Grotta Palombara, Castro
“La costiera è squallida, chiazzata di macchie sanguigne, corrosa e franata alla base, irta di scogli fulminati, fra i quali verdeggiano cespi di mesembriantemi, di sedi e di capperi selvaggi che subiscono una concia naturale sotto gli spruzzi del vento e dell’acqua marina.
Più in là ricominciano le grotte. La prima è il così detto canale di Ciristoi, stretta ed altissima spaccatura della collina, e nido sicuro ai piccioni silvestri. Segue a questa il canale della Palombara. Comincia la sinfonia d’un gran spartito! Voghiamo pochi altri metri ed alla svolta di un promontorio eccoci di fronte alla grotta della Palombara.
Questa grotta non la cede, né per bellezza, né per grandezza, a tutte quelle fin qui osservate; eppure nessuno l’ha mai descritta e pochissimi l’hanno visitato! Io ne ho parlato nelle mie Note geologiche sulla provincia di Lecce (1876), dopo averla visitata nell’agosto del 1874. La Zinzolosa, meno importante di questa, ha avuto invece gli onori di dotte monografie scritte dal Brocchi, dal Botti e dal Costa, e di certe fantasie poetiche cantate da monsignor Del Duca, vescovo di Castro, nei primi di questo secolo.
La grotta della Palombara è inaccessibile per via di terra. Una parete di oltre sessanta metri di altezza piomba a picco sul mare! Un ampio recinto a staffa di cavallo la precede; sembra il vestibolo di un grande anfiteatro! Nel fondo si scorge una buca triangolare che ha l’aspetto di una porta gotica, e riflette il suo arco a sesto acuto sopra un mare verdastro, tranquillo e profondo che oscilla e tremola come la laguna di Venezia.
Penetrandovi, l’occhio rimane stupefatto, perché lo spettacolo, a differenza della grotta Matrona, qui si presenta d’un tratto dinanzi ai nostri sguardi. Osservate che volta gigantesca, che cupola maestosa da digradarne quelle del Michelangelo e del Brunellesco! Le pareti son tinte di qua di rosso porpora dalle coralline e dai licheni, là di verde smeraldo dagli scolopendri e dal capelvenere; più in alto son brizzolate di color giallo di solfo, o diasprate di violetto, di azzurro, di rosa, di grigio-perla. Gli scogli smaltati di cristallini di calcite luccicano come brillanti; e le stalattiti che penzolano dalla volta somigliano a ceri di paraffina!
La barca volge la prora al nord della grotta e la cupola per che si sollevi. I colombi, che nidificano fra i crepacci della rupe, sorpresi dalle grida dei cacciatori, trovano un asilo sicuro nel vertice della cupola. E la luce del sole che in parte si rifrange e parte e si riflette sul mare, alla porta d’ingresso, produce dei riflessi bellissimi sulle pareti. Quanta calma e tranquillità infonde nell’animo questo spettacolo naturale! Anche a non essere artista, lo si diventa!”
È questa la quasi toccante descrizione che Cosimo De Giorgi nei suoi Bozzetti di Viaggio, sul finire del XIX sec., dà della Grotta Palombara, alla base dell’acropoli della fortezza di Castro. Una delle tante grotte che costellano il litorale ma che, più delle altre, sembra aver attirato l’attenzione del nostro poliedrico scienziato che arriva addirittura a screditare grotta Zinzulusa, sicuramente non ancora indagata archeologicamente come avrebbe meritato all’epoca, ma di indubbio impatto estetico per la presenza delle sue innumerevoli concrezioni.
Le ultime campagne di scavo nel Castrum, con il ritrovamento del busto della dea Minerva, hanno fatto passare quasi in secondo piano un’indagine archeologica, parallela alla prima, in prossimità del pianoro di località Palombara, ubicato tra l’acropoli e l’insenatura in cui si apre l’omonima grotta raggiungibile tramite un suggestivo percorso che si snoda attraverso un lungo tratturo, quasi rettilineo. Qui sono stati identificati i resti di un insediamento dell’età del bronzo con la messa in luce di un muro di fortificazione, lungo 15 metri e spesso 3, che doveva svilupparsi dalla stessa acropoli fino alla scogliera a picco sul mare. Lo sbarramento era a protezione dell’abitato che da qui si estendeva fino all’area prospiciente l’approdo di Castro. Dai livelli più antichi provengono ceramiche d’impasto della media età del bronzo (fine XVI- XV secolo a.C.), momento che segna la nascita del sito fortificato. Questo è il periodo storico in cui l’Italia meridionale, e in particolare la penisola pugliese, iniziano a rivestire un ruolo di primaria importanza nel panorama di traffici e scambi con la civiltà dell’area egea e più in generale del Mediterraneo centro-orientale e che tenderà ad intensificarsi nelle fasi successive. Al bronzo finale (XII-XI secolo a. C.), invece, si associano vasi in argilla depurata dipinti con semplici motivi geometrici. Nella stessa fase compaiono le prime produzioni indigene tornite relative a grandi contenitori per lo stoccaggio come i dolii e grandi bacini.
Sul finire del IV ed il III sec. a.C., sulle rovine del grande muro protostorico, fu impiantato un terrazzo di difesa munito di torre circolare (datato grazie ad alcune monete romane ritrovate negli strati di abbandono), costruito utilizzando lo stesso pietrame della struttura più antica. Nelle fasi successive l’area venne occasionalmente frequentata per scopi agricoli, come attestano alcune ceramiche d’età medievale e tracce di recinzioni poderali realizzate sugli strati d’abbandono.
Marco Piccinni