L’abbazia di San Salvatore a Sannicola
Conciliazione. Una delle parole chiave durante la dominazione Normanna, la quale si proponeva di riportare nell’alveo del monachesimo occidentale il credo ortodosso del cenobitismo salentino. Così si esprime Luigi Carducci nella sua enciclopedica opera “Storia del Salento” , nella quale descrive questo periodo come particolarmente florido per la penisola salentina e per la Puglia intera.
I Normanni favorirono la restaurazione ed il recupero dei vecchi monasteri e la costruzioni di nuovi, con donazioni e lasciti ai quali veniva invitata a partecipare anche la popolazione. Questa politica garantì la sopravvivenza di monasteri e abbazie di rito greco nelle provincie più meridionali della Terra d’Otranto, mentre sortì l’effetto contrario nelle province di Brindisi e Taranto contribuendo ad una netta riduzione degli ordini monastici ortodossi.
L’erezione di edifici di culto nelle contrade rupestri garantiva la presenza di un luogo di incontro, di condivisione e di preghiera per le popolazione rurali. In questo modo non si sarebbero sentite legittimate ad abbandonare le campagne, garantendo continuità nella lavorazione delle terra.
Nacquero numerose chiese, conventi e monasteri rimaneggiati con il tempo e riadattati a granai, depositi di attrezzi agricoli, fienili, stalle, o in alcuni casi inglobati all’interno di complessi masserizi più ampi che potevano contare così, nel migliore dei casi, in una cappella privata. Questa fu proprio la sorte che il destino ha riservato all’abbazia di San Salvatore, a Sannicola, non molto distante da un secondo complesso abbaziale rappresentato dalla piccola chiesa di San Mauro, sull’omonima rupe. La chiesa venne costruita probabilmente nel XII secolo, per essere poi fagocitata da strutture masserizie edificate intorno al XIX secolo, come alcune stalle, e vari ambienti situati su due piani, probabilmente destinati ad uso colonico ed abitativo da parte dei signorotti, proprietari del fondo, secondo un modello “gerarchico” che vedeva il lavoratore usufruire dei piani bassi, mentre il nobile viveva le sue giornate chiuso e indisturbato ai piani alti.
La storia dei complessi monastici spesso ci giunge come riflesso di quella degli abati o degli egumeni che li guidarono, o dai registri delle decime pagate alla Chiesa di Roma. L’abbazia di San Salvatore poteva contare di numerose donazioni, sia da parte di nobili che dai cittadini locali in segno di rispetto, ammirazione, e a volte anche timore reverenziale. Atti che spesso contribuivano alla messa in posa di solide fondamenta, sulle quali basare l’integrità materiale e spirituale di cui i vari ordini religiosi avevano bisogno. Un suo abate, Niceforo, venne promosso alla guida di San Nicola di Casole dall’arcivescovo di Otranto, nel 1347,mentre un altro, nel 1310, partecipò al concilium Ydrontinum. È questa la testimonianza più antica pervenutaci.
Ha una struttura basata su tre navate absidate, divise da archi acuti poggianti su pilastri con capitelli a stampella. Sulla parte absidale centrale, e su alcuni dei pilastri, è possibile riesumare i volti sbiaditi di alcuni santi, vescovi e filosofi bizantini. Tra questi, coloro che hanno resistito maggiormente ai devastanti effetti del tempo e dell’incuria, sono i padri cappadoci, un gruppo di filosofi cristiani ellenistici del IV secolo che formarono una famiglia monastica: ossia Basilio Magno, Gregorio di Nissa e Gregorio Nazianzeno (i loro maggiori contributi furono dedicati alla definizione della Trinità e alla versione definitiva del credo niceno), accompagnati da Giovanni Crisostomo, vescovo e secondo patriarca di Costantinopoli, venerato dalla chiesa cattolica, ortodossa e copta. Tutti e quattro gli uomini reggono una pergamena con iscrizioni in greco. Sopra di loro una deeisis e una trasfigurazione, mentre il volto del Cristo, con nimbo crucigero, appare su uno dei pilastri della navata di destra. I due piccoli absidi laterali possono essere assimilati a due nicchie date le piccole dimensioni.
Dietro la chiesa sussistono delle piccole fosse, adibite probabilmente ad uso sepolcrale o per la conservazione di derrate alimentari.
Alcuni scavi da cava, adiacenti il muro perimetrale della masseria, potrebbe suggerire uno sfruttamento delle risorse in loco proprio per la costruzione dei locali che hanno cinto la chiesa bizantina, mentre permangono, a pochi metri di distanza, i resti di una grande aia e di alcune antiche carraie.
Marco Piccinni
Per altre informazioni fotografiche consultare l’articolo: Sannicola. Le crepe di San Salvatore di Massimo Negro
BIBLIOGRAFIA:
Luigi Carducci, Storia del Salento, Mario Congedo Editore (2007)