Ebrei nel Salento
Riportiamo integralmente il contributo di Ettore Vernole, pubblicato negli anni trenta sul primo numero della nota rivista periodica Rinascenza Salentina (in cui troveranno spazio storie, aneddoti, cusiosità, racconti della Terra del Salento, raccontati da Salentini o studiosi di passaggio che di questo popolo si sono perdutamente innamorati), che affronta i diversi aspetti della questione ebraica in Salento e di come e perché queste comunità si siano radicate in misura differente sul territorio.
Nel Salento, non meno che in qualunque altra regione d’Italia, la storia dell’attività degli ebrei registra fatti e vicende alterne ed altalenanti di favori e di contrasti, di agevolazioni e di persecuzioni, che ben si spiegano con lo sguardo panoramico e retrospettivo, al quale non sfuggono i fenomeni sociali contingenti o permanenti che a quei fatti e vicende dettero origine; ed egualmente con un cotale sguardo si può spiegare il perchè in una città di questa regione — Gallipoli — sia spirato costantemente vento favorevole alla attività degli ebrei, anche in contrasto tacito e talvolta aperto verso altre città della stessa regione di Terra d’Otranto.
Nè in questa regione l’attività giudaica si esercitò esclusivamente nella mercatura e nell’usura, chè dal fondo medioevo fino ad epoche piuttosto recenti non son rari i nomi di ebrei preclari per lettere e filosofia e scienza che riscossero larga estimazione nel Salento. Achimaaz da Oria nella storia (cronaca 850-1054) il rabbi Schefatia di lui figlio, poeta e astrologo; Schabthai Donnolo pure di Oria medico e filosofo insigne del secolo IX; la scuola di Otranto nel secolo XII; e così via fino al secolo XV et ultra. Mahi, Isaia Vellutaro, Hector de Florencia (Magistri) e sopra tutti Abramo de Balmes medico e filosofo celebrato e stimato nato a Lecce, medico a Napoli, professore a Padova illustrarono la regione ove nacquero e la stirpe d’Onde provenivano.
Tuttavia nel Salento ventoso soffiarono venti contrari a danno degli ebrei, tacciati di usura e peggio secondo il costume dei tempi — è vero — ma sopratutto per artificio di categorie interessate cui giovava ripetere la favola del lupo e dell’agnello.
Fiorentini e Veneziani, in Lecce capoluogo di regione, e nelle città marittime propizie ai traffici, tenevano banchi e mercatura floridamente, e vendevano a sfacciata usura panni, ferri, lignami, pepe et altre mercantie (Libro Rosso di Lecce, pag. 1173 anno 1471) per multo majore prezo che volevano, e i cittadini perdevano da lo comparare a lo vendere talvolta lo terzo et talvolta lo quarto et meno secundo che se potevano accordare, et talvolta lo mercante in la sua medesima apotega comprao quelle robbe che ipso stesso haveva venduto in quello al medesimo per el mancho prezo o vero le faceva comparare d’altri con el quale el mercante era partecipe et haveva intelligencia, et cussì el mercante veneva ad dare dui botte al povero homo, uno al vendere chi lo contava le robbe più che valevano et l’altra al comparare che facevano per minor prezo, et lo povero homo per poter retrahere el denaro li bisognava tacere. Dove si racconta che i cittadini, ricorrendo per prestiti a mercanti Veneziani e Fiorentini, firmavano la dichiarazione di debito per la somma chiesta in prestito, ricevevano merce invece di denaro a calcolo di fame, poi per convertirla nel denaro di cui abbisognavano eran costretti a rivenderla in quello dì medesimo alla stessa bottega a prezzo vile e li bisognava tacere senza dolersi delle dui botte.
