Le “Tajate” di Acquarica del Capo
da Progetto Salento n°19 – Maggio 2011
Un’opera d’arte di rara bellezza costruita dall’uomo e dalla natura e pregna di un importante significato storico-culturale.
Ringrazio Giuliano Ciriolo, direttore editoriale della presente rivista, che mi ha dato l’opportunità di parlare in questo numero delle “Tajate”; in altre parole, delle cave esauste di conci di tufo che si trovano nel territorio di Acquarica del Capo (Le), come pure in altri paesi del Salento.
“Tajate” è il termine popolare usato dai salentini per indicare, per l’appunto, il luogo dove si tagliava la roccia: la cava.
Quello delle cave, inteso come tema ambientale, è stato sollevato con la presentazione del libretto “Tajate” avvenuta il 23 ottobre 2010 presso il Castello Medievale di Acquarica del Capo. Parlarne in questa sede è senz’altro cosa utile e, come afferma lo stesso direttore Ciriolo, cosa rara se consideriamo le poche volte in cui quest’argomento è stato considerato un bene culturale.
Fino ad oggi le cave sono state tenute in considerazione unicamente allo scopo di usarle come discariche presso cui conferire la spazzatura di trenta, quaranta comuni a danno di quei paesi limitrofi alle discariche stesse, condannati a subirne i danni.
Altre volte sono state prese di mira per proporre progetti di centrali fotovoltaiche insieme a campi da gioco, strutture per la ristorazione…e così via.
Noi invece ci teniamo a parlare delle cave non per quello che potrebbero diventare ma per quello che già sono: un’opera d’arte di rara bellezza costruita dall’uomo e dalla natura e pregna di un importante significato storico- culturale.

Antiche Tajate
Un territorio quindi degno di essere tutelato per quello che è e che rappresenta, bisognoso quindi di essere difeso da qualsiasi uso improprio che possa stravolgere la sua stessa identità.
Quello che s’intende sopratutto far conoscere delle “tajate” è una peculiarità di cui pochi si sono resi consapevoli: quella della sua rara bellezza.
Bellezza che, nel libretto “Tajate”, si è voluta evidenziare ricorrendo soprattutto all’impiego dell’immagine fotografica che, meglio di qualsiasi altro mezzo, è riuscita a esprimere “la faccia” nuda e cruda di quel meraviglioso paesaggio dove si estraevano e si estraggono ancora oggi i mattoni di pietra.
I centri storici del Salento devono in parte il proprio fascino alla pietra con cui sono stati costruiti: quella appunto delle “tajate”.
Esse sono l’impronta di quei centri storici: un’architettura al negativo, dove gli spazi vuoti corrispondono agli spazi pieni di chissà quale cattedrale, torre costiera, masseria, castello, palazzo o casa… ma quanti piezzi de ddhe cave /quante case de ddhi piezzi, scrive il poeta acquaricese Carlo Stasi nella sua poesia Alle cave.
Le “tajate” sono il ventre della terra svuotato della sua sostanza… un grembo di roccia tanto selvaggio quanto bello.
Ovviamente non di sola bellezza si pregiano le nostre “tajate”.
Le loro muraglie “scolpite” dalle mani dell’uomo, i labirinti disegnati dalle scheletriche pareti sopravvissute, gli immensi vuoti intervallati da quei giganteschi pilastri di roccia, oltre a soddisfare l’occhio, hanno da raccontarci una loro storia se solo noi gli porgessimo l’orecchio.

Tajate ad acquarica tra vecchie e nuove
Ci raccontano la vita di generazioni di “cavatufi”, spremuti, con l’uso del piccone, delle loro forze per “domare” la viva roccia.
Ci parlano di fabbri e del fuoco con cui essi hanno appuntito il ferro perché potesse ferire la pietra…, di muli sfiancati dalla fatica di tirare i traini carichi di conci, d’ingegnosi carpentieri che costruivano quei robusti traini con l’uso di pialle e asce… e di tante altre storie evocate dal paesaggio delle “tajate”.
Vero è che la nostra non sarebbe vita se la privassimo dei sogni.
Uno di quelli cui ci tengo e che vorrei si avverasse, è vedere la “tajata” ripulita, con percorsi pedonali che consentano di raggiungere i punti di vista più spettacolari, staccionate di legno sui tratti di percorso pericoloso, una maggiore cura per la macchia mediterranea già esistente e il rimboschimento della stessa là dove il terreno lo richiede.
Dopo aver fatto queste semplici cose, si potrebbe, volendo, predisporre alcuni spazi per spettacoli di diverso tipo, allestire in un luogo coperto una mostra permanente, con attrezzi di lavoro, antichi mezzi di trasporto, foto e quanto sarà necessario per documentare la vita della “tajata”…
Essa diventerebbe così un museo aperto, senza il bisogno di stravolgere minimamente la sua natura, la sua identità, la sua originale bellezza.
Le “tajate” ora sono ancora lì. In silenzio, senza che nessuno se ne accorga, cemento e catrame continuano a colare, in qualche loro angolo nascosto, sulla loro immagine, nell’attesa che qualcuno corra per soccorrerle.

Cava di tufi attiva ad Acquarica del Capo
Mario Ricchiuto