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Il crocefisso della Macchia (o cripta del Crocefisso)

Situata al confine tra Ugento, Casarano, Taurisano e Ruffano, la collina del Manfio può essere considerata un vero e proprio tesoro storico-naturalistico, ricca di testimonianze che ci riportano indietro nel tempo in un periodo imprecisato nel quale non era ancora stata “inventata” la civiltà.

Piccole specchiolle troncoconiche realizzate con massi di diverse dimensioni sono disseminate ovunque tra colture miste e arbusti di macchia mediterranea, spesso accompagnate da piccole grotte e cisterne, quasi come a voler tracciare un percorso ad ostacoli alla ricerca del Menanthol, la pietra forata dall’incerto significato  ma che insieme ai dolmen, specchie e menhir consente di completare l’offerta megalitica salentina.

Crocefisso della Macchia

Con un solo colpo d’occhio è possibile cogliere il tramonto da Ugento a Gallipoli e con pochi passi toccare con mano alcune delle fasi dell’evoluzione dell’uomo a partire dalle grotte della Trinità (o dell’Eternità) e del Crocefisso. La prima, proprietà privata, danneggiata irrimediabilmente dall’intervento umano ha offerto un riparo all’uomo fin dal Neolitico e perpetuato fino al tardo medioevo come dimostrano ritrovamenti di olle e lucerne e alcuni affreschi a motivo religioso. La seconda invece ha contribuito a coltivare un’ampia parentesi socio-religioso-culturale in un fazzoletto di terra apparentemente privo di aspettative.

Dopo una prima frequentazione da parte dell’uomo primitivo, che ha lasciato sulle sue pareti graffiti scudiformi a testimonianza del suo passaggio, un gruppo di monaci italo-greci decide di farne, intorno all’XI secolo, uno dei numerosi luoghi di culto intorno al quale si riunirà ben presto buona parte della popolazione dei comuni limitrofi. L’affezione spirituale nei confronti del Manfio crescerà sempre più fino a divenire nel XVI e XVII secolo meta designata per le innumerevoli richieste di intercessioni miracolose, spesso esaudite. Un esempio è il miracolo dell’8 Febbraio del 1688 che permise ai cinque componenti di una famiglia di Supersano di uscire illesi dalle macerie della propria abitazione, crollata a causa del cedimento strutturale di una adiacente. I malcapitati invocarono l’intervento del Crocefisso della Macchia ed ebbero salva la vita.

Interno della chiesa-cripta del Crocefisso

In questo periodo di fervore religioso la grotta aveva cambiato “padrone” già da tempo. Dal 1390 risulta proprietà dell’ospedale di Galatina, gestito dapprima dai Frati Minori Osservanti e poi dagli Olivetani che nel 1494 lo ricevettero dagli Aragonesi insieme alla chiesa di Santa Caterina d’Alessandria. Introdussero il culto di Santa Costantina, Santa alla quale dedicarono una seconda cavità che si diparte dalla grotta (all’interno della quale oggi è stata allestita permanentemente una scena della natività), e realizzarono differenti affreschi raffiguranti la Trinità, Sant’Antonio Abate, Sant’Onofrio, Sant’Eligio ed una rappresentazione del peccato originale di Adamo ed Eva.

Cavità interna

Di particolare interesse è l’affresco della Crocefissione, realizzato su un abside naturale, all’estremità di una delle due propaggini della cripta. Il corpo del Cristo è stato delineato sulla sporgenza naturale della roccia conferendo all’immagine una connotazione tridimensionale. Un secondo altare (postumo), anch’esso affrescato, si frappone tra quest’ultimo e la platea. Gli olivetani realizzarono inoltre un monastero, di cui restano oggi alcuni ruderi, e alcuni ambienti, collegati alla cripta da una scala interna da destinare a diversi scopi tra i quali l’ospitalità dei pellegrini diretti a Santa Maria di Leuca e che qui sostavano in attesa di raggiungere la tappa successiva, la cripta di Santa Maria di Coelimanna.

Il Manfio divenne un vero e proprio feudo in mano agli Olivetani fino all’eversione delle feudalità avvenuta nel 1806 per volere di Napoleone Bonaparte. Conosciuto come il feudo di Santa Costantina, poteva considerarsi uno dei più ricchi e prosperosi del basso Salento, con oltre 4000 alberi di ulivo, ettari di terreno destinati alla coltivazione di grano, orzo, avena, bambagia, lino, fave, ceci, cicerchia e vigne.

Agli Olivetani appartenevano anche altri piccoli feudi limitrofi, come quello di Caprarica, di Colomito, e di Torrepaduli (ottenuto per concessione diretta da parte di Maria d’Enghien).

Resti del monastero degli Olivetani

Anche se con alti e bassi il culto religioso intorno al crocefisso della Macchia è continuato incorrotto fino a giorni nostri, come dimostra anche l’affresco ex-voto del Redentore sull’ingresso della cripta, realizzato nel 1944, e corredato dalla dedica: “Al re della pace / i fedeli / a perenne ricordo / per lo scampato pericolo / della guerra / A.D. 1944”

 Marco Piccinni

SITOGRAFIA:

http://www.prolocoruffano.com/cripta_crocefisso.htm

http://www.criptacrocefisso.it/la-cripta/


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