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Diso-Pisani, mezzo secolo di teatro con la “t” maiuscola

CASTRIGNANO DEL CAPO (Le) – «…sai Pippi, avevo pensato di regalare una macchina fotografica a Franco…» – disse mia madre Eleonora. «Perché no? – le rispose mio padre – è una buona idea, domani vado a Lecce a comprarla…».

Antica quanto l’uomo è l’arte del teatro e quanto il suo cuore ricca di mistero, capace com’è di toccarlo nell’intimo, emozionarlo, vibrare con intensità. Essa si intreccia e si fonde con ogni forma di arte e linguaggio: il logos, la danza, il pensiero.

Si recita da sempre, si reciterà per sempre: i Sumeri, gli Assiro-Babilonesi, gli Egizi, i Greci, i Romani, fino ai menestrelli medievali, il Carro di Tespi nei villaggi assolati: ovunque c’è una comunità che vuole ascoltare e un attore che vuole comunicare qualcosa. Perché l’uomo ha bisogno di vedere rappresentate le sue storie, i sogni, le speranze, le illusioni.

Da 50 anni, dire teatro nel Salento meridionale è dire Franco Diso-Pisani, un pioniere che ha aperto il solco (all’inizio con Maura Pacella-Coluccia, alla cui memoria è doveroso rendere omaggio) dove poi in tanti si sono immessi, con alterne fortune.

 

Eclettico, il maestro ha praticato tutti i generi: drammatico, brillante, satirico, in lingua e vernacolo, testi classici e moderni, collaudati e nuovi (“Mi è sempre piaciuto sperimentare…”), anche i più ispidi, come “Le ultime lune”, del trevigiano Furio Bordon (nel repertorio anche di Marcello Mastroianni). E senza scordare le performance nel cinema: “Aver toccato tutti i generi è la mia più grande soddisfazione…”, sorride Diso-Pisani.

Nel corso degli anni, il gruppo “storico” è stato arricchito sempre da nuovi attori e attrici che alla scuola di Diso-Pisani hanno appreso l’arte della recitazione. D’estate nelle piazze pulsanti umanità indigena e forestiera, d’inverno nei teatri alla buona, gli auditorium prestati da occasionali mecenati (free, senza nulla chiedere al vasto e composito pubblico, sullo sfondo di un