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“Comemarinella”. Un volume di poesie di Marinella Protopapa

I protagonisti di questa storia sono tre e trattandosi di una storia d’amore si pensa subito al triangolo, al classico “amour a trois” di tradizione francese: ma le cose non stanno così perché – lo si apprende subito – terza fra l’uomo e la donna è una presenza subdola e invasiva, una “compagna” niente affatto gradita e nemmeno invitata, che convive con Marinella, questo è il nome di lei, e che “è venuta ad abitarmi / senza pagare l’affitto”, come lei stessa scrive nelle prime pagine, per presentarsi e raccontarsi. E’ l’ouverture malinconica e dai toni drammatici che precede la svolta, il passaggio da un remoto su cui grava un’ombra lunga e lugubre ad un presente più sereno, inaspettatamente diverso, aperto alla speranza, una metamorfosi che “fa un baffo / al signor Kafka” (pag.47) con rispetto parlando, e che Marinella vive come una grazia salvifica, il lascito di un ignoto donatore, l’inizio di una vita nuova nel segno della guarigione e della libertà, del riconquistato “equilibrio / di questa / insaziabile / vita” (pag.23). Cacciata via la “sindrome / di nome / Peter Pan” “che non c’è” (pag.23) più, il cielo si rasserena, ed eccoci al firmamento della Protopapa, che si annuncia all’orizzonte, ecco che “imparer[à] / a dipingere le stelle” (pag.15), e poi “l’effetto terapeutico / di un’agopuntura di stelle” (pag.16) “generose e gelose” (pag.19). Sovrasta la “luce dura della luna” (pag.24) che “fa capolino nelle ore buie” (pag.27) e a volte, beneaugurante, “il sole splende / e io non posso arrendermi” (pag.48).
Anche il verso che prima era “sepolto / nella compassione delle stelle” (pag.5) si fa musica, armonia, rinasce e rivive: immensa è la devozione all’amico-compagno: “Hai messo fine / alla mia arida sopravvivenza / tu terra fertile, tu agricoltore / tu essenza, tu sole / io rinata nelle movenze / di una corolla di girasole” (pag.71), più serrato il confronto io-tu : “io corpo sfiorito / dalle fratture della vita / tu alba, tramonto, cielo / mare, terra, colore / fiore, pittore”. (pag.77) Fino ad un distacco solo momentaneo, compensato da uno squarcio di cielo notturno: “io dal lembo del mio paesino / unirò le stelle dei tuoi sogni / con ago e filo” (pag.33). Tutto, come si vede, ambientato en plein air, quasi in un empireo dalle trasparenze cristalline, specchio della fanciulla che è tornata a sperare, della donna che “nel labirinto di pensieri / senza filo di uscita” (pag.19) è riuscita a districarsi.

E la storia va avanti, si dipana poeticamente, fa spicco la padronanza della rima: semplice, “un incanto che devasta / e mi basta” (pag.19), composta, “la sinfonia / di quell’equilibrio mentale / messo male / scivola via” (pag.21), “…un giorno scaduto / il mio corpo si paralizza / il mio cervello si atrofizza / e il mio cuore / va perduto” (pag.27), virtuosisticamente intrecciata: “Sorreggimi / quando sto per crollare / ti prego non mollare / tu sei nel midollo / del mio canale / vertebrale” con assonanza ricercata e trovata in -olla / -ollo e in -are / -are, -ale / -ale. Una capacità degna di nota, che emerge con frequenza, e meritevole per il futuro di essere messa a frutto.

Il firmamento è riscontrabile anche in due dei disegni che accompagnano il testo. Sono segni sottili, elementari, da ricollegare ad un genere essenziale, naif, espressione di un’animo delicato: stelle che brillano su ritratti appena tracciati o su batuffoli di filo, e ancora fiori, foglie, un palloncino colorato, nudi, anatomie, sogni. Un cartone animato si presenta ai nostri occhi ed offre una diversa chiave di lettura e di interpretazione delle liriche. E allora Degas (con una forte immagine di ballerina) (pag.39) Monet (pag.62), forse anche van Gogh ed i girasoli di Amsterdam, si presentano e non sono stranieri: l’arte è di casa, pulsa sotterranea la pittura dei grandi impressionisti, lo stesso libro è un piccolo prezioso oggetto d’arte. Tutto è un omaggio all’Arte (con la maiuscola), inaspettato nella narrazione di un dramma, perciò ancora più gradito.

