I sarcofagi romani di San Pietro in Bevagna
Il canto di quel gallo…sembrava quasi di sentirlo ancora nonostante fossero passate diverse lune e centinaia di chilometri lo separavano da quel pennuto, tanto sacro per alcune culture ma tanto infausto per lui. Il cuore di Pietro non si dava pace per aver tradito il suo Maestro. Colui che nemmeno la morte è riuscita a vincere e che non serbava alcun rancore verso quel discepolo così impaurito da perdere il lume della ragione. Eppure piangeva ancora, era in viaggio in una missione di evangelizzazione dopo aver rivisto risorgere Colui che aveva rinnegato, umiliato dai romani e appeso con pochi chiodi conficcati nella carni ad una croce di legno con altri due poveracci. Le lacrime scendevano senza freno, intrise di un senso di colpa tale da avere il potere di tramutarle in pietra e lasciarle cadere nelle fresche acque del fiume che stava attraversando, Chidro lo chiamano i locali, a imperitura memoria delle sue cattive azioni.
E’ questa un’altra tappa dell’ipotetico tragitto che San Pietro avrebbe percorso nelle terre di quella che sarebbe poi diventata l’antica provincia di Terra d’Otranto. Un transito segnato come una marchio indelebile nel nome della località bagnata dalle acque del fiume Chidro, San Pietro in Bevagna. Ed è sempre qui, a pochi metri di distanza dalla costa ed una manciata di metri sotto il livello del mare, che giace un tesoro dall’inestimabile valore archeologico: 23 sarcofagi romani in marmo greco grezzo cristallino (tipico della cave della valle del Meandro, luogo di una delle innumerevoli battaglie tra bizantini e turchi selgiuchidi) sparsi su tutto il fondale. Un marmo usato per scolpire statue di ogni genere e forma. Blocchi di pietra modellati fino a sfidare il reale, per ricordare una persona nella vita come nella morte. Non esisteva nessuna gratificazione migliore se non quella di sapere di poter essere ricordati anche dopo l’ingresso nei campi Elisi.
Gli imponenti sarcofagi di San Pietro in Bevagna hanno un peso variabile tra una e sei tonnellate a pezzo. Una variazione dovuta alle forma e alla dimensione di ogni elemento: rettangolari, tra singoli e a doppia deposizione nello stesso blocco oppure a forma di vasca o tinozza. Sono conosciuti anche come le “Vasche del re” in quanto probabilmente destinate a ricevere le spoglie di importanti uomini della caput mundi. Era proprio l’Urbe la destinazione di questo prezioso carico trasportato a bordo di una nave lapidaria che seguiva una rotta di cabotaggio lungo le coste toccate pochi secoli prima dal primo papa di una lunga discendenza. Qualcosa però andò storto, la nave si inabissò con il suo carico che dal III sec. d.C. giace sui questi fondali sabbiosi, trovando nella colonizzazione della flora e fauna marina una nuova collocazione d’uso.
Ciò che era destinato a diventare il contenitore di resti mortali ora è una delle principali attrazioni marine dell’area, conosciuta per le sue belle spiagge ma anche per una dei più grandi giacimenti archeologici sottomarini del Mediterraneo, secondo soltanto a quello di Baia, in Campania.
Marco Piccinni
Nota: Le immagini che corredano l’articolo sono state estratte da un video girato da Giuseppe Fallone, che ringrazio, al quale si rimanda a questo link per la visione completa.