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Un episodio della Rivoluzione del 1799 a Gallipoli in una cronaca sincrona

Il 23 Gennaio del 1799 cade il Regno di Napoli in seguito alla disastrosa campagna indetta dai Borbone per liberare Roma dai francesi. Ferdinando IV fu costretto a riparare a Palermo, consegnando di fatto le chiavi del regno al nemico che aveva cercato di allontanare dai propri confini ma che invece divenne a tutti gli effetti il padrone di casa. Nacque la Repubblica Napoletana.

Gli interventi politico-amministrativi adottati dai francesi non furono accettati di buon grado dai napoletani: soprusi, saccheggi, violenze, servizio di leva obbligatorio e alte imposizioni fiscali fecero ben presto rimpiangere la monarchia, tanto da indurre il popolo alla creazione di numerosi movimenti filomonarchici per la restaurazione del potere borbonico. Quello più famoso fu l'”armata” dei sanfedisti, capitanata dal Cardinale Fabrizio Dionigi Ruffo.

Il nuovo periodo di transizione che ne seguì favori l’insorgere di alcuni episodi di totale anarchia, uno dei più famosi è forse quello di Gallipoli, descritto ampliamente in un documento dell’epoca pubblicato, a cura di Roberto d’Otranto, sulla rivista Rinascenza salentina, nel primo numero del  Gennaio – Febbraio 1933. Se ne riporta integralmente il testo.

La rivoluzione del 1799 si svolse in Terra d’Otranto con episodi caratteristici. L’albero della Libertà repubblicana innalzato nel centro della pubblica piazza (9 febbraio 1799) venne abbattuto dopo un giorno dalla plebaglia eccitata dal prete Tursani il quale aveva fatto credere che S. Oronzo era sull’atto di andarsene da sulla colonna romana per non vedere l’Albero e l’effigie della Libertà che era nel Sedile.

Stampa Sanfedista (Fonte:wikipedia)

La realizzazione del Capoluogo e della provincia si verificò rapidamente. Solo una città nostra rimase incrollabile nella resistenza: Martina Franca. Dopo un assedio cruento al quale resistè strenuamente, Martina subì un orrendo saccheggio (marzo 1799) da parte delle orde avide e ubbriache di sangue, capeggiate dai famosi avventurieri corsi Boccheciampe e De Cesare, camuffati, ed acclamati dalla plebe fanatica, da principi della Casa Borbone. Seguì per tutta la regione un periodo di reazione feroce: le carceri della Regia Udienza e del Castello di Lecce, del Forte a mare di Brindisi e del Castello di Taranto rigurgitavano di giacobini che venivano catturati in massa quotidianamente in Lecce, e nei più remoti angoli della Provincia. Truppe turche e russe, venute in aiuto del Borbone perlustravano giorno e notte la vie del Capoluogo: la reazione trionfava. Nessuno era sicuro : qualcuno sfuggito alla carcerazione era fuggiasco o ramingo per le campagne.

Un fanatico fervore sanfedista aveva invaso le turbe, sicchè ogni giorno si susseguivano le processioni di santi e le prediche e le luminarie e le musiche e lo sparo rintronante dei mortari e dei cannoni, in ringraziamento a S. Oronzo per lo scongiurato pericolo repubblicano. Con grandi feste e luminarie e sparo di cannoni si accoglievano le notizie, che man mano recava la posta di Napoli, annunzianti la realizzazione di tutto il Reame da parte delle orde del Cardinal Ruffo. Con la presa di Napoli, di Capua e di Gaeta erano finalmente soffocati gli ultimi aneliti della libertà repubblicana. Ma la plebe, inebriata dalla vittoria, teneva in stato d’anarchia la nostra come tutte le provincie del regno. Qualunque pretesto era buono per saccheggiare. Il potere era in mano dei lazzari il cui capo, a Lecce, faceva quel che voleva trattando da pari a pari l’autorità. L’anarchia dominava specie in Gallipoli, dove pescivendoli, facchini del porto, pescatori e lazzari spadroneggiavano a loro libito e saccheggiavano quotidianamente le case dei civili e dei nobili che venivano rinchiusi nei sotterranei del Castello, vera o falsa l’accusa di giacobinismo. L’ancòra malfermo governo — ad onta che doveva la sua restaurazione al fanatismo monarchico e sanfedista della plebe — voleva farla finita una buona volta con questa situazione terroristica. In Gallipoli, dicevamo, la situazione; ad opera di alcuni facinorosi capeggiatori dei lazzari, si era resa intollerabile. Fu allora che il Preside della provincia decise di andare di persona per normalizzare i cani di Gallipoli alla testa di duecento soldati. Su questo singolare avvenimento è meglio riprodurre testualmente la narrazione che ne fa Emanuele Maria Buccarelli, cronista leccese sincrono, che registrò giorno per giorno, direi quasi ora per ora, i fatti accaduti sotto i suoi occhi.