A cotali mercanti tornava comodo far ciò senza la concorrenza dei banchi ebrei, e soffiavano nel fuoco nell’odio religioso secondo che consentivan le correnti delle stratosfere politiche, come ed esempio all’epoca degli Aragonesi i quali favorivan gli ebrei e seppero le vendette della Serenissima inferte in punti sensibili del Reame come Brindisi e Otranto e sopratutto nella olocausta Gallipoli (1484). Le comunità ebraiche nel Salento furono antiche e numerose. Al dire di Achimaaz da Oria rimontano all’epoca di Tito dopo la distruzione di Gerusalemme, e fiorirono a Taranto, ad Oria, ad Ostuni, ad Otranto, a Nardò, a Lecce, a Brindisi, a Gallipoli fino al secolo XVI. La produttività della regione. e il suo pingue traffico costiero coi popoli levantini che fu grandioso specialmente nel porto di Gallipoli, resero propizio l’acclimatarsi delle colonie giudaiche nel Salento: non potendo possedere proprietà terriere per il pregiudizio giuridico di quei tempi, investivano i loro capitali nel credito e nella mercatura, mentre gli ebrei poveri vivevano alla periferia della colonia giudaica con i mestieri specializzati (caratteristico quello della tintoria col campeggio, nero — con l’urlaci, indaco — con la chiurazza, giallastro — con lo zuppino, rosso bruno — con la cocciniglia, rosso vivo — con il croco, giallo — con la vetusta porpora della conchiglia murex, paonazzo, ecc.) oppure col piccolo commercio di robe usate o di stracci e sopratutto di mercerie e fettucce (zagarelle).
Le popolazioni salentine, seguendo l’intolleranza millenaria, non guardavan con simpatia questa gente che adunchi aveva il naso e le mani, ma per necessità dell’agricoltura e del commercio ad essa ricorrevan volentieri e sorridenti per prestiti. E per tale funzione economica e sociale eran tollerati e talvolta carezzati gli ebrei, e per far salvo lo scrupolo religioso li si induceva a farsi cetadini o a farsi christiani : al quale espediente costoro accedevano contro voglia e in apparenza, pur di godere le franchigie largite ai naturali del luogo.
La qualcosa non fu una specialità generosa di Gallipoli, come scrisse il Canonico Francesco D’Elia nell’articolo citato in epigrafe — invece fu comune in tutta la regione perchè in ogni luogo di essa si utilizzavan le attività dei tollerati.
In Nardò (notisi per quanto dirò) fu prescritto che le 50 case delli giudei contribuiscano come l’altri cetadini (Arch. Prov. di Lecce, Università di Nardò, 1469 e Diplomi del 1465 nell’Arch. Vescovile).
In Ostuni nel 1495 (Libro Rosso Ostuni) si trattò di Christiani novelli, cioè ebrei convertiti, e di marrani cioè ebrei convertiti per paura e in apparenza.
In Lecce avevano comunità indipendente e finanche la Sinagoga e il cimitero, e foro sempre incorporati et uniti cum la dieta Università, contribuendo in omne peso et pagamento, et cussì gaudendo omne previlegio et immunità quali gaudevano li altri cetadini (Libro Rosso di Lecce, anno 1467).
In Brindisi avevano diritto alla cittadinanza, tanto vero che nel 1472 ne venne divieto, ed in quella città ebbero benefici dei quali si disobbligarono abbondantemente, come vedremo.
In Otranto tenevano scuole, a Taranto ed Oria avevano con i cittadini pari convivenza che altrove.
In tutta Terra d’Otranto, dove i traffici fervevano per attività non giudaiche, l’elemento giudaico ebbe funzioni sociali prevalentemente nel credito, e — strano!— ebbe funzioni calmieranti sulla sordita usura dei banchieri non ebrei. Al punto che la città di Lecce, mentre nei rivolgimenti avvenuti nel 1463 dopo la morte di Giannantonio Del Balzo Orsini conte di Lecce e principe di Taranto, aveva scacciato gli ebrei con saccheggi ed incendi, sentì ben presto il bisogno di riaverne la presenza perchè la loro assenza procurava danno: ” … in civitàle Licii… nonnulle novitates et scandala con tra judeos cives et habitantens illius propter que nonnulli ex judeis ipsius civitatis a cioilate ipsa discesserunt et in diversis locis et partibus hujus regni ad babitandum se contulerunt, nec, ad civitatem ipsam Licii usque adeo rediere, quod reipublice ipsius civitatis non modum redit in dapnum. ” (Libro Rosso di Lecce, 1464).
In sostanza avveniva ciò che è sempre avvenuto avviene ed avverrà tra debitore e creditore; nel chiedere il prestito son sorrisi e cerimonie, alla scadenza son dolori, e se contigenze o crisi generali fan numerosi i debitori insolventi, la moltitudine di questi divien chiassosa o putacaso incendiaria tanto contro ebrei medievali quanto contro esattori fondiarii del secolo ventesimo.