La storia ha una sua colonna sonora: De Andrè con la canzone di Marinella che dà il titolo al libro: “come Marinella / nel fiume / a primavera / e magari / solo lei, dall’alto / di una stella” (pag.21), ed era inevitabile perché è il nome stesso di chi scrive, e Tom Odell con Another love di cui si cita integralmente l’inizio perché “è una delle tue canzoni preferite” (pag.30): versi e “racconti / strimpellati / tra le corde di una chitarra” (pag.30) che hanno dato senso all’amore fra i due. Ma c’è anche un pensiero negativo, alimentato dalla paura: “Se tu scappassi via / un giorno, spero mai / io sarò sulla nostra torre / a difendermi dai bombardamenti / del mio più grande fallimento” (pag.54) (faccio notare, ancora, una arditissima, spericolata rima interna con “mutilamento”) che torna più avanti: “E se un giorno / tu scappassi/…” con una ripresa a sorpresa, deliziosa dichiarazione d’amore: “sappi che / nella tasca / della tua giacca / ho nascosto / la mappa / del nostro viaggio / senza mete…”(pag.65). Un dittico del negativo qui scongiurato, ancora un duale che ricomparirà sotto forma, questa volta, di fuga: in prima persona come desiderio di libertà (pag.19), in terza come “fuga del tempo” (pag.21), di quel tempo che ora con l’amore è dinamico, corre, mentre prima era fermo, reso immobile dalla malattia.

Ma la storia d’amore non ha fine, come fa notare l’autrice: “ti ho letto poesie d’amore / e poi ho scritto / qualcosa per te / sperando in / un lieto senza-fine” (pag.57), che fa il paio con: “come Marinella / nel fiume / a primavera / e magari / solo lei, dall’alto / di una stella / mi saprà dire / dove vanno / ad infinire / tutti i miei / desideri” (pag.21), per niente parodistico refrain ma presa di coscienza di una condizione di diffusa amarezza. Amarezza che si stempera a contatto dell’altro, nelle pagine a seguire, piene di speranza. E il libro stesso non ha fine, non è punto di arrivo ma di partenza.

Marinella Protopapa è sulla buona strada e le auguriamo che questa strada, da percorrere in due e non in tre, sia rettilinea, senza forzate deviazioni. Le sia compagna, anche, la poesia che ha contribuito a salvarla. Anche perché adesso per quanto l’intrusa Margherita forse “continua / ad abitare” (pag.12) in lei, “però sapete com’è / paga l’affitto”. Ed è giusto che paghi, in attesa dello sfratto.

Alessandro Laporta

 

Comemarinella è il titolo (in forma di similitudine con l’ellissi dell’altro termine di paragone sottinteso) di un corpus di poesie che si configura come una storia interiore intensa e, in alcuni sporadici momenti, persino drammatica. Ѐ la storia di Protopapa, una poetessa certamente dotata di ispirazione.

La lingua è strutturata in una libera versificazione, la cui fattura, tuttavia, presenta caratteristiche talvolta elaborate sia nella tessitura lessicale dei testi che nell’adozione di qualche figura retorica. Ma, nonostante queste presenze, si tratta di una lingua che è molto più vicina alla vita sentimentale della sua anima che alle tematiche di scuola ed ai formalismi di una scrittura erudita. Essa, infatti, si tiene accortamente lontana da queste involuzioni dotte e preferisce, invece, il linguaggio dei sentimenti familiari, materni e coniugali con un andamento che, a tratti, sembra incline verso l’intimismo crepuscolare.