18 agosto 1799. Giorno della rivoluzione sortita nella città di Gallipoli. Come si dice guai, alla povera Gallipoli, guai coll’arrivo fatto da questo signor Preside Luperto d’unita colla truppa nella città di Gallipoli li furono fatti molti maltrattamenti. Arrivato in quella dagli cittadini li fu impedito l’ingresso. Dopo qualche tempo poi lo fecero entrare d’unita colla truppa che portava. Entrato si portò per luoco di abitazione nel Convento dei rev. padri Domenicani. Dalli cittadini dell’istessa li fu indirizzato ed appuntato un cannone in faccia alla di lui abitazione. Si pensò poi dal signor Preside per la comune tranquillità e quiete distribuire più battuglie di soldati per la città.

Li nazionali della stessa non solo non le volsero ma le cimentarono perseguitandole e maltrattandole con pietre ed armi, che più soldati furono feriti per cui furono obbligate ritirarsino. L’istessi li fecero poi anche a sentire al detto signor Preside che subito dovesse sloggiare da detta città d’unita colla truppa che altrimenti sarebbero tutti massacrati. Uscita tutta la truppa da detta città, nell’uscire che facea la carrozza col signor Preside dal popolo li fu chiusa la porta e tirato il ponte, per cui l’istesso restò preso d’unita con pochi soldati a cavallo che l’accompagnavano. Serrata la porta e tirato il ponte fu obbligato l’istesso ritirarsi con quei pochi soldati con molto suo scorno e rossore nell’istessa abitazione padri domenicani. Stando nella sua abitazione corse in quella il popolo gallipolino forzandolo e minacciandolo che sottoscrivesse diverse loro capricciose pretensioni. Quali furono: che dovesse spedire il passaporto per venti persone. Che la carcerazione fatta dal popolo in persona di trentasette galantuomini dell’istessa sia stata legittimamente fatta.

Che sottoscrivesse un attestato dichiarandoli tutti veri realisti ed attaccati alla corona e molte altre strambalate pretensioni per locchè  vi compulsus fu tutto obbligato a sottoscrivere.

Fatto tutto quanto quelli desideravano dopo lungo tempo dal popolo li fu dato il permesso di poter partire per cui con quei pochi soldati subito se ne ritornò. Saputosi questo dalla nostra città di Lecce si spedì staffetta per Napoli al signor Cardinale dando minuto ragguaglio dell’accaduto in Gallipoli al nostro Preside.

[Non vi sembrano dei bambini che abbiano ricevuto un torto e non potendo reagire lo raccontano a papà?]

Dalla nostra città poi si pensò di subito armare molta gente e con traini, galessi, ed altre cavalcature spedirle per la città di Gallipoli, d’unita col signor uditore D. Francesco Luperto figlio del detto signor Preside accompagnato dal Capitano de’ Turchi, dal console Moscovita, dal Capitano D. Mariano Tarantino, dal Castellano di Lecce D. Francesco Fontanella, ed altri li quali arrivati che furono nella città di Nardò, s’incontrarono col nostro Preside che faceva ritorno con la truppa quali poi d’unita tutti si ripatriarono. Prima d’entrare in città l’uscirono avanti molti soldati d’unita con una sontuosa banda composta da vari istrumenti.

A’ 21 agosto, al fare del giorno è arrivato in questa nostra città con molto giubilo ed allegrezza di tutti i nostri concittadini il nostro signor Preside d’unita con gli altri ed in ringraziamento al Signore si fece celebrare una messa cantata alla SS. Vergine della Porta col suono di molti istrumenti e spari di mortari.

Subito arrivato dal signor Preside si pensò di spedire un’altra staffetta al Re, dando di tutto il successo in Gallipoli minuto ragguaglio.

A’ 4 di detto. Si pensò dalla nostra città e Tribunale di mandare deputati per liberare dalle mani di quei cani Gallipolini il di loro Vescovo.

Si recarono infatti i deputati di Lecce che col pretesto che non avevano Vescovo che pontificasse per le prossime feste del Patrono, ottennero dopo molte resistenze, di condurre con loro il presule.

La normalizzazione di Gallipoli avvenne qualche mese dopo ed anche di ciò ce ne dà notizia il Buccarelli nel suo manoscritto. Tempi eccezionali di miseria morale e di superstizione fanatica: a due briganti era possibile camuffarsi d’un tratto in principi borbonici, controrivoluzionare una regione, restaurare il vecchio regime, imprigionare tanta gente. Un improvvisato intendente come il Luperto che andato per reprimere l’anarchia di Gallipoli viene, benchè circondato di armati, vergognosamente catturato e, liberato nel modo che si è visto, viene accolto con musiche feste e spari e per giunta si fa ringraziamento alla Vergine non si sa per quale ricevuta grazia, e non sapendo altro che fare, si spedisce una staffetta al Cardinale.

Roberto d’Otranto

Per l’episodio narrato Cfr anche:  FRANCESCO MASSA – Avvenimenti di Gallipoli dal 1798 al 1815 — Gallipoli, Tip. Municipale, 1875.

Il documento originale è consultabile al link: http://www.culturaservizi.it/vrd/files/RS33_rivoluzione1799_Gallipoli.pdf


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