Grotta del Leone, Porto Badisco
“Come in cielo così in terra” recita uno dei versi di una nota preghiera cristiana che, a sua volta, riprende concetti cultuali e religiosi afferenti culture lontane nello spazio e nel tempo in odor di paganesimo. È nel cielo che sono state disegnate costellazioni che ricalcano oggetti e animali terreni. Un piccolo zoo che si muove con estrema lentezza tra cianfrusaglie astronomiche, navi e personaggi mitologici. Spesso, però, quello che è stato lanciato in cielo tende a ricadere sulla terra, come un leone.
È a questo animale che è stata dedicata una grotta nella baia di Porto Badisco, scoperta dal Gruppo Speleologico Salentino, la quale sembra ruggire nelle giornate in cui il mare, poco distante, facendosi spazio con prepotenza tra le condotte sommerse e sotterranee che collegano la cavità all’enorme distesa d’acqua tramite una falda anchialina, amplifica il rumore irruento dell’acqua nella piccola caverna.
In occasione di una campagna bio-speleologica, condotta nel 2004, in seno al complesso acquifero di Porto Badisco, da quella che è stata soprannominata la “squadra 1”, composta da Isidoro Mattioli (co-scopritore della Grotta dei Cervi), Bruno Capilungo, Claudio Calasso, Alessandro Albertini e Simona Franco del Gruppo Speleologico Salentino con la partecipazione di Gianni Nardin della sopraintendenza archeologica per la puglia di Taranto, sono stati indagati alcuni acquiferi presenti all’interno di Grotta dei Cervi, del Cunicolo dei Diavoli e, per la prima volta, anche quello presente all’interno della piccola grotta del Leone. Durante la fruttuosa indagine è stato possibile rilevare, all’interno della falda lievemente salmastra della tortuosa grotta, ben due specie di crostacei stigobionti (organismo acquatico sotterraneo) quali Spelaemysis Bottazzii e Typhlocaris salentina.
Il primo porta il cognome di un fisiologo, Filippo Bottazzi, considerato il padre della biochimica italiana, nato e morto a Diso. È un crostaceo cieco diffuso nelle acque sotterranee della sola Puglia ad esclusione del subappennino dauno, e raggiunge lunghezze comprese tra i 6.5 e 13 mm. È stato raccolto per la prima volta nella grotta Zinzulusa nel 1924 .È privo di pigmentazione come la maggior parte degli organismi ipogei, ha antenne molto lunghe e un carapace che lo ricopre per un terzo della lunghezza del suo corpo. Si alimenta facendo affluire il cibo alla bocca mediante delle piccole correnti idrodinamiche che genera muovendo alcune appendici del suo corpo, oppure staziona su grandi pezzi di cibo o roccia calcarenitica per sminuzzare e filtrarne il nutrimento. In mancanza di altri apporti proteici può divorare i suoi compagni morti dopo poche ore. Riesce a sopportare notevoli variazioni di temperatura e salinità, caratteristica che gli permette di vivere in acque sotterranee e salmastre vicine alla costa.
Il suo compagno di stanza invece, la Typhlocaris salentina, è stato scoperto anch’esso nella Zinzulusa, per la prima volta nel 1922, per poi essere identificato anche all’interno dell’abisso di Castro, in un pozzo artificiale ad Ostuni e a Mola di Bari, e in alcuni siti del Gargano. A differenza di molte altre specie, drasticamente adattate a vivere in grotta, questo crostaceo ha resti di cornea e di pigmento nei peduncoli oculari. È in grado di emettere alcuni suoni, simili a stridii, che utilizza, probabilmente, per difesa. Si ritiene che possa appartenere ad una famiglia di forme di vita paleo-mediterranea, relitte di una fauna che viveva in climi subtropicali e sopravvissuta a drastiche variazioni climatiche in alcuni sporadici complessi ipogei. È il più grande stigobio finora conosciuto nelle acque sotterranee pugliesi con i suoi 13 cm di lunghezza. Si nutre di insetti presenti nel guano, materiale calcareo e frammenti di diatomee.
La grotta è ubicata tra il buco del diavolo ed il ramo est di Grotta dei Cervi. Il suo ingresso, un basso, lungo e tortuoso cunicolo, passa quasi inosservato tra gli ombrelloni e sdraio dell’estate salentina nonostante l’orda di turisti che invadono la caletta nei mesi della canicola.
Il 28 agosto 2016 è stata oggetto di una giornata ecologica, voluta ed organizzata dal Gruppo Speleologico Tricase (GST), volta alla completa pulizia dell’invaso, inquinato da polistirolo, bottiglie di vetro e plastica, indumenti, latte e plastiche varie, trasportati dal mare all’interno della cavità in occasione delle alte maree. Diversi sacchi dell’immondizia sono stati estratti riportando, almeno temporaneamente, l’ambiente ipogeo al suo stato originario.
Marco Piccinni
Bibliografia
Giuseppe L. Pesce, Ninì Ciccarese, Raffaele Onorato – Ricerche biologiche nell’acquifero del complesso carsico di Badisco (Otranto), in Thalassia Salentina, volume 27 (2004)
Emanuele Rossi, Salvatore Inguscio – Animalia tenebrarum. Biospeleologia pugliese – Idee Multimediali (2001)