Marinella Protopapa

E questa, peraltro, è la via che trasforma il dramma iniziale, dapprima, in elegia e poi in una conciliazione esistenziale con sé stessa in cui la poesia assume la tranquilla compostezza di una religione larica post-mitologica. Questa sembra essere, in fin dei conti, la Lebenswelt preferita da Protopapa, la misura appropriata del suo essere e del suo divenire.

Si tratta di una storia interiore che si esplica attraverso il topos letterario del viaggio (il viaggio della rinascita). Nel libretto, infatti, la linea ascendente coincide proprio con un processo di rinascita del soggetto lungo un itinerario esistenziale nel quale, attraverso l’esperienza lirica dell’Erlebnis, avviene in modo graduale la ricostituzione dell’io scisso e il conseguente ritrovamento di sé nell’amore condiviso. Il manifesto di questo itinerarium mentis è tutto scolpito in questi versi: Di una cosa sono certa/ che l’amore ti salva/ eccome se ti salva/ e tu mi hai salvata. La cosa più importante viene detta, dunque, con un linguaggio ordinario e un parlato assai informale in cui le particelle pronominali ti, ripetute tre volte e l’intensità emotiva di eccome collocano questi versi nell’ambito di un registro colloquiale.

Si può dire che questo traguardo abreativo qualifichi buona parte dei componimenti come un superamento dell’agon tra pulsioni contrapposte e quindi come l’espressione compiuta di un idillio familiare. E, infatti, quanto più si va avanti nella lettura tanto più evidente appare la rimozione lirica del dramma interiore.

Di questa storia interiore e della sua fenomenologia, che oscilla tra la scissione dell’io empirico e la ricomposizione unitaria della sua anima nella lirica, si ha un’efficace sintesi nella prima poesia che assume una funzione proemiale che ricorda il sonetto iniziale del Canzoniere petrarchesco. Vale la pena soffermarsi su di esso, cioè sul proemio, per comprendere la trama ricapitolativa dell’intero itinerario.

Il proemio e la sua non casuale collocazione sono portatori di un’illuminazione di natura esegetica, di cui occorre appropriarsi. Esso, infatti, si pone come il bilancio di un percorso travagliato affidato alla sintesi lirica. Già qui emerge la concezione della poesia, considerata da Protopapa uno strumento in grado di trascendere le debolezze dell’io e le fragilità dell’anima, ragion per cui il vuoto, il nulla e le cadute possono essere sublimate esteticamente e quindi superate. In esso un ruolo fondamentale è dato dall’incipit questo con funzione di deittico, anaforicamente ripetuto per quattro volte con climax finale nel senso di una metamorfosi che è rinascita: infatti il morire è fiorire/ poi/ nella bellezza.

Sebbene il componimento si concluda con l’immagine erotica della bellezza, esso però codifica un percorso di vita inquieto che è racchiuso tra il correlativo oggettivo per tutte le piogge/ cadute e le anafore il mio corpo/ il mio sangue/ il mio tormento/ che culminano nel morire, da un lato, e appunto il fiorire finale nella bellezza che è l’affermazione dell’eros ritrovato sul tormento della vita, dall’altro. Questo epilogo, così simbolico, spiega peraltro quanto si diceva prima sulla funzione trascendente e trasfigurativa della poesia di Protopapa, di cui la metafora delle stelle costituisce una specie di epifenomeno che percorre trasversalmente tutto il corpus.

Devo ammettere che, nelle prime poesie di questo libretto, Protopapa insiste con una certa coazione a ripetere sui temi di contrasto rispetto al viaggio della rinascita. Non importa, al momento, se essi saranno poi superati, come effettivamente succede, ma importa che la loro individuazione serva a fissare i termini del dramma interiore, la struttura di un’antitesi esistenziale.

Ad esempio nella poesia Mi sento, ci sono alcuni correlativi oggettivi (un fiume/ in piena e la diga è ceduta) che sono espressivi di una certa tensione vitale. E, se in precedenza, l’antitesi era stata tra tormento e bellezza, in E nel labirinto dei pensieri l’antitesi è tra la metafora delle stelle e il nulla mai vissuto, che anzi è negazione della vita. L’evoluzione di questo dramma, come ho anticipato in precedenza, porta al suo superamento attraverso l’amore: le antitesi vengono sostituite dall’amore coniugale e materno. Eppure, prima di questo esito, che segna il trionfo del sentimento larico, c’è un travaglio interiore che occorre esplicare nella scrittura al fine di poterlo sublimare nello stile lirico. Non sono molte le poesie dedicate a questo aspetto, ma bastano per formulare qualche considerazione.

