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Se No, di Antonio Elia

Da professore di economia a romanziere il passo è lungo. Ma Antonio Elia l’ha tentato – e con successo, senza salti mortali.

Il romanzo fresco di stampa presso l’editrice L’Erudita, Se No, lo mostra chiaramente.

Narra la vicenda di due cinquantenni che scoprono di essere fratelli sui generis: Luigi, figlio di Salvatore e di Maria, in tenerissima età è stato adottato da Luisa, mentre la madre naturale si è risposata con un vedovo che ha un figlio, Tommaso, di cui lei diventa la seconda madre.

La scoperta scombussola la vita dei due, tanto che dovranno passare due anni di percorso,condiviso nell’implacabile analisi, perché si arrivi alla catarsi.

Il romanzo percorre con una serie di flashback la loro vita, professionalmente eccellente, dirigente d’azienda Luigi, professore universitario Tommaso; ma il campo affettivo è pressoché fallimentare, per l’uno come per l’altro.

La traiettoria geografica è indicata nel titolo, che con un felice acronimo  indica il Nord-Ovest e il Sud-Est, vale a dire Torino-Milano dove accade gran parte della vicenda e il Salento, da cui erano stati costretti ad emigrare i genitori di Luigi che torna continuamente alla ribalta non solo per i rimandi memoriali ma perché lì si dipanerà la matassa che pareva irrimediabilmente arruffata.

Detta così sommariamente, la trama non rende giustizia della natura del romanzo, né per il contenuto né per la forma narrativa.

Infatti il professor Elia riesce a iniettare dosi consistenti di economia che il romanziere Elia fonde con la sociologia del Meridione e la fenomenologia delle relazioni interpersonali.

Il Sud si arricchisce progressivamente di differenti valenze, da quella culinaria a quella folcloristica, da quella storica a quella mitica. Per un lettore che vive altrove non pare vero che nel Salento sia nata e perduritanta ricchezza nell’arte, nei miti immortalati da filosofi e poeti e passati per vie sotterranee nelle saghe popolari nonché nel vissuto delle persone, capaci di affrontare le tragedie con ammirevole dignità e consapevolezza.

I percorsi affettivi dei due fratelli sono per varie ragioni accidentati, e occorre il coraggio dell’analisi, dell’introspezione, del confronto anche impietoso per far emergere contraddizioni, responsabilità, condizionamenti, limiti, a condizione che l’amore della verità non deroghi mai al rispetto, anzi alla misericordia per l’altro.

Chi leggerà il romanzo con l’occhio attento all’economia e alla sociologia si troverà costantemente indirizzato alversante affettivo dei due comprimari, ma patirà pure i sensi di colpa delle loro madri protrattisi per decenni per trovare solo in extremis la possibilità del riscatto; inoltre conoscerà le vicende travagliate e non sempre con esito felice di vari altri personaggi che a vario titolo diventano parte tutt’altro che accessoria del racconto.

Analogamente chi sarà mosso più da interessi psicologici e relazionali scoprirà di leggere con non minore attenzione la tematica dell’economia, del lavoro, dell’emigrazione.

Per la forma narrativa basti dire che l’autore sa passare con accorta disinvoltura dal presente al passato, dalla cronaca al mito, dalla narrazione al saggio, grazie all’alternanzatra flashback e tuffo nell’attualità; lo stile che nulla concede all’ovvietà e alla banalità sa essere gradevole per l’uso di metafore, per l’abbondanza delle citazioni, per la godibile descrizione di un piatto tipico del salentinoa cui può seguire la dotta e originale descrizione del pavimento museale nel duomo di Otranto.

A palati fini, a lettori nostalgici del Sud o interessati a visitarlo, ma anche a occasionali acquirenti del romanzo, viene offerta l’opportunità di passare ore arricchenti in compagnia di queste trecentotrenta pagine.

Martino Pellegrino


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