La vora del Fau nel bosco del Belvedere
Qualsiasi altezza raggiunga un uomo, ciò che passa in mezzo tra i suoi piedi e la sua testa non differirà poi tanto da quello che vi passa in qualsiasi altro uomo sulla terra. Differenze minime, quasi impercettibili, tra lineamenti e colori. Ma proviamo ad entrare in un bosco, troviamo una voragine, decidiamo di esplorarla. Ogni metro corrisponde a nuove sensazioni, nuove “scoperte”. Ciò che possiamo trovare qui, in basso, sarà totalmente differente da quello che troveremo in una voragine simile per dimensioni ma dislocata altrove. Siamo a Supersano, nel bosco del Belvedere.
Una voragine, Fau, profonda pochi metri all’interno della quale alberi della manna, felci, smilax sono i protagonisti di una scenografia mozzafiato. Chilometri di rampicanti che cadono dal cielo come una fitta pioggia d’autunno, radici che fuoriescono dal terreno a formare strane, tortuose e gigantesche sculture, pochi pipistrelli, insieme alle loro prede, al riparo all’interno di una grotta che convoglia le acque meteoriche in un laghetto sotterraneo, piccoli budelli rocciosi, parte di un intestino che si snoda nel sottosuolo avvolto nell’oscurità, privo di luce ma che alimenta come una torcia olimpica una moltitudine di supposizioni e misteri, aggrovigliate congetture sul come e sul perché che pian piano verranno sciolte come le corde liberate dai nodi alla fine di una “missione” speleologica.
Condotta da Vincenzo Turco e Rocco Castrì, seguiti da una decina di principianti alla loro prima esperienza, una vera e propria lezione di speleologia, volta a far nascere l’amore per una disciplina che ti pone in contatto diretto con la natura, che ti spinge a volerla conoscere fino in fondo, un “fondo” che non si estingue una volta messi i piedi a terra dopo aver disceso una parete di pochi metri e toccato il ventre della voragine, né tantomeno dopo aver attraversato quel tratto facilmente percorribile in posizione eretta all’interno della cavità. Una passione contagiosa come una virus che non miete vittime. I sintomi? Si comincia ad aprire gli occhi verso nuovi orizzonti, concentrati anche in pochi metri quadrati come un rivisitato vaso di pandora; si sviluppa una curiosità che risveglia istinti di esplorazione sopiti da tempo; si instaura una forma di empatia con esseri animali e vegetali non capaci di comunicare con il tuo stesso linguaggio, ma che dopo un po’ ti sembra di comprendere.
Uno sconvolgimento in tutti i sensi che nella risalita sembra riacquisire una strana normalità, tutto sembra familiare, vicino, confortevole. Eppure siamo sempre li, nello stesso luogo che poco prima ci ha sconvolti.
È la natura che modella e plasma questi luoghi. Come gli alberi che crescono prepotentemente all’interno delle rocce, frantumandole. Vogliono arrivare a vedere quella luce del sole che all’interno della voragine non riesce a penetrare, la terra che scivola via chiudendo alcuni passaggi ed aprendone altri. Un bosco che per secoli ha fornito la materia prima per l’industriosa operosità dell’uomo e che ora, giustamente, si lascia ammirare godendo di questo strano riposo che gli è stato concesso.
Il sole tramonta, raccogliamo i nostri attrezzi e raggiungiamo le auto. Andiamo via con una nuova consapevolezza.
Marco Piccinni