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La “Matonna de la rutta” (Madonna delle grotte)

E’ buio. La luce non penetra in profondità all’interno della caverna della Madonna della Rutta, più comunemente conosciuta come “la Madonna delle Grotte”. Una contrada dal variegato patrimonio arboreo e culturale, presieduta da una piccola chiesetta ricavata in una liama, eretta lì dove un tempo si parlava una lingua differente, dove si praticava un culto religioso “intriso di Oriente”, dove bastavano poche incisioni e monogrammi per contemplare l’ultraterreno.

E’ un cancello in ferro, parzialmente arrugginito, l’unica connessione tra due mondi  che in un lontano passato hanno camminato insieme fino ad una scissione che non ha lasciato nessuno spiraglio di riconciliazione. Uno dei due ha continuato il suo cammino in queste terre, l’altro rilegato nell’oblio e nell’oscurità di una fredda caverna.

Ingresso della rutta visto dall’interno

Superato quest’unico ostacolo si entra in contatto con una realtà contadina che ha usato quegli ambienti per anni come deposito di attrezzi agricoli. Un bidone in latta riverso su di un lato, pietrame, una vecchia cisterna. I raggi del sole penetrano ancora dal piccolo ingresso fino a sbiadirsi quasi del tutto in prossimità delle prime croci. Si, decine, centinaia di croci di varie forme e dimensioni disposte a formare un firmamento di pietra. La luce delle torce elettriche ci accompagna per il restante tratto del percorso, poche centinaia di metri complessivamente. L’occhio ci mette un po’ ad abituarsi alla variazione di luminosità. Le pareti della grotta cominciano allora a comunicare, lettere e simboli si muovono per disporsi armoniosamente sulle irregolari superfici interne dell’alto cunicolo. Monogrammi, croci, nomi, date, “comunicazioni di servizio”. Sono a centinaia i messaggi lasciati su queste pareti nel corso dei secoli.

Si inizia dal XII secolo, i caratteri, le espressioni, la parole, i simboli sono di matrice bizantina. Un pesce (dalla dubbia datazione), una croce con il monogramma IC XC NI KA (Gesù Cristo Vincitore) tipico delle icone ortodosse.

Iscrizione bizantina

IC XC NI KA – Gesù Cristo Vincitore

Iscrizioni che rimandano a passaggi di pellegrini e fedeli, come una scritta in greco che recita “Ricorda o Signore il servo tuo Michele” con una tipologia scrittoria che potrebbe anticipare di due secoli le incisioni bizantine, oppure ancora alcuni glifi latini che riportano nomi e date, come “Fra Felice Adaliria 1619” affiancato da un serpente che si avvolge su un caduceo e “Marcho Chyodo 1694“.

E poi nomi comuni, Mario, Giovanni, Marta, Giuseppe,Nicola, affiancati da date che abbracciano tutte le decadi del secolo scorso e da espressioni in una lingua amica, a noi più congeniale. “Non toccate i pipistrelli” dice una di queste incisa nella pietra e poi ricalcata con inchiostro blu. Una cortesia nei confronti di questi piccoli mammiferi che popolano le profondità dell’antro e che non mancano di far percepire la loro presenza con il battito delle ali spostandosi da una parte all’altra della caverna dopo aver percepito una presenza estranea. Più amichevoli si presentano dei piccoli topolini bianchi, per nulla spaventati dall’invasione umana, così come ragni e grilli delle grotte, privi di pigmentazione, che permangono immobili nella loro routine.

Parte del corridoio interno

La zona in cui insiste la grotta era di pertinenza dei padri Carmelitani di Presicce, ordine soppresso durante il regime napoleonico facendo subire la stessa sorte al santuario della Madonna della grotta. Alcuni studi condotti negli anni 50 del secolo scorso inoltre hanno permesso di individuare un paio di sepolture, selci e alcuni cocci dell’età del bronzo

Finisce qui un piccolo viaggio a ritroso nel tempo, durato il tempo necessario per percorrere in ambo le direzioni i cunicoli della rutta in agro di Acquarica del Capo, ma non per questo poco affascinante per i contenuti. Un contatto diretto con il passato di popoli e culti differenti, protetti dal buio, dimenticati dalla luce, ma pur sempre vivi nella memoria delle generazioni già appassite e di quelle che stanno aprendo ora gli occhi su una consapevolezza poco ovvia delle proprie radici.


Marco Piccinni


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