La festa di San Martino a Taviano
“A San Martino ogni mosto diventa vino”. Un modo di dire che risuona ormai come un imperativo nella penisola dello stivale ma che a Taviano diviene più incisivo, come un eco che ritorna a farsi sentire per ribadire un concetto appena affermato, più e più volte. Ed è proprio qui, nel cuore del Salento che San Martino offre il suo patronato alla popolazione con la quale ha sempre avuto un rapporto “amichevole”, quasi da “cameratismo”.
Lo dimostrano le decine di aneddoti che i “vecchi” di Taviano ricordano ancora. La processione della statua nella quale veniva infilata una sarda salata in bocca, per far conoscere al Santo la terribile sensazione della sete di cui soffriva la terra nei periodi di feroce carestia. Una maniera del tutto originale per invocare l’intervento provvidenziale della pioggia. E poi ancora una frase, costantemente ripetuta da un tavianese al Santo ogni qual volta sentiva il bisogno di chiedere una grazia: “Ca te canùscu, piràzzu”.
Un rapporto in bilico tra il sacro e il profano, proprio come la figura dello stesso Santo, diviso tra la tradizione celtica e quella Cristiana. Il dio-cavaliere dalla mantella corta e nera come il suo cavallo, il guerriero che cammina sulla terra ma che combatte e vince sugli inferi, sulla morte. Considerato anche il dio della vegetazione, che vince la morte con la morte, il garante del rinnovamento della natura dopo il ciclico esaurimento della vita nei campi al sopraggiungere dell’inverno. Il seme che attende nella fredda terra e rinasce in primavera. Ma anche il soldato dal cavallo bianco,l’eremita e il dottore della chiesa che dona metà della sua lunga cappa ad un poveretto tremante, in una gelida notte alle porte della città di Amiens. Il vescovo designato per acclamazione popolare e ligio alla tradizione Cristiana contrariamente al sinistro significato del suo nome, dedicato a Marte.
Si festeggia l’11 novembre, giorno della sua morte, avvenuta nel 397, diventato con il tempo un riferimento importantissimo nel calendario civile e religioso. Fino alla fine dell’Ancient Régime, l’11 novembre segnava l’inizio delle attività dei tribunali, delle scuole, dei parlamenti, si tenevano le elezioni municipali, si rinnovavano i contratti agrari e si traslocava, come ricordano ancora oggi i nostri vecchi nell’espressione “facimu Santu Martinu” per indicare un trasloco, un rinnovamento. Giorno di precetto festeggiato con fuochi, banchetti innaffiati dal vino novello e fiere di prodotti di ogni genere e di animali cornuti, proprio come avviene ancora oggi per Santu Martinieddhu, il 12 novembre, con il quale Taviano chiude i festeggiamenti entrati nel vivo il giorno precedente. Si chiude un altro anno agricolo, uno nuovo stà per cominciare. Una sovrapposizione sorprendente con i capodanni pagani dal Samain, del primo Novembre e i cui festeggiamenti si protraevano per una decina di giorni. Un intervallo delimitato nella cultura catechizzata dalla festa di Ognissanti e da quella di San Martino, anche se l’importanza di quest’ultima è andata via via scemando con il tempo.
Il culto di San Martino a Taviano era già vivo nel XV secolo. La chiesa Matrice nell’omonima piazza, a lui dedicata, eretta nel 1452, è stata restaurata nel 1635. A tre navate e con base a croce latina, all’esterno ha due nicchie che custodiscono le statue di San Pietro e San Paolo, le basi fondanti del Cristianesimo per il quale Martino si farà evangelizzatore nelle Gallie, mentre all’interno un ciclo pittorico realizzato nel 2003 dal tavianese Francesco Palma. L’accostamento del vecchio e del nuovo che ritorna nello stesso luogo, la morte e la vita che da essa si rigenera. L’inizio di un nuovo ciclo.
Marco Piccinni
BIBLIOGRAFIA:
Alfredo Cattabiani, Santi d’Italia: vita, leggende, iconografia,feste, patronati, culto. BUR – 1993