinese SNOWDONIA. Il suo intento, scrive, è di “far coesistere elementi di fasi lontane tra loro nel tempo in uno stesso momento, isolando le diverse parti degli oggetti come se si trattasse di zone vicine spazialmente ma distanti cronologicamente. (…) “Gli occhi chiusi vedono tutto” nasce dall’ultima fase della mia arte, lo scavare nelle profondità dell’inconscio, guardare più in giù rispetto alle proprie sensazioni e ai propri legami affettivi per scoprirne il senso reale. Noi non diventiamo ciò che siamo, ma lo scopriamo attraverso il vivere la realtà di tutti i giorni, instaurando relazioni di ogni tipo che portano la nostra coscienza verso un livello più alto. Educazione è un termine che deriva dal latino “ex ducere” ovvero “tirare fuori”, ciò che sappiamo fare non lo impariamo, ma lo scopriamo. Le relazioni che instauriamo, culturali o sociali, ci aiutano ad aggiungere un frammento nello specchio che definisce la nostra vera immagine. Il senso finale in ciò è che abbiamo già dentro di noi i mezzi necessari per stare bene, sappiamo già cos’è la felicità o la bellezza, è tutto nascosto in punti oscuri di noi stessi che magari non siamo ancora riusciti a illuminare. Scoprire di avere queste doti è come chiudere gli occhi e non vedere più un buio limitato, ma un paesaggio immenso sotto il nostro completo controllo.”

L’arte secondo Daniele Ferrante

Cercando punti in comune tra le opere: in tutti i casi si tratta di lavori spirituali, perché attraverso qualsiasi ambito io mi esprima, che si tratti di pittura, così come di video, musica o poesia, tendo a caricare simboli, oggetti e segni di significato in modo da poter circoscrivere una parte della realtà (o di me stesso) e disporre del distacco utile a poterla capire meglio.

La mia evoluzione artistica è anche un’evoluzione umana personale, ogni lavoro che faccio prende una parte di me e la isola per predispormi al miglioramento, perciò le mie opere più che parlare di ciò che sono parlano di ciò che ero prima di realizzarle.

Il secondo punto è quasi consequenziale: per molti artisti di molte ere l’arte è un fatto spirituale, catartico, all’origine della pittura si può rintracciare un gesto di riproduzione della realtà per esorcizzarla o averne controllo. Anche per questo motivo prendo archetipi e simbologie proprie della mia cultura tentando di vedere quanti di questi elementi la legano all’arte di tutte le culture della storia dell’umanità, in modo da trovare una veste semplice a concetti profondi che raggiungano il maggior numero di persone indifferentemente dal retroterra culturale.

Questo tema lo porto avanti parallelamente tra arte visiva e musica, in entrambi i casi ho cercato di individuare ciò che accomuna tutti i linguaggi della terra, la mia sintesi vede nel corpo umano l’unica cosa comune a tutte le arti della terra, proprio perché è l’unico patrimonio realmente condiviso da tutte le arti della terra.

Se nella musica la fisicità è incarnata dal ritmo e dalla voce, nella rappresentazione grafica si va più semplicemente verso la figura in sé dell’uomo e della donna, per poi spostarsi verso le estensioni del corpo, ad esempio il linguaggio scritto, la versione grafica della voce.

Se però il significato di un corpo ha lo stesso valore in tutte le lingue, lo stesso non si può dire dei caratteri della nostra cultura, in uso solo nel mondo occidentale.

Mi capita, perciò, di usare spesso i caratteri dell’alfabeto latino come pura espressione grafica, usanza più comune ai popoli che usano l’alfabeto arabo , i logogrammi o gli ideogrammi.

L’alfabeto occidentale, per quanto duttile e adattabile alla maggiore quantità di esigenze linguistiche, non possiede le sfumature proprie delle lingue orientali o dei linguaggi prettamente orali; riportare i caratteri latini a ciò che sono nell’essenza, ovvero segni grafici, è un modo per rendere universale un aspetto specifico della cultura da cui provengo.

Questa “universalizzazione” è presente in quasi tutti i miei lavori, perché tendo comunque a prendere tematiche e archetipi propri dell’arte occidentale guardandoli con gli occhi di un cittadino del mondo fuori dal tempo.

E’ così che alcuni miei lavori hanno una tematica Sacra (vedi Trinità e Madonna) senza presentare alcuna simbologia propria dell’ambito dal quale provengono, ma anzi riportando tutto all’essenza del tema preso in esame, che rivela ad esempio come il Cristo e la Madonna rappresentino l’ideale eterno di uomo e donna, così come guardando più in profondità, il padre, lo spirito santo e la maternità possono semplicemente rappresentare l’ispirazione nel senso più ampio possibile.

