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TURISMO. Due “sfregi” alla sirena Leucasia

S. MARIA DI LEUCA (Le) – “Ormai il mare non si vede quasi più…”, riflettono con tristezza alcuni turisti sul lungomare Cristoforo Colombo. Come colti da claustrofobia, hanno fame di orizzonti, ma non riescono a trovarlo con lo sguardo.

Qui nell’incanto di “Finibus Terrae”, la fine della terra prima del misterioso Oriente e del Mediterraneo dei ricchi commerci, negli anni Sessanta dell’altro secolo passeggiava estasiata, elegantissima e bellissima, la principessa persiana Soraya Esfandiari e nel luglio del 1959, con la Fiat Millecento, giunse lo scrittore-poeta-regista Pier Paolo Pasolini, che osservando una corrierra (“torpedone”) di turisti, scrisse pagine bellissime (“Il demone del viaggio mi sospinge giù, verso la punta estrema… sotto la fiamma del sole… Quello scoglio divide il mare Jonio dall’Adriatico!”). Di recente è stata “scoperta ” da Tony Blair e Gerard Depardieu.

Leuca si sveglia pigra dal lungo torpore invernale (quest’anno c’è stata anche la neve) colma di turisti da tutto il mondo giunti per i due “ponti” (25 aprile e Primo Maggio), ma con due grossi “pesi” sul cuore: ancora due lidi, come se quelli che ha non bastassero e gli sfregi fatti non fossero sufficienti: un ristorante sulle “bagnalore”, e poi vie cieche, porticcioli improvvisati, un porto turistico là dove si fanno i bagni, la Grotta Porcinara con gli ex voto dei marinai al dio Baath non fruibile, ecc.
Insomma, la bellezza, patrimonio di tutti, devastata e asservita agli interessi di pochi. Di questo passo non resterà più nulla e le generazioni future in eredità avranno solo macerie.

Gli ultimi lidi (nonostante centinaia di firme con una petizione on line dall’estate scorsa) li hanno collocati proprio dove sono più visibili e impattanti e impediscono che lo sguardo si perda all’orizzonte dove nella mitologia navigò Enea proveniente da Troia in fiamme, diretto alle coste laziali (Pratica di Mare) dopo una sosta a Castro (ma c’è chi dice Leuca stessa o Badisco: il passo di Virgilio nell’Eneide si presta a molte interpretazioni) per sacrificare ad Athena.

Fra i ruderi del Molo degli Inglesi, detto “Pontile”, dove tante generazioni di pugliesi e di turisti hanno imparato a tuffarsi e la “Rena Ranne” (Spiaggia Grande), a ridosso delle mitiche “bagnalore” scavate nella scogliera rossastra e di un casotto dove le signore, inizi Novecento, si cambiavano. E l’altro alle “Cinque Porte”, Punta Ristola.

Punta Meliso vista da Punta Ristola

Punta Meliso vista da Punta Ristola

Comune di Castrignano del Capo e Regione Puglia avrebbero dato l’autorizzazione a posare sulle scogliere, cioè, sul demanio marittimo, le pedane metalliche invasive, un vero e proprio pugno nell’occhio che non passa inosservato allo sguardo del forestiero giunto a “Finibus Terrae”.

Lo sviluppo turistico sostenibile, non aggressivo, rispettoso dell’anima dei luoghi è una cosa, l’obbrobrio e la volgarità che nascondono, umiliano, asservono la bellezza (irriproducibile) un’altra. E’ la password sbagliata, suicidia: l’eterogenesi dei fini: si fa pil formattando il paesaggio, si valorizza distruggendo il bello depositando la volgarità, cifra del nostro tempo. Viene in mente Nanni Moretti: “Facciamoci del male…”.

Francesco Greco


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