Ma a cose finite — sguardo attorno — si conchiude : ” ed ora? … ” Insegni, per tutto, quel che avvenne a Brindisi e Nardò, e quel che seguì in contrasto a Gallipoli. A Brindisi non meno che altrove si risentiva l’utilità sociale dei banchi ebrei, al punto che nel 1409 si fece istanza a Re Ladislao di concedere agli ebrei ivi dimoranti di prestare ad usura con assoluzione d’ogni pena comminata dallo Stato e dalla Chiesa: “Ladislaus Dei Grafia etc. Universitati et hominibus civitatis Brundusii… cuius rei causa ad paupertatem ipsam babilius tollerandam et pro eorum possessionum eorum introytus, fructus et redditus vendere quasi pro nihilo et alienare solebant, quod cessit civibus et hominibus ipsis ad maximum incommodum atque damnum. Et ad importabile damnum huiusmodi evitandum… ordinastis quod singuli Judei existentes et habitantes in eadem civitate, ac alii ‘venire volentes ad habitandum et morandum, in illa mutuare possent… pecuniam ad usuram, et recipere mense quolibet mutuando per Judeos eosdem, ac eis licenliam mutuandi dictas pecunias et recipiendi dictum tarenum unum pro quolibet uncia….”
Ma il 12 marzo 1495 in Lecce avvenne una feroce cacciata di ebrei con incendi e stragi, e due giorni dopo gli ebrei di Brindisi fiutando il vento infido fecero buon viso a cattivo giuoco mediante un formale atto di rinunzia. Con istrumento del 14 marzo 1495 del Notajo Nicola De Lacu di Brindisi, in confronto con i rappresentanti della città, i maggiorenti della comunità ebraica, “Altobello Mara, Masello Mara, Moisè Rubali, David Mara, Agaro de Chiuri, Samuele Tudesco, Abramo De Parillo, Josuè de lo Amarato, Salomon de lo Ayro, Jacob de lo Amarato, Moysè de Sterella, Bonanasca de Vivante, Raffaele Bollonfante, Jacullo de Pariello, Lazaro e Donna Denora Theotonica seu Tudesca, hebrei de Brundusio, promictentibus tam eorum nomine quam nomine et pro parte socius Universitatis Judaice ditte civitatis, sponie et voluntarie non vi dolo malo metu aut suasione aliqua inducti set de eorum mera gratuita libera et spontanea voluntate asseruerunt coram nobis” che in vista dei grandi servigi e benefici largiti e da largire agli ebrei da parte della Università e cittadini di Brindisi, rinunziavano a tutte le somme dovute ad essi ebrei fino a quel giorno a qualunque titolo, e restituirono tutti i pegni fin’allora tenuti in garenzia. L’atto fu stipulato nella Giudecca di Brindisi, in ponte turrium macis diete civitatis extra castrum, e fu prestato super lege More bebreorum juramentum.
Quel documento, però, ebbe l’effetto d’una cambiale estorta con la rivoltella in pugno, e ben presto fiaccarono i piati giudiziari degli ebrei con quei destreggiamenti e cavilli che ad essi suggeriva l’epoca ostile; e siccome per sovramercato la città di Brindisi fu nel 1496 ceduta a Venezia in pegno con altre città adriatiche nel Regno di Napoli, e gli ebrei sapevano in che grazia stavano presso i Veneziani che erano più maestri di essi nella mercatura e nella banca, così alla chetichella emigrarono in Gallipoli 240 ebrei raggruppati in 50 famiglie, ben pochi rimasero a Brindisi.
L’Università di Gallipoli si affrettò a chiedere ed ottenere da Re Federico d’Aragona, del quale godeva particolare amicizia, il capitolo 23 nel Diploma del 18 maggio 1497 (Libro Rosso della città di Gallipoli): “Item perchè sono molti giudei et Christiani novelli (cioè ebrei convertiti) quali pretendono ad farsi cetadini, et habitare qui nella città de et recercano essere franchi delli pagamenti regi, come erano franchi in la città di Brindisi, supplicano perciò alla benigna Qrazia della M. V. per poterese habitare la città, che lutti quelli giudei et Christiani novelli venessero ad habitare in città, siano franchi, immuni, et esenti de omni regio pagamento, così come erano franchi nella città de Placet `Regie Majestati “.
In Gallipoli l’aria fu salubre per gli ebrei, e vi ebbero la libertà d’impostar bene le proprie rivendicazioni giudiziarie contro i loro debitori di Brindisi, reclamando come estorto l’atto di rinunzia, nè valsero i tentativi dei debitori di ottenere dalla Serenissima l’ordine che per tutto il reame di Napoli non potessero gli ebrei esigere i loro crediti contro i perchè la Serenissima tergiversò col pretesto delle informazioni e scansò il pericoloso passo “Item ditta Università (Brindisi) se trova in grandissima inopia per li danni occorsi et causati da questa guerra: et anche voracissime et disordinate usure li fevano Judei; li quali non havendo resguardo alli sopradicti respecti intendono exigere loro debiti reprobati et iremessi per publico istrumento: per questo supplico V. Ill.ma S. se degni ordinare alli soi ufficiali presenti et futuri voglino denegare udienza alli preditti judei volendo agere per tal causa, maxime per tutto il regno de Napoli tal exactione non se permettere. Ad 5. respondetur quod circa hoc volumus sumere informationem et postea ipsi respondebimus.”
Anche a Nardò, nello stesso tempo e per le medesime contingenze, le 50 famiglie ebraiche ivi residenti subirono furiosa cacciata e guardarono all’ospitale propinqua Gallipoli ove si trasferirono ed ove trovarono aiuto per la rivendicazione del loro patrimonio rapinato. Il Capitolo 14 del Diploma del 7 dicembre 1501 di Consalvo de Cordova largito all’Università di Gallipoli (Libro Rosso di Gallipoli) dichiara “Item si supplica per detta Università di Gallipoli la predetta sua Signoria, che per essere trovati in quella città alcune case di giudei fatti cetadini, et habitanti in detta città, havendosi trovato tenere robbe, mobili e stabili in Nardò et in altri luoghi, sono state pilliate et impetrate dette robbe. Però supplica lo predetto Ill.mo Locotenente generale se degni averli per raccomandati, et ordinare siano restituite ai detti judei dette robbe, tanto presa dalli baroni come per altre persone, et ancora essere secure le persone et robbe che hanno in detta città. Placet Ill.mo D.no Locotenenti“.
Con la venuta degli spagnuoli, i cui governi si erano mostrati ostili agli ebrei e poi lo furono fino alla totale espulsione, le speranze dei debitori salentini si rianimarono, ma l’Università di Gallipoli fu vigile nella difesa, e da Ferdinando il Cattolico ottenne il capitolo 6° del Diploma del 23 febbraio 1507 impetrato personalmente nel Parlamento Generale tenuto allora a Napoli, e che dichiara: “Item perché pe ‘I passato seno venuti alcuni judei ad hahitare in detta città, et quantunque ditta Università tiene Capitoli che siano trattati franchi, come li judei de Brindisi, sono sempre molestati da alcuni officiali volendoli ponere al consorzio de altre giudeche; per questo ditta Università supplica la Maestà V. se degni confirmare ditti Capitoli et Gratie et de novo concedere che ditti judei et altri che venissero ad habitare in ditta città siano franchi come li cetadini Christiani de ditta città, e che non possono essere costretti a contribuire alli pagamenti et insoliti pagare le altre giudeche del regno; mq 23 da tale consorzio siano sempre liberi. Placet Majestati quod sercentus per nostra pro ut in possessione fuerunt, et in presentiarum existunt“.
Fu così che gli ebrei si consolidarono bene in Gallipoli, abitando ospitalmente anche nell’interno della città, ma più largamente extra moenia attorno al seno che da secoli ospitava le genti giudaiche e che da esse aveva già preso il nome di Giudecca.
Era questa una depressione delle rocce scogliose tra la prominenza del Canneto e il caposaldo della lingua di terra ferma protendentesi nel mare verso il grande scoglio isolato su cui sorge turrita la città. “Iem babet (il canonico Primicerio) — ricorda la Visita Pastorale del Vescovo di Gallipoli Monsignor Pélegro Cibo del 1567 — alium peccium terrarum facticiarum orti unius cum dimidio in circa situm prope civitatem in loco dicco la Judeca fusta litus maris et trans Ecclesiam Sande Marie de Io Canneto“.
Quel seno di mare, difeso dalla rovina dei fortunali per il frastagliamento di scogli emergenti, vicino alla vetusta fontana monumentale ellenica (la più antica delle Fontane d’Italia, come proclama Corrado Ricci nel suo omonimo aureo libro), varcato da un ponte in legno (prope pontem lignorum et in eo hodie reperitur fons aquarum diete civitatis justa litus maris et viam publicam — prosegue il testo della Visita Pastorale), da quel ponte che era un tratto della Via Trajana formicolante di traffici d’olio e mercanzie con la provincia tutta, era il sito più propizio all’attività mercantile ed usuraia degli ebrei in confronto di coloro che si accingevano ed entrar nella città commercialissima per comprare e trafficare e difettavan di denaro.
La serenità per gli ebrei spirò in Gallipoli ancor più in là della espulsione del 1539-40, come induce a ritenere la precitata Visita Pastorale, nonchè la tolleranza costante della città e l’apostasia apparente o reale di molti di essi, ma alla perfine le vicende generali storiche ebbero il sovravvento e la razza, nei pochi elementi sopravvissuti, rimase confusa e non più distinta.
Tuttavia restano in Gallipoli alcuni avanzi folkloristici ancor vivi. Sciudei (giudei) si chiamano taluni pesciolini (donzella, corius julius) striati di rosso e di giallo come le fasce di tal colore imposte agli ebrei per lo signo de ignominia; Lu Benadittu si chiama in Gallipoli il dono che la Confraternita cui si è ascritti (Cfr. le Fraterne ebraiche) ci offre nel giorno di Pasqua d’un panino e d’un’arancia e d’un uovo che or sostituisce l’antico pezzo d’agnello e d’un finocchio che or sostituisce l’amara cicoria, conforme l’antico rito ebraico (V. la mia Comunicazione al Congresso delle Tradizioni Popolari tenuto, a Firenze nel maggio 1929, Vol. Atti Ufficiali, pag. 205-211); la disposizione del letto nella stanza suole avere un certo orientamento che, se non è proprio quello verso Sion, è normale alla porta d’ingresso ed è spiegato col non voler offrire i piedi all’ingresso come avviene per un fèretro; e non son rare le case, e talvolta quelle appartenute a famiglie antiche ora estinte, che son rimaste incomplete almeno nei cornicioni del fastigio.
Inoltre vestigie ebraiche son rimaste in molti cognomi del Salento, e fra gli agnomi popoleschi di Gallipoli c’è quello di Frascate che ricorda la festa delle Frascate o dei Tabernacoli.
Ma quel che occorre per por termine a questo spunto d’analisi è il ricercare perchè mai la città di Gallipoli si pose contro corrente allo scorcio del medioevo. La ricerca va fatta nella miniera dei traffici meravigliosi che dal medioevo a tutto il settecento et ultra fecero di Gallipoli il più pingue emporio del Reame e del Mediterraneo orientale, come lumeggiano gli studii storici e le statistiche.
Nel periodo che sovrasta la fine del secolo XV e il principio del secolo XVI lo spagnolismo incipiente cominciò a far serpere nel patriziato gallipolino (reggentesi ad Università Regia, quasi a repubblica ellenica, mai soggetto a feudatario: giova ricordarlo per spiegar meglio il fenomeno che qui ci trattiene) un po’ di quella boria per la quale era vergognoso ai nobili di esercitar la banca e la mercatura. Le più doviziose e patrizie famiglie gallipoline avevan floridissimo questo esercizio alla pari con le famiglie patrizie veneziane con le quali avevan rapporti di traffici e di banca; lo fecero austeramente finchè l’epoca Aragonese non influì spagnolescamente nel Napoletano, ma cominciaron gli scrupoli con l’inizio della decadenza del costume. Abbandonare i traffici doviziosi era un peccato, continuarli attraverso gli ebrei poteva esser comodo, ed agli ebrei fu allestito un letto di rose per come consentivano i tempi. Memore di ciò, e profittando dell’equivoco borbonico per cui si vietava l’ingresso degli ebrei nel Regno di Napoli ma si traeva profitto di essi nella finanza e nella diplomazia, la Casa Rothchild piantò filiale in Gallipoli nel secolo scorso, nel palazzo Calò sulla riviera del porto, e il titolare, entrò la prima volta in città con superba vettura lanciando monete a dritta e a manca ai monelli avidi, al cospetto del popolarne estatico, il quale poi tradusse nel natìo dialetto quel nome celebre col vocabolo : lu Scirdi.
Ettore Vernole – In Rinascenza Salentina A.1, n.1 (gen-feb 1933), pagg 17-24.
Articolo originale consultabile al link: http://www.culturaservizi.it/vrd/files/RS33_ebrei_Salento.pdf