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Pajara Rita, dove accadono le cose

CONTRADA FANI (Le) – Cos’è mai la “Pajara Rita” ai “Fani” se non un topos modellato dal vento unto del sale dello Jonio e dai “sovrumani” silenzi, abitato dai gechi e dal tempo inquieto e crudele, gravido di storie emerse dalle carsicità della memoria?

E’ un grumo semantico che si innerva su infiniti livelli di percezioni, affabulazioni, contaminazioni, nel cuore nudo e vivo del Mediterraneo.
Si intrecciano echi, urla e canti dei contadini che raccolsero le ulive e i fichi neri sotto il sole, le leggende e i “culacchi” narrati all’ombra delle vigne di malvasia, di ninfe sensuali prese dalle abluzioni quotidiane e baccanti rapite da Dioniso nelle danze, satiri maliziosi, capricciosi nascosti fra le spighe a spiare e a spargere seme e briganti che mangiano fichidindia e versano il sudore fra le zolle rosse della loro patria rubata.

E se per Aristotele il tempo esiste perché accadono le cose, in Contrada “Fani” tante ne sono accadute in questi ultimi 40 anni e bisognava ancorarle alla memoria affinché non sbiadissero, oggi che viviamo in un presente ispido e volgare.

L’architetto Rosario Scrimieri è nato a Galatina (la città cara alla dea Athena), ma vive a Roma con moglie e due figlie (e nipoti) e in fuga da Gallipoli, arriva ai “Fani” (fanos, altare) nel 1980. E subito si ritrova pregno di una dolce energia: il feudo da millenni sedimenta storie, miti e leggende, dall’età del ferro alla mitica città di Cassandra e i Messapi, popolo misterioso che allevava cavalli (la forza) e api (la dolcezza), che tenne testa ai Romani imperialisti e mai si fecero dominare e assimilare.

E’ come il mal d’Africa, esiste anche il mal del Salento.

“Pajara Rita: dimora del tempo ritrovato” (Lo spazio, il tempo e il paesaggio culturale), Edizioni Nuovo Signum, Roma 2018, pp. 96, s.i.p. (grafica di Elisabetta Pallone Laura Scrimieri, cover di Francesca Scrimieri, foto di Pierpaolo Basso, Salvatore Masciullo, Daniele Schito, Fernando Sulpizi) è la storia di questa terra misteriosa che d’estate si trasfigura in altro da sé.

Una tela che tra malvasia bianca e moscatello nero, di anno in anno si intreccia come le pietre di una pajara. La casa affacciata sul Canalone diviene convivio, simposio, una piccola agorà melting-pot dove si intersecano vissuti di file estrapolati dalla memoria, percorsi artistici e sperimentazioni, visioni barocche sospese al confine del tempo che tutto consuma e del cielo di stelle voragine sopra di noi: mute testimoni le lucertole i saggie e le salamandre astute, le formiche folli e le cicale dispettose che screziano l’alba cremisi e il tramonto indaco che toglie il respiro, prima di tacere un pò.

La piccola community composta da artisti (Armando Marrocco ha casa a due passi, il critico d’arte Toti Carpentieri, ecc.), teatranti, musicisti, cantanti, poeti, pittori, scultori e performer di ogni genere, vecchi contadini e massaie, dal solstizio d’estate sino a fine agosto ogni sera si ritrova sull’aia con un’idea su cui speculare, fino allo zenith del Ferragosto, quando alla “Pajara Rita”, e ai “Fani”, è festa grande.

Fra cibi cucinati con sapienza antica e canti, la sovrapposizione con le feste di Bacco si legge in controluce e i bambini hanno lo sguardo colmo di luce mentre giocano sotto i fichi. Domani saranno loro a ritrovare il tempo, le sue dolcezze infinite…

Francesco Greco


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