C’è una poesia nella quale Protopapa sembra vincere tutti i suoi pudori ed offrire una sincera rappresentazione della sua psiche scissa ed è L’ho conosciuta quando ancora. Ѐ una poesia nella quale ci sono tutte e due le cose: il dramma e il post-dramma, cioè la scissione dell’io tra l’io empirico e l’alter-ego che è Margherita e la riconquistata unità interiore del soggetto.

Questa lotta titanica dentro sé stessa avviene con una selezione lessicale che è degna di considerazione: infatti non manca l’apparato retorico (con l’incipit anaforico mai della quarta strofa, l’epanalessi della seconda le ha permesso/, io le ho permesso, la metafora delle rette parallele tra i due soggetti e l’allitterazione di fiorivano fiori) e l’incursione del parlato con un registro espressivo evidentemente basso sia in apertura del dramma interiore (è venuta ad abitarmi/senza pagare l’affitto. Almeno quello. Il riferimento è a Margherita, n.d.a.) che in chiusura (Magherita continua/ ad abitare in me, però sapete com’è/ paga l’affitto).

Il parlato nella funzione di registro basso mi sembra abbastanza evidente e il suo uso anche consapevole, come pure il ricorso ad una terminologia pop che è ripresa dalla canzone di Valeria Rossi nel verso solo tre parole. A dire il vero l’uso della citazione pop si può rintracciare anche nella poesia E nell’angoscia, nella quale Protopapa riprende da Fabrizio De André i versi: come Marinella/ nel fiume/ a primavera. Tutto questo non è certo casuale. A mio avviso, anzi, c’è un’intenzionalità in merito poiché, oltre a queste segnalazioni, abbonda nel corpus un lessico di ambientazione ordinaria, di cui probabilmente l’espressione più colorita è la mia metamorfosi fa un baffo/al signor Kafka. Anche l’amore, a dire il vero, si nutre di parole e gestualità ordinarie: e tu/senza esitare/mi hai offerto/uno Jagermeister.

Di questa strategia espressiva, io credo faccia parte anche un certo gusto per le battute ellittiche e le atmosfere emotivamente sorprendenti, cioè in grado di suscitare stupore come questa: Siamo due cose diverse,/o almeno lei/è una “cosa”/, io sono/Marinella. O ancora come questa: C’è un segreto che/non conosceranno mai/gli esploratori:/gli angoli più belli/del mondo/sono quelli della tua bocca. Bisogna ammettere che la poetessa usa con sagacia la virtù di sorprendere.

L’operazione stilistica è quindi abbastanza chiara: far cozzare linguaggio ordinario e figure retoriche, parlato e stile elaborato, registro basso e metafore, lessico pop e tono appena sostenuto nell’intento di raggiungere una medietà di tipo leopardiano che non possa degenerare né nel senso di un realismo sciatto e dozzinale né nel senso di uno stile aristocratico. Sia chiaro: non voglio dire che questa operazione sia riuscita ad un livello elevato, ma che la sua trattazione ci sia è indubbio e, per questo, la poesia di Protopapa credo che si possa considerare come un’esperienza di sperimentalismo linguistico in cui lo stile colloquiale è appena alzato di tono, cioè nella giusta misura stilistica.

Forse ho insistito troppo sull’intenzionalità ad abbassare il registro, ma questo è solo un aspetto dello stile di Protopapa, come ho già detto in precedenza. L’altro aspetto è quello dell’apparato retorico, di cui la poetessa si serve per una rielaborazione del suo linguaggio poetico al fine di operare uno scarto estetico rispetto alle consuetudini di quella normalità comunicativa, tipica del registro basso e del parlato colloquiale. Ma senza esagerare o eccedere.

Un rapido ragguaglio su questa tematica segnala la similitudine (come un fiume/in piena), l’iperbole (crateri di curiosità), la metafora (un’agopuntura di stelle), le tante reiterazioni lessicali (Attimi, attimi, attimi), il neologismo infinire, i frequenti legami polisindetici e…e…e…e), la metafora (la stagione delle rondini), la sineddoche del maglione verde, l’acutezza espressiva (un lieto senza-fine), la sinestesia (il colore/ dell’amore), le innumerevoli antitesi esistenziali e poi i tanti altri aspetti formali che ho segnalato prima.

Voglio dire, in sostanza, che i due assi della lingua poetica di Protopapa sono sempre in azione: questo, appena analizzato, cioè l’apparato retorico che la rielabora e l’altro del linguaggio ordinario, colloquiale e pop che ne conserva una certa freschezza. Il fatto è che non sempre i due assi entrano in combustione traendo il massimo dal loro intreccio sperimentalistico.

Sono proprio questi i mezzi con cui Protopapa cerca la codificazione del dramma interiore, in precedenza espresso nella scissione tra Marinella e Margherita e che ora può essere meglio specificato nel suo contenuto psichico. Anche in questo caso, mi viene incontro la poesia Mi oppongo, in cui compare il tema della sindrome di Peter Pan. Può darsi che Margherita sia l’alter-ego di Marinella che si rifiuta di crescere, visto che la crescita è vissuta come un processo/ violento. In questo caso la poesia di Protopapa traduce nella lingua poetica quello che Freud chiamava una formazione di compromesso. Le immagini poetiche, spesso, sono di questa natura e, per essere poi comprese, è necessario che l’esegeta componga i pezzi come in un mosaico.

In Mi oppongo dice che la sindrome di Peter Pan non c’è: si tenga presente che, nella psico-analisi di Freud, la negazione è un’affermazione nel senso che fa riemergere, nella lingua poetica, il contenuto pulsionale o l’oggetto che s’intende negare. Infatti nella poesia L’ho conosciuta quando ancora sostiene che Margherita continua/ ad abitare in me, pur pagando l’affitto, questa volta. Non è da escludere che la pulsione negata (la nostalgia dell’infanzia) coincida proprio con la figura di Margherita. E poi in E nell’angoscia, una volta razionalizzata quella pulsione in termini non conflittuali nel mondo della coscienza, Margherita sembra essere divinizzata, astrologicamente, nella stella che osserva la trama dei desideri di Marinella.

Margherita, quindi, non è soltanto il nome di un dissidio psicologico, ma anche una polisemia che assolve più ruoli. In essa c’è sia la partner confidente che la figura che è coinvolta nell’innamoramento, ma anche una pulsione regressiva verso l’infanzia che coincide con la volontà nostalgica di rimanervi dentro, protetta dalla sua quiete. Marinella sa che proprio questa pulsione deve essere superata dall’assunzione di quei ruoli dell’amore che la portano a diventare sia moglie che mater. I ruoli dell’amore coincidono sempre con i ruoli della coscienza.

Un altro tassello importante per la complessa trama psicologica di questo corpus di poesie è dato da Se mi baci. Si tratta di un componimento che si può definire con due parole contrastanti: dualismo e idillio. Il primo esclude l’altro e viceversa, eppure dal punto di vista stilistico essi convivono nella stessa struttura. La poesia si divide in due parti: la prima è espressione dell’idillio sentimentale, ma con la novità che si tratta di un idillio a tre, nel senso che coinvolge Margherita, Marinella e Narciso. In questo caso il fiore è un riferimento simbolico al partner maschile.

Ѐ del tutto evidente che la trama dell’idillio scioglie le tensioni psico-conflittuali tra Marinella e Margherita, tra l’io e l’alter-ego: il che significa che la moglie e la mater hanno raggiunto la maturità necessaria per coabitare con i propri ricordi, compresi quelli infantili in cui possono annidarsi, in ognuno di noi, traumi e dispiaceri. Questo insomma è il tempo della felicità larica e della coscienza di mater.

Ma c’è un altro tempo di segno opposto che riaffiora dalla memoria e che costituisce, appunto, la seconda parte di Se mi baci. Il dualismo della poesia è costituito proprio da due tempi vissuti: il tempo larico della gioia coniugale e un altro tempo, il tempo del ricordo in cui ricompare un inverno/insaziabile/che ci tolse il colore/dell’amore. In questo correlativo oggettivo, c’è il ritorno del rimosso da un inconscio, ormai del tutto pacificato, che intrattiene con la mater un rapporto di reciproca intesa, come del resto anche con Margherita e con la stessa nostalgia dell’infanzia. La coscienza larica ha tacitato la conflittualità di queste pulsioni.

C’è una poesia in cui Protopapa riesce a testualizzare con un esito che si può ritenere davvero soddisfacente sia la congiunzione stilistica virtuosa tra i due assi della lingua poetica (mi riferisco al registro basso e al lessico appena rielaborato) che il rapporto tra la coscienza, che sancisce la ritrovata identità e stabilità dell’io e la memoria che fa riaffiorare dal rimosso, in forme tuttavia ormai neutralizzate, pulsioni regressive e psico-conflittuali: si tratta di Quando indosso il tuo maglione verde.

La costruzione di questa poesia è originale per tre aspetti: la sineddoche del maglione verde, le variazioni aggettivali come metamorfosi ontologica della relazione amorosa e l’acutezza concettuale finale, codificata nello stile di un parlato colloquiale. Sin qui risulta abbastanza evidente che la Lebenswelt di Protopapa sia ormai una totalità che è data dalla relazione amorosa e dal sentimento larico. Rispetto a questo mondo vitale che è un tutto, il maglione verde è una sineddoche che lo indica emblematicamente. E si noti che maglione è un termine che appartiene al linguaggio ordinario.

Proprio un oggetto così usuale e quotidiano viene utilizzato per connotare la relazione amorosa con una progressività semantica degli aggettivi possessivi che merita, a mio avviso, di essere riportata per intero: il tuo maglione verde costituisce l’atto iniziale, si continua poi con il tuo-mio/maglione verde che diventa nella terza strofa il mio-tuo/ maglione verde per concludere poi con il mio maglione verde. Mi pare molto chiaro il parallelismo tra la sineddoche del maglione verde e l’unione amorosa che si afferma progressivamente fino all’atto finale che sancisce lo status matriarcale del sentimento larico. Ecco il motivo per cui, in precedenza, ho segnalato la metamorfosi ontologica della relazione amorosa. Quanto al colloquialismo degli ultimi quattro versi di questa poesia e l’acutezza espressiva, mi sono già occupato in precedenza e non ho altro da aggiungere.

Come si vede un’indagine sull’intertestualità e un percorso interpretativo che si ispira al contestualismo semantico di un corpus poetico possono fornire risultati di un certo interesse. Ѐ con questo metodo che è stata studiata la poesia di Protopapa che, forse, avrebbe dovuto approfondire di più il dramma interiore rispetto alle poesie gioiose del sentimento larico che occupano una parte sovrabbondante del libretto.

Donato Margarito

 

È già nelle librerie di Tricase il volume di poesie di Marinella Protopapa (Ophelia), edito da Giorgiani editore, Giugno 2019, pp. 84, euro 10,00. Si tratta della prima antologia di poesie, circa una quarantina, alcune delle quali graziosamente abbinate con disegni in quadricromia ed in bianco e nero, creati e voluti dalla stessa autrice che non ha alcuna difficoltà ad utilizzare contemporaneamente linguaggi diversi per esprimere al meglio la sua personalità umana ed artistica.

Ma chi è Marinella Protopapa?

Nella seconda aletta della terza di copertina apprendiamo che è nata a Glarus da genitori (Patrizia ed Umberto) emigranti in Svizzera e che alla tenerissima età di tre anni ritorna in terra natia, Corsano, una piccolo paese del basso Salento. Marinella, sin da piccola, è “catturata” dal mondo dell’Arte; infatti, trasportata dal ritmo della passione, giovanissima si trasferisce a Roma per studiare danza, allontanandosi dai suoi affetti più cari. Consegue la maturità scientifica presso il “Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II” della capitale, ma, sfortunatamente, è costretta, per motivi di salute, a ritornare a Corsano, nonostante avesse raggiunto un ottimo livello di preparazione e un disciplinato perfezionamento tecnico nella danza classica. Prosegue comunque gli studi e continua a coltivare le sue passioni (danza, poesia, disegno…) e, nel frattempo, si laurea in Scienze infermieristiche. L’anno scorso ha iniziato a partecipare a concorsi letterari e di poesia ed è stata già premiata nella XXVI Edizione del Premio Letterario Internazionale Marguerite Yourcenar 2018, risultando seconda classificata finalista con l’opera “Ed è subito sogno”, con attestato e pubblicazione della poesia sull’Antologia del Premio Sezione Poesia e su Internet www.club.it.

Marinella Protopapa, in questa raccolta di componimenti in versi, dal titolo “Comemarinella”, premette una brevissima non menzionata presentazione affermando: Questo è il viaggio della rinascita / di un verso sepolto / nella compassione delle stelle / questo è il fiore schiuso / dalla terra umida / per tutte le piogge / cadute / questo è / il mio corpo / il mio sangue / il mio tormento / questo è il mio morire / per fiorire / poi / nella bellezza. Segue una brevissima dedica: Per Ophelia / che mi stringe / ancora. Il “viaggio della rinascita”, per fermarsi solo all’incipit del testo di presentazione, a me sembra, non solo di carattere letterario e poetico, ma anche esistenziale ed umano, cioè come momento che restituisce a nuova forma di vita, come una “catarsi aristotelica”, una “metamorfosi kafkiana”, una liberazione da un malore indicibile e travolgente che viene battuto e superato dalla poesia e, soprattutto” dalla magnificenza del creato (la compassione delle stelle…) e dalla grazia della natura (fiore schiuso; terra umida; piogge… cadute; il morire… per fiorire… nella bellezza). Altrettanto la breve ed enigmatica dedica ad Ophelia. Ma Ophelia è colei “che assiste”, “che aiuta” o, rappresenta l’amore nei suoi aspetti più vari: “devozione”, “passione”, “affetto” e “follia” o, più semplicemente, è il nome di una carissima amica? Rimane il mistero, non privo di fascino arcano.

Seguono le poesie e come le ciliegine una tira l’altra; senza titolo, corte e medie, mai lunghe, con metrica sciolta ed irrelata, tipica della poesia novecentesca. Non è difficile intravedere richiami crepuscolari, riferimenti espressionistici, ma soprattutto affinità ermetiche (in particolare Salvatore Quasimodo): Anneghi nelle tue lacrime! / La sua assenza: / due polmoni mancanti (pag. 37); ed ancora: Sorreggimi / quando sto per crollare / ti prego, non mollare / tu sei nel midollo / del mio canale vertebrale (pag. 67). Potrei continuare ancora, ma non intendo tediare oltre.

Due sole annotazioni finali: è giusto evidenziare che nelle liriche di Marinella Protopapa sono menzionati scrittori, poeti e pittori. Essi sono: Franz Kafka, pag,. 47; Guido Catalano, pag. 56; Edgar Degas, pag. 39; Claude-Oscar Monet, pag. 62 e, soprattutto, Vincent Willem van Gogh, pag. 71, il suo preferito da sempre. La seconda annotazione si riferisce essenzialmente agli aspetti tecnici e tipografici: la bella ed elegante veste tipografica con carta riciclata certificata; i disegni che sono tutti di Marinella Protopapa; il progetto grafico e l’impaginazione a cura di Marinella Protopapa e di Carlo Accogli; la prima di copertina prodotta in collaborazione con Cinzia Degiovanni e Augusto Schimera e la rilettura testi che ha visto il contributo di Francesca Casciaro.

Non ci resta altro da dire: il buongiorno si vede dal mattino!

Francesco Accogli


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