Grotta di cava Zaccaria, Ostuni
Calcari di Altamura, formatisi in ambienti marini poco profondi fortemente influenzati dalle maree, e calcari di Ostuni, così volgarmente detti, tipici di fondali sommersi a grandi profondità a elevato moto ondoso. I primi sono caratterizzati da una successione stratigrafica laminata con rudiste di piccole dimensioni, i secondi sono più porosi e composti da calcari organogeni, irregolarmente stratificati con grandi vuoti per la presenza di fossili di vari tipi. Dalla sovrapposizione di questi due lito-tipi ha origine il vasto campionario carsico di Ostuni che conta più di 50 grotte, tra cui il complesso di Grotta di Cava Zaccaria e Grotta delle Volpi, secondo in Puglia per dimensioni dopo le grotte di Castellana.
Formatisi proprio in una zona di contatto tra i due calcari che offrono una diversa resistenza all’azione erosiva dell’acqua, la grotta di Cava Zaccaria ha una lunga storia da raccontare, lunga quanto i suoi oltre 2000 metri di corridoi su un dislivello massimo di 84.
Dopo le ultime scoperte sul finire degli anni 60, relative a grotta Sant’Angelo, il sottosuolo ostunese sembra tacere per oltre un decennio fino a quando una segnalazione dell’archeologo Donato Coppola, nel 1980, porta sette speleologi del Gruppo Grotte Grottaglie (GGG) ad esplorare nel mese di ottobre un lungo e basso corridoio il cui ingresso emerse dal fronte di una cava attiva. Era quello che sarà definito il corridoio candido, costellato da stalattiti eccentriche, immacolate, lungo appena 50 metri, che si andava via via stringendo in uno stretto budello che non lasciava intravedere alcuna speranza di poter essere oltrepassato.
Fu un lavoro di mani e martelli quello che permise di abbattere una grande parete di alabastro spalancando l’accesso a quelle che sembravano essere le regioni più remote delle grotta. Si aprì la strada ad altri 500 metri di quello che diverrà comunemente noto come “il ramo superiore”: la sala dei cristalli, la sala delle razzie, la sala delle vasche, il corridoio argilloso, il passaggio della speranza, l’antro della risalita, la caverna del gran caos, sono i nomi con i quali vennero battezzati i nuovi ambienti esplorati. 600 metri raggiunti. Nessuna informazione topografica e fotografica. Alcuni anni di silenzio. La grotta non sembrava destare ulteriore interesse se non nelle giovani mente delle nuove leve del GGG che perseverarono nella loro ricerca in quello che verrà definito l’anfratto della disperazione. Si, la disperazione di uno speleologo rimasto incastrato per ben 3 ore nel tentativo di oltrepassare uno stretto passaggio, e quella dei giovani speleologi che incuranti di mani lacere e tagli su tutto il corpo continuavano incessantemente a martellare. Contro ogni più rosea aspettativa si aprì un varco che permise una ripida discesa in un ramo inferiore, oggi noto anche come ramo della Via lattea, per piombare nel buio più tetro dell’imponente sala della grande colata. Siamo nel 1985. Rilievo fotografico e topografico concludono l’esplorazione.
La notizia delle nuove scoperte si sparse a macchia d’olio attirando nella grotta dei veri e propri “bracconieri” di calcite che in breve tempo fecero razzia di ingenti quantità di meravigliose concrezioni. A nulla servirono le denunce del proprietario della cava che vide come soluzione ultima quella di chiudere l’ingresso della cavità con poderosi massi.
Arriva il 1994: una lacuna di informazioni catastali su alcune delle gotte ostunesi porta lo Speleo club Cryptae Alieae a voler intraprendere un nuovo studio approfondito all’interno di grotta di Cava Zaccaria. Nel frattempo l’ingresso era stato nuovamente disostruito. Agli scarsi successi esplorativi di questa annata, conclusisi con la scoperta di alcuni passaggi e piccoli ambienti del ramo superiore, fecero seguito le grandi conquiste dell’anno successivo, quando l’esplorazione dei rami sotterranei, risalendo una finestra sulla parete terminale della grande colata, condusse gli speleologi in nuovi ambienti attraverso sale franose, pozzi e cunicoli stupendamente concrezionati da bianchissime forme cristalline (accompagnati dalle inmancabili barrette di cioccolato, fichi secchi e te caldo), identificando inoltre il collegamento con la grotta delle volpi. Si arrivarono a contare 1885 metri di corridoi su un dislivello di 81.
Nel biennio 1996-97 si avviarono delle spedizioni più approfondite che portano nove speleologi a disostruire l’ingresso a nuovi ambienti nella Via Lattea, superando il secondo chilometro di cunicoli esplorati. Dopo 17 anni di ricerche sembrava che il complesso delle grotte di Cava Zaccaria non avesse altri segreti da svelare fino a quando, nel 2004, il Gruppo ‘Ndronico di Lecce, il Gruppo Ricerche Carsiche di Putignano e il Centro Speleologico dell’Alto Salento di Martina Franca arricchiscono l’insieme delle diramazioni della grotta con il ramo della tartaruga, caratterizzato da un’incredibile bellezza, varietà e diffusione del concrezionamento.
È davvero la fine?
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Marco Piccinni
BIBLIOGRAFIA:
Carlos Solito – Zaccaria, inseguendo un sogno sempre più reale. Speleologia, semestrale della Società Speleologica Italiana, n° 36, Giugno 1997.
Marco Delle Rose, Mario Parise – Le grotte di Ostuni in relazione alla locale serie stratigrafica, Pugliagrotte 2003, Bollettino del Gruppo Puglia Grotte Castellana-Grotte