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“Abigail è tornata”, il romanzo della salentina Tina Aventaggiato

Rapsodico come uno script d’azione, contaminato di continui coup-de-thèatre, mano sicura e abile nel tratteggio della psicologia dei personaggi. L’esordio nel thriller di Tina Aventaggiato, scrittrice pugliese (è nata a Castrignano dei Greci, vive a Poggiardo, nel Leccese, è laureata in Lingue e Letterature Straniere) parte sotto una buona stella ed è pregno di attese per il futuro.

“Abigail è tornata”, Editore Loffredo, Napoli 2011, pp. 218, € 14.60, Collana “I semi di Partenope” è curioso e spiazzante per il format che l’autrice si è inventato, e cioè una modulazione tutta sua dell’idea di tempo, in un continuo spostamento delle location dove i fatti avvengono quasi fosse un set cinematografico. Costante questa dei grandi del genere: da Follett a Crichton. Il luogo in cui la storia si dipana è la memoria: che la guerra ha segnato indelebilmente, perché “la guerra prende e dà”.

La memoria, il passato è la modulazione in cui la Aventaggiato si trova più a suo agio in un’incursione dietro l’altra che scannerizzano personaggi inquieti, barocchi, perennemente in fuga, inseguiti dai fantasmi, incapaci di pacificare se stessi, perché il passato sanguina come la ferita di Alfred Stein steso sul pavimento in attesa dell’ambulanza (“Quanto sangue può avere un vecchio?”) e mentre con le esigue forze mormora: “Abigail è tornata… Cercate Abigail…”.

Tutto ha inizio con la guerra coloniale nel deserto libico, nel 1936: furono in tanti a partire per dare un po’ di pane ai figli. Prima il calesse accompagna al porto di Brindisi il padre, l’anno dopo il figlio, ma “quando sua madre, sul tavolo della cucina, contava in soldi, tutti capivano che l’Africa non era uno sfidare il destino, ma poterlo cambiare”. E dunque, “Where ‘s Abigail?”.

I livelli della narrazione (come le location: dall’Africa all’Europa) convergono, si intrecciano, si separano in un gioco delizioso che avvince e che cresce di capitolo in capitolo. Il veterano di guerra è sparito, lo hanno rapito. Ma in che modo questo rapimento fa da sfondo al ritorno della ragazzina ebrea dotata di un patrimonio cospicuo che ovviamente fa gola? La scrittrice costruisce una suspence che conquista il lettore e lo tiene avvinto sino all’ultima riga. Con straordinaria abilità riesce a coinvolgerlo nello sviluppo dei fatti, a fargli respirare quasi il clima di un’epoca e dei suoi orrori, quando la tragedia collettiva era un puzzle in cui ognuno portava il suo vissuto di angoscia e il suo dramma (la persecuzione degli Ebrei, per esempio).

La prosa della Aventaggiato è asciutta, essenziale: non un aggettivo né un avverbio di troppo, koinè necessaria per una storia dove centrale non è l’accademia né un’eventuale malizia letteraria o un manierismo di genere, bensì la storia stessa nel suo procedere disaggregando di continuo gli elementi portanti grazie anche alla padronanza con cui la scrittrice regge il plot narrativo speziato qua e là di rimandi quasi dostoevskianji. Ai fantasmi del proprio passato, sembra dirci, non si sfugge, né c’è modo di esorcizzarli né rimozione possibile. La Storia è hegelianamente il tribunale del mondo in cui siamo tutti imputati, coinvolti, vittime e carnefici, perché schiacciati al ruolo che ci ha assegnato.

La password del “giallo” è la chiave scelta da una narratrice che in futuro darà altre performance (ha pronto un thriller sui misteriosi Messapi e uno script sulla vita di un vescovo) per capire, e farci capire, l’anima di un tempo in cui si scatenarono i nostri istinti peggiori, “la banalità del male” ci segnò tanto da farci chiedere “questo è un uomo?”.

Francesco Greco

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La scrittrice salentina Tina Aventaggiato non è nuova alle prove letterarie. Diligente e puntuale giornalista di avvenimenti culturali e scrittrice con successo di pièces teatrali e di scenografie cinematografiche, si cimenta ora nella scrittura di un romanzo di spionaggio internazionale, cui fanno da sfondo le vicende storiche della seconda guerra mondiale.

Lo scenario è l’Africa settentrionale contesa fra le armate tedesche di Erwin Rommel e quelle inglesi del generale Bernard Montgomery. Anche l’esercito italiano è in zona e partecipa alla battaglia di El Alamein, una località nei pressi del Cairo, in cui rifulge l’eroismo della divisione corazzata “Ariete”. Su queste vicende di guerra si innestano le traversie dei personaggi che danno vita alla trama avvincente del romanzo, intessuta da un susseguirsi di colpi di scena. Braccati dai servizi segreti tedeschi, che ordiscono inseguimenti e minacce, le giovani ebree, e Abigail fra queste, sono determinate a impedire che cadano nelle mani dei tedeschi documenti di vitale importanza in loro possesso. Sulle loro tracce si portano anche i servizi segreti occidentali, interessati per ragioni opposte ad evitare la loro cattura. Nel tentativo di sottrarsi all’inseguimento si imbattono nell’esercito italiano, acquartierato in territorio libico nella baia di Tobruk, e in un  giovane ufficiale, Efrem Loi, che si offre di accompagnare le fuggitive divenendo, quando ormai le vie di fuga sembrano precludere ogni soluzione positiva, il depositario del loro segreto.

Abigail è davvero tornata? Questa l’ambientazione nel passato, ai primi anni ‘40 del ‘900, ma il piano narrativo si sposta alternativamente al presente, quando i riflessi di quegli avvenimenti coinvolgono ancora i sopravvissuti, gli uni interessati a risolvere una volta per tutte i conti lasciati in sospeso, gli altri a impedire che si compia il loro sinistro progetto. L’odio razziale e l’avidità  di ricchezza li acceca al punto che nulla può fermarli. La drammaticità delle vicende costringe perciò a rivivere gli orrori della guerra. Come finirà? Abigail è  davvero tornata?

La tecnica narrativa è sempre incalzante e il rimbalzo continuo dei luoghi dell’azione si sussegue frenetico nella rappresentazione dei colpi di scena. Al repentino cambiamento dei luoghi si sovrappone la continua variazione dei tempi dell’azione, cosicché l’abilità narrativa dell’autrice ci rende partecipi delle vicende, anche grazie ai continui flashback fra un passato che non trascorre e un presente che inquieta.

Ritmi incalzanti quindi e abilità descrittiva, che si manifesta anche nella resa psicologica dei personaggi, nello scavo interiore che rivela i loro stati d’animo, le tensioni, le angosce e le speranze nel corso delle vicende drammatiche narrate – la guerra e la persecuzione degli ebrei – al punto che, coinvolti emotivamente, temiamo per la loro sorte, attendendo con apprensione salvifica il ritorno di Abigail.

Paolo Rausa


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