Melpignano, la Woodstock del Mediterraneo
Ficarigne e Cocacola, ottoni lucidi di bande di paese alla festa del patrono e tamburelli unti di sangue delle mani dei suonatori. L’”ite missa est” della messa pagana giunge alle 2. Il sommo sacerdote serbo Goran Bregovic, l’Immaginifico dal corpo spigoloso si eclissa. L’happening l’ha distrutto, ma per noi dura sino all’alba. E’ stata l’edizione che più s’è contaminata con la terra della celebrazione. Chi meglio di lui conosce i contadini dell’Est, uguali a quelli del Sud-Est? Musica colma d’energia vitale, criapopili, rubano al tempo, bestemmiano se non piove, i loro fatalisti “se Dio vuole”, l’attesa del vento, il dominio del fuoco e dell’acqua, il domare la pietra nuda. La banda nei Balcani (Kusturica) è ovunque: matrimoni, funerali, feste, ecc.
“Vai – ha detto il direttore – scrivi qualcosa dal cuore della Taranta”. Ma il suo cuore per una notte è il cuore dell’Uomo, la Terra, l’Universo. Sparge il fuoco primordiale del tempo, il suo nucleo più intimo. Il tamburello scandisce il suo battito spossato e folle, delirio e orgasmo cosmico, zuppa di neutroni. Dell’evento (foto di Marcello Sansò) sei spettatore e officiante, ma non lo puoi descrivere. Cronache incomplete (pure questa). Sfugge, non la catturi sulla carta la sua linfa oscura. Sei impotente, non hai password: batti il tempo, bevi, sudi, prendi appunti: banalità, approssimazioni.
Piccola Woodstock del Mediterraneo, Melpignano “santuario” pagano come furono le Grotte di Badisco nei millenni passati: qui si sacrifica a Dioniso. Da 15 anni ci s’inventa una nuova fede, un’altra religione: non violenta, piramidale, ma quieta, gratificante, condivisa dalla base della piramide. Eran 100mila giovani e forti, in rappresentanza di 7 miliardi, qui giunti portati dal vento caldo, una sete antica, a risintonizzarsi con l’ombelico di Geo, collegarsi al flusso di energia dell’Universo che scorre in tutto ciò che è vivo sulla Terra. L’umile tamburello (da piccoli era il regalo più diffuso), una danzatrice vortica lieve come fiocchi di neve, ci s’imbratta d’energia pura del Big-Bang, finisci nei buchi neri di Hawcking, incontri il bosone di Higgs, catturi la particella di Dio sfuggita al Cern.
Erba e vino, odore intenso, ma a che servono? La trance è uguale e sospende nell’aria come le opere di Chagall: è un rito d’iniziazione, lo sciamano si chiama Goran. Così riscrivi i confini delle cose, dai nuova etimologia alle parole, accumuli forza insospettata. Vai nell’Isola di Wright in cerca del tuo Graal, l’Aleph, il vello d’oro, l’Arca dell’Alleanza. Ieri dolore e maleficio, esorcismo, cubbuttilusangu!, oggi icona cool di plebi che nel ragno trovano comuni lacerti di sensibilità e percezioni, valori fondanti, la koinè universale per parlarsi, magari capirsi, convivere, arricchirsi nel rispetto di identità e diversità: il ritmo del tamburello è il cuore di tutti gli uomini di buona volontà.
Ma la “Notte” ha un’epistemologia sconfinata, semantica ricca, materiale e metafisica. Musica antica che rinnova i suoi format nei pixel, echi di saturnalia gaudenti, culti dionisiaci, posesso, misteri eleusini, brandelli di suppliche agli dèi antropomorfi, trance di danza e vino skettu. E poi rivendicazione di un’appartenenza, riappropriazione di Demetra e Arthas il dinasta, di Baath il dio che danza e Selene pudica e insonne finchè non la ingoia l’astro più potente. A Woodstock c’è l’“incubatio” che ridà luce ai sogni, impudiche, folli utopie.
“Che bella la maestra!”, dicono alle mie spalle. E’ Grazia Donateo. Ma qui la bellezza è ovunque, portata con indifferente leggerezza, quasi fastidio. La terra rossa, il morbido abbraccio materno degli ulivi che corrono a Finibus Terrae. Nella facciata della chiesetta di campagna, la grotta affrescata, la masseria stordita dalle cicale, il mare dal profumo che altrove non c’è. Belli i bambini occhi d’oliva e le bambine fiere del corpo magro. E i vecchi? Ce n’è di bellissimi.
Nel fluttuare pigro della ola ne capita accanto uno: racconta. Ha 81 anni, è contento, ha appena comprato un pezzo di terra. “Ora coltivo io, ho 9 figli, devo lasciarne un morso ciascuno, almeno per l’olio…”. La Taranta: un impero dove non tramonta mai il sole, la vita è dilatata, audace, immortale. Sorride: “Per fare quello che devo fare devo vivere almeno 7-800 anni…”. Gesucristumeu! E noi che cerchiamo nei saggi di Cassano, Cullinan, Latouche. Mi invita a casa sua: prevedo marìsci di chiacchiere e tabacchiere: da ottimo ascoltatore…
Il tempo di un’ultima ficarigna janca, un sorso alla lattina di Coca, è ora d’andare. Il Capodanno pagano è al the end: sciamano all’auto, alla littorina. Hanno qualcosa nello sguardo, una luce di gioia, appagamento, come dopo un lung’orgasmo con la Donna Cannone. L’umidità della notte che scolora a sud smussa la Babele di lingue. Cogli frame di tedesco, francese, inglese, spagnolo, arabo, anche di russo, grico: una bimba cinese è seduta sul muretto di pietre a secco, un nero mi chiama “fratello”: dov’è la stazione?… Sorry, aidonnò! Melpignano “chiesa” universale delle genti del Sud-Est, il Mediterraneo, i Balcani, l’Europa, la Madre Africa, l’Oriente…
Ciao taranta (costo circa 1 mln: mettiamo tutto online?), stattebbona, sei stanca anche tu: vai a dormire fra l’erba dei giardinetti dietro la Casa della Memoria: ci si rivede st’altr’anno, ci vole Diu, sennò fanculo a chi resta…
Francesco Greco