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Il Museo diffuso di Cavallino

Una rampa di scale in metallo per salire in alto, abbastanza in alto, per poter abbracciare con una sola occhiata un passato che riemerge dalla terra, all’interno del quale si intrecciano storie di vivi e di morti in un infinito ciclo di corsi e ricorsi vichiani, che vedono inesorabilmente il nuovo sostituirsi al vecchio, il forte prevalere sul debole. Un passato in cui perdersi , nel quale si intrecciano periodi storici in una bagarre temporale. Siamo nel Museo Diffuso di Cavallino, un’area archeologica che si “estende” dal XVI secolo a.C. ad oggi.

Ingresso del museo diffuso

Non si conosce esattamente quale dovesse essere il suo nome nella lingua dei Messapi, che qui fondarono una città, e che tutt’oggi rivivono, almeno scenicamente, in alcune sculture in ferro realizzate da Ferruccio Zilli, collocate nella zona settentrionale dell’area archeologica. Un popolo avvolto, per alcuni aspetti, ancora nel mistero. Sappiamo poco di certo sulle loro origini e culti. Non erano soliti realizzare templi, piuttosto colonne votive e cippi, decorati con iscrizioni e ornati con ghirlande e bende votive, da collocare all’interno di aree sacre, opportunamente recintate e a cielo aperto.

Cippo votivo

Oltre 3 km di mura circoscrivevano quasi 69 ettari di terreno all’interno del quale si sviluppò l’insediamento messapico. Le mura, realizzate con la pietra estratta dal terreno di cava divenuto poi un fossato profondo 2 metri e mezzo e largo 3 e mezzo, hanno uno spessore approssimativamente di 4 metri con due paramenti esterni realizzati in blocchi di diverse dimensioni, ed un riempimento interno costituito da terra, pietra e schegge di calcare. La zona più settentrionale viene racchiusa da due ulteriori cerchie murarie, più interne, realizzate con la medesima tecnica costruttiva della recinzione esterna e probabilmente ad  essa coeve.

I guerrieri messapici in ferro di Zilli

Quello di Cavallino è stato definito un abitato dai caratteri “proto urbani”: una serie di assi stradali che dalla porte di ingresso delle mura di cinta giungevano fino ad una grande “piazza pubblica”, con una pavimentazione in battuto di calcare sbriciolato e frammenti di tegole pressati, e canalizzazioni  di drenaggio (in parte scavate nel banco roccioso e in parte costruite con blocchi di calcare), chiuse da opportuni basoli, per la raccolta e trasporto dell’acqua in apposite cisterne. Molte delle canalizzazioni convergono verso la cupa, una dolina naturale all’interno della quale è stata scavata una grotticella nel medioevo per scopo abitativo.

Resti di abitato

Tra strade e condutture sono ancora ben visibili le abitazioni, o per lo meno ciò che ne resta, dei centri abitati i quali sembrano non seguire le stesse linee guida architettoniche. In alcuni casi le case si affacciano direttamente sulle strade, in altri invece sono agglomerate intorno ad uno spazio aperto apparentemente senza nessun criterio, quasi a voler simboleggiare l’appartenenza ad un clan. Ai differenti stili abitativi tenuti in vita, ne corrispondono altrettanti nella morte. Una tomba a camera ipogea (IV, III sec. a.C.) che avrebbe ospitato almeno sette individui, costituita da due ambienti, ai quali si accede con alcuni gradini,  e un letto funebre intagliato nella roccia. Poco più avanti una piccola necropoli con alcune fosse del V secolo apparentemente mai utilizzate, che insistono su un’area caratterizzata dalla presenza di diverse buche da palo.

Tomba a camera

Necropoli del V secolo e buche da Palo

La città fortificata si sovrappone ad insediamenti più antichi, come un villaggio a nuclei sparsi dell’età del bronzo (risalente tra il XVI ed il XV secolo a.C.) , un’area probabilmente abbandonata per molto tempo e rioccupata in seguito in età arcaica per prosperare per oltre 4 secoli. Segue un’ulteriore e profonda crisi associata a fenomeni di violente distruzioni che provocarono, ovviamente, un nuovo abbandono dell’area che non venne più interessata da significativi stanziamenti. Il materiale oggetto dei crolli venne accatastato durante i secoli per far posto all’agricoltura, formando così alcune specchie, un attività che non poco ha contribuito a danneggiare i resti della città, soprattutto negli ultimi anni caratterizzati dall’uso sempre più massiccio di strumenti meccanici.

Un’aia, costituita da un basolato di sottili lastre di calcare, ed alcune pajare ci riportano in un’epoca più vicina alla nostra, quando contadine e bambini si adoperavano nella pulizia dei cereali e di altri legumi in genere.

Aia

E’ giunta l’ora di tornare sui nostri passi, riattraversiamo l’imponente ingresso che ci ha permesso di effettuare questo piccolo viaggio nel tempo. Siamo nuovamente nel XXI secolo, ma questa volta con la consapevolezza che una buona parte del nostro passato è proprio li, ad un passo di distanza dal presente.

 Marco Piccinni


Un commento su “Il Museo diffuso di Cavallino

  1. Luigi Paolo Pati ha detto:

    Siamo nel Salento centrale, più precisamente nel Bacino alluvionale della Cupa, seguendo una pista che attraversava la primigenia Foresta salentina e marcato dal Menhir di Lequile e dalla Pietragrossa di Novoli, nel Neolitico, un gruppo umano si insedia in località Riesci -Arnesano-. costituendo il primo insediamento umano nell’area.
    Il Villaggio si circonda di una cinta di Specchie, poste a corona, più precisamente, partendo dalla Specchia di Trepuzzi, meridiana rispetto alla cinta e seguendo in senso antiorario si sono osservate: quella di S. Croce -Campi Salentina-, la Specchia di Carmiano, la Specchia Saetta -Monteroni di Lecce-, la Specchia Vittorio-Lequile-, la Specchia di San Donato, la Specchia di Ussano, lo Specchione di Cavallino, la Specchia dei Lauris -Lecce- e la Specchia Tremititis -Surbo-, queste ultime due di incerta localizzazione (fonte C. De Giorgi).
    Il popolamento antico cronologicamente occupa l’area che oggi viene museizzata a Cavallino con il Museo Diffuso di cui trattasi, con l’abitato del Bronzo e successivamente in epoca Messapica la città di Rudiae, i primi insediamenti umani.
    Questo importantissimo giacimento culturale, versa nel più totale disinteresse, ferito e ignorato dalla pianificazione a qualsiasi livello amministrativo la si vuole considerare, meriterebbe un’attenzione normativa puntuale e organica, per il delicato equilibrio idrogeologico che esprime, essendo il Bacino della Cupa un bacino endoreico, senza deflusso a mare, condizione questa ha fornito, in un Salento povero di idrografia superficiale, le condizioni per la costituzione di questi insediamenti umani.
    L’area archeologica vasta di Puglia.

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