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Congrega della Maria Assunta in cielo, Botrugno

[…] Quivi esisteva un’antica cappella di rito greco, che fu poi in gran parte demolita per ricostruirla baroccamente nel 1726. Di antico non resta più che la sola abside dietro l’altare maggiore, tutta dipinta a fresco nel XIV secolo, e poi ricoperta di novello intonaco in questo secolo, quando venne in mente ad alcuni di collocarvi una cassa per custodire una brutta statua di carta pesta raffigurante un Cristo morto! Così, nelle mani dei devoti ignoranti vanno oggi scomparendo le ultime tracce di rito greco e delle pitture del medio evo in Terra d’Otranto, mentre gli archeologi vengono da lontani paesi in queste contrade per studiarle e illustrarle! […]

[…] E’ molto arduo far lo studio di queste pitture per lo stato nel quale oggi si trovano: mi basterà aver richiamato su di esse l’attenzione degli specialisti prima che sieno distrutte.

Termina con queste poche frasi, riportate nei suoi Bozzetti di Viaggio, la visita di Cosimo De Giorgi presso la settecentesca chiesa di Santa Maria Assunta. Un’analisi che lo lascerà con l’amaro in bocca e che lo porterà a constatare come pregevoli affreschi di derivazione bizantina fossero stati stupidamente obliati da intonato bianco, con la speranza che i posteri avrebbero saputo far tesoro di questa ricchezza dimenticata.

Affresco nella congrega di Maria Asssunta

Affresco nella congrega di Maria Asssunta

E bisognerà attendere due secoli prima che il desiderio del De Giorgi trovasse compimento nei lavori di restauro e riqualificazione di questo piccolo edificio religioso, conosciuto originariamente con un’intitolazione a San Nicola di Mira fino al 1752, per poi essere consacrato a Santa Maria degli Angeli prima di passare alla sua definita e attuale denominazione 4 anni più tardi (Sancte Mariae Assumptionis), in occasione della nascita della congrega dell’Assunta, di cui diverrà sede con regio assenso di sua Maestà Ferdinando IV di Borbone il 12 novembre del 1790.

1726 la data dell’ultimo intervento, incisa sull’architrave della porta centrale, che ha visto la sostanziale modifica dell’impianto medioevale originario a rito greco-bizantino. L’unica navata oggi presente sembra essere stata allungata e stretta, operazione che ha tagliato parzialmente l’affresco absidale.

Le pitture dell’abside sono divise in tre compartimenti verticali, in quello mediano, che va da cima a fondo, appare la sola e grande figura della Vergine in piedi e colle braccia aperte che vanno a toccare l’orlo esterno dell’abside. Del volto rimane appena un frammento che comprende l’occhio destro, parte della tempia destra e dell’aureola; il resto è tutto coperto di recente intonaco fin quasi ai piedi. Nella parte corrispondente al petto della Vergine si vede il Divin Figlio chiuso in un nimbo di forma circolare; cioè non si vede, ma si indovina dall’aureola che cinge il suo capo, dal monogramma IC nel lato destro della faccia e dalla piccola mano destra sollevata in atto di benedire, a mo’ dei scismatici, tenendo chiuse tutte le dita, eccetto l’indice e il medio.

Ho detto, s’indovina, perchè nel mezzo si trova un frammento della pittura sovrapposta nel XVII secolo, nella quale fu effigiata la Vergine genuflessa con le mani giunte a livello del petto, e a canto alla faccia, fuori dall’aureola, si legge il monogramma latino M…D. Se anche mancasse questo contrassegno bisognerebbe essere ciechi per non riconoscere dall’andamento del disegno e dalla tecnica adoperata del dipingere questa figura, ch’è certamente di gran lunga posteriore a quella sottostante.

Il parziale recupero dell’affresco, in parte mutilato dall’apertura di una porta, ha messo in luce dettagli sconosciuti al De Giorgi, come il Padre Eterno che sovrasta Maria e suo Figlio (nella raffigurazione classificata come Platytera), accostato dai simboli del tetramorfo che identificano gli evangelisti, e reggente una pergamena nella quale annuncia al mondo in greco “Io sono l’alfa e l’omega“, il principio e la fine di ogni cosa. La fine, concetto rimarcato anche dalla forma della cornice che incorona la Vergine che, secondo alcuni, indica l’ultima lettera dell’alfabeto greco, ossia l’omega.

Nel semi-cilindro inferiore due santi vescovi a grandezza naturale, identificati con  San Basilio e San Giovanni Crisostomo, srotolano dei lunghi cartigli con testo in greco recitanti il principio di due orazioni di San Basilio. Rivolgono entrambi il viso verso la luce, il Cristo, proveniente da una piccola monofora, che a sua volta  sovrasta un altare adorno dei doni eucaristici del pane e del vino. Secondo Sergio Ortese “una prima indagine dei soggetti e delle scene svelate con il restauro fa pensare che quanto resta del ciclo pittorico intendesse tradurre con le immagini un complesso e articolato discorso sul significato dell’eucarestia e sulle forme in cui Cristo si è manifestato nel corso della sua storia eterna”.

Altare liturgico bizantino affrescato

Altare liturgico bizantino affrescato

Marco Piccinni


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