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La grotta di San Cristoforo, Melendugno

Due gemelli, uno umano e l’altro destinato all’immortalità. Uno strano guerriero muto con la testa di un canide. Un gigante buono alla ricerca del più potente sovrano da servire. Il signore dell’olimpo con le sue folgori. Personalità differenti nella natura e nell’aspetto che si ritrovano in un luogo, lo stesso, da secoli. La grotta di San Cristoforo nella marina di Melendugno.

Grotta di San Cristoforo, interno

Grotta di San Cristoforo, interno

Intitolata al martire Cristiano, membro dei 14 santi ausiliari della Chiesa e patrono di viandanti, pellegrini, barcaioli, facchini e automobilisti, la grotta diviene un santuario a carattere anacoretico per la neonata religione ufficiale dell’impero romano intorno al IV secolo. Raffigurato come un gigante che porta sulla spalla il peso del mondo e del Cristo che lo ha creato, l’iconografia di questo santo orientale importato in occidente trova le sue fondamenta in un culto di derivazione egizia. Originariamente rappresentato come un guerriero forte e possente, privo della parola e con la testa di un cane, che ha conosciuto l’umana concezione insieme alla fede, dopo aver peregrinato in giro per il mondo mettendosi al servizio dei più potenti sovrani prima di sottomettersi ad un bambino, il Cristo, che ha trasportato da una sponda all’altra di un fiume. Aneddoto che lo ricollega all’iconografia mitologica di Eracle, che trasporta tra le braccia Eros, e lo rende patrono dei naviganti, “collega” dei Dioscuri: Castore e Polluce, i due gemelli dell’omonima costellazione condannati fin dalla nascita a dividersi un giorno tra l’Ade e l’Olimpo prima di essere incastonati nel firmamento dal padre degli dei. Lo zio Poseidone donò ai due nipoti, membri dell’equipaggio degli Argonauti partiti alla ricerca del vello d’oro, il potere di dominare il vento e il mare, rendendoli oggetto di culto ovunque ci fosse un mare da navigare.

I loro nomi, insieme a quello del signore dell’Olimpo, furono probabilmente i destinatari di suppliche e preghiere di buon auspicio per un imminente viaggio sulle onde del mare blu. Piloti, capitani, mercanti, viaggiatori hanno lasciato sulla nuda roccia di quest’antro quadrangolare, tra il I secolo a.C. e il XIII d.C., una serie di iscrizioni greche, latine e cristiane. Nel 1877 il giudice De Simone fece strappare le superfici scritte che riuscì a distinguere per farle confluire nella collezione Castromediano nel 1902 (andate poi perdute per sempre). Tra queste la dedica al dio della grotta da parte di Publio Anicio Niceforo, contenente una richiesta di augurio di buona navigazione, e quella di un nocchiero che chiede al dio di mantenere ferma e salda la rotta.

Grotta di San Cristoforo, iscrizione

Grotta di San Cristoforo, iscrizione

All’interno della grotta-tempio di punta Matarico a 5 metri sul livello del mare, affacciata a N-NO, una banchina in pietra corre su tre lati lambendo i resti di tre absidi orientate liturgicamente e distrutte in un secondo momento, probabile effetto di rimaneggiamenti di età medioevale. Il pavimento in terra battuta ha restituito stratificazioni di cocci, ceneri, conchiglie, ossa di animali e frammenti di manufatti in pietra, materiali databili tra il VI al II secolo a.C.

Un edificio sacro per diversi culti e religioni vandalizzato dall’utilizzo di vernici a spray sulle pareti e sui graffiti ancora presenti in loco e deturpato dal pattume accumulatosi come nei migliori rave party. Nell’antichità si affrescava l’immagine di San Cristoforo all’interno delle città e sugli edifici in punti che garantivano una buona visibilità. Si credeva che osservare l’immagine del santo viandante al mattino avrebbe garantito la sopravvivenza fino alla sera delle stesso giorno. Si cercava costantemente la raffigurazione del “traghettatore” per assicurasi lunga vita. Chissà cosa penserebbero oggi gli antichi naviganti nell’osservare lo stato di incuria e degrado in cui vige questo bellissimo luogo, offuscato dalla ben più turistica attrazione delle due sorelle che la osservano da lontano. Sicuramente se ne andrebbero via senza lasciare preghiere di buon auspicio disgustati da tanta inciviltà. Prenderebbero la prima nave a disposizione per salpare nel canale d’Otranto, una di tante, come quella incisa all’interno della grotta. Anche lei vorrebbe partire e andarsene. Ma non può.

Grotta di San Cristoforo, nave a vela latina

Grotta di San Cristoforo, nave a vela latina

 Marco Piccinni

Bibliografia

-Rita Auriemma, Salentum a salo: Porti, approdi, merci e scambi lungo la costa adriatica del Salento. M. Congedo, 2004.

-Alfredo Cattabiani, Santi d’Italia. Vita, leggende, iconografia, feste, patronati, cult. BUR, 2004

 


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