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Viaggio nel Novecento e nel cuore dell’uomo

SALVE (Le) – Cos’è mai Salve (in fondo al Capo di Leuca), il paese di Gino Meuli, se non un grumo semantico? Un topos polisemico, che racchiude un universo nelle sue infinite articolazioni, dimensioni, dinamiche? Sociologiche, economiche, antropologiche, culturali, spirituali, etiche e quant’altro?

E cos’è allora “Il Viaggio” (Edizioni Panico, Soleto 2018, pp. 160, s. i. p.) se non la scansione di un universo perduto, ma ben vivo nel nostro immaginario, evocato dallo scrittore e saggista, in pagine sublimi, dense di memoria che si dispiega come un vecchio e rustico canovaccio, ma anche di sofferenza, in certi squarci di intimo lirismo, di dolcezza e poesia?

“Freschezza della narrazione e delicatezza nell’illustrare stati d’animo e legami”, nota in prefazione il prof. Hervé A. Cavallera (professore onorario all’Università del Salento).

Non è un caso che alla presentazione (è il sesto lavoro dello studioso, maestro elementare in pensione, ricordato, amato e rispettato dai suoi ex alunni, grati) c’era tutto il paese, che molti hanno pianto quando l’attrice Elisa Maggio ha letto alcuni passaggi, in cui l’intera comunità si è ritrovata: sia quelli che c’erano che quelli delle generazioni venute dopo, ma ben coscienti che la memoria è identità, appartenenza, radici, topoi senza i quali un individuo, e una collettività, non sono niente e non sa nemmeno chi è, da dove viene, dove andare, quale futuro immaginare.

E dunque, Salve vs Sud Italia.

In queste pagine svelte, essenziali, rapide e sapide come pennellate decise a cogliere un avvenimento, un sentimento, un’emozione, uno stato d’animo e fissarlo per sempre, ci siamo tutti. Sono le piccole storie che affluiscono nel grande mare della Storia.

C’è il Mezzogiorno d’Italia dell’altro secolo, quello “breve” che inizia col fascismo e finisce col boom economico, la ricostruzione, materiale e morale, del dopoguerra, la speranza in un mondo migliore, l’ascensore sociale che Meuli – orfano di guerra: il padre Nicola è affondato nel 1941 con l’incrociatore “Pola”, nella battaglia di Capo Matapan, dapprima sepolto in Libia, poi anche le ossa spariscono, non si sa bene dove, forse sono al Sacrario dei Caduti d’Oltremare di Bari – riesce a prendere quando la società italiana aveva un suo dinamismo interno che la fece diventare la quinta potenza industriale.

Dai Trenta ai primi Sessanta dell’altro secolo, quando Meuli (origini svizzere, Canton Grigioni, discendente dei Lanzichenecchi del sacco di Roma , maggio 1527), fu bambino, poi ragazzo, quindi adolescente.

Questa ansia, si direbbe meglio “febbre” di futuro, di modernità, di lasciarsi alle spalle un mondo, quello contadino, orami destrutturato nei suoi gangli economici più che culturali, si coglie nei capitoli incalzanti del libro.

Sarà poi l’emigrazione a dare la spallata definitiva (e Salve è uno dei paesi da cui si parte, valigia di cartone, di più).

“Il Viaggio” (la maiuscola è dell’autore) si trasfigura così in un affresco potente nella sua forza dialettica e nel patrimonio di valori cui dà corpo e sostanza, che vale più di mille saggi sociologici dotti, eruditi, ma superficiali e ripetitivi.

Ma anche letto come un romanzo (oltre a Gino, la mamma Nicoletta è l’altra protagonista) riesce a stordire, commuovere, contaminarti la sua antica energia, una forza immortale che viene dal tempo e dal cuore dell’uomo, capace di restare nel tempo in divenire e di emozionare e arricchire tutti gli uomini di buona volontà, nei secoli futuri.

Francesco Greco


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