Nel ricercare un’universalizzazione dei temi indigeni della mia cultura sono arrivato a constatare come tutto tenda verso la natura, comprese le estensioni più artificiali dell’uomo. I caratteri latini sono un’ estensione tecnologica della voce; con la loro razionalità hanno portato in qualche modo a ripensare molto del nostro approccio verso la realtà, organizzando, pianificando e forse per questo limitando la gamma di esperienze acquisibili invece tramite il gesto istintivo, difettoso e imprevedibile.

Riportare i simboli e le architetture umane alla natura è un modo per comprendere meglio la propria umanità, senza rigettare le sovrastrutture culturali, accettando meglio la propria natura di animali dotati di tecnologia.

Infine, due temi “minori” (in quanto non ancora del tutto approfonditi) sono correlati a quelli enunciati sopra e li lego al tempo e alla possessione spiritica.

Nel primo tema tento di dare l’idea del “qui e ora” (vedi L’universo per chi non lo visiterà mai, messa in onore degli eroi tragici e Universo ultimo atto) oltrepassando la terza dimensione per fonderla con quella del tempo e della persistenza.

La differenza tra opera d’arte visiva e opera d’arte musicale sta nel fatto che la prima ha il suo specifico nella rappresentazione spaziale, la seconda ce l’ha nella rappresentazione temporale.

Con questa serie di lavori tento di far coesistere elementi di fasi lontane tra loro nel tempo in uno stesso momento, isolando le diverse parti degli oggetti (in questo caso una montagna) come se si trattasse di zone vicine spazialmente ma distanti cronologicamente.

Anche a questo concetto sono riuscito a dare un valore spirituale, inserendo nella mia prima esposizione una candela liturgica “personalizzata”. Un lavoro simile sposa il “qui e ora” con l’universalità, fino a ritornare al significato cristiano del cero, ovvero quello della candela più “madre” che detiene il messaggio, dal quale tutte le altre candele più piccole possono attingere.

La fiamma auspica la propagazione, la moltiplicazione del messaggio.

Per ciò che riguarda la possessione spiritica, vi è un legame sottile con il primo tema spirituale.

Le opere di questa serie hanno tutte un titolo che riporta il motivo della Casa (vedi Case, Case Abbandonate, La sua Casa, Case giocattolo) ed è proprio da intendersi come “case infestate”.

Credo infatti esista un legame tra la persona, il luogo in cui vive e gli oggetti che utilizza.

Un medium spiritico entrando in una casa è capace di percepire l’energia, positiva o negativa, rimasta in sospeso nell’ambiente; l’artista è un medium, così come tutte le persone sono medium con differenti gradi di sensitività.

Una qualsiasi persona può conoscere qualcuno e percepirne l’energia che essa emana, l’anima, che può anche essere una combinazione di comportamenti e oggetti che parlano direttamente all’inconscio dell’interlocutore. L’artista ha il dono di creare gli oggetti che, attraverso particolari accostamenti, creano l’immagine delle sue sensazioni. In queste opere ho cercato di creare associazioni che potessero restare in sospeso, come case infestate, a testimonianza di uno stato d’animo rimasto chiuso a chiave in una stanza per secoli.

Il nome della mostra, “Gli occhi chiusi vedono tutto” nasce dall’ultima fase della mia arte, lo scavare nelle profondità dell’inconscio, guardare più in giù rispetto alle proprie sensazioni e ai propri legami affettivi per scoprirne il senso reale.

Noi non diventiamo ciò che siamo, ma lo scopriamo attraverso il vivere la realtà di tutti i giorni, instaurando relazioni di ogni tipo che portano la nostra coscienza verso un livello più alto.

Educazione è un termine che deriva dal latino “ex ducere” ovvero “tirare fuori”, ciò che sappiamo fare non lo impariamo, ma lo scopriamo. Le relazioni che instauriamo, culturali o sociali, ci aiutano ad aggiungere un frammento nello specchio che definisce la nostra vera immagine.

Il senso finale in ciò è che abbiamo già dentro di noi i mezzi necessari per stare bene, sappiamo già cos’è la felicità o la bellezza, è tutto nascosto in punti oscuri di noi stessi che magari non siamo ancora riusciti a illuminare. Scoprire di avere queste doti è come chiudere gli occhi e non vedere più un buio limitato, ma un paesaggio immenso sotto il nostro completo controllo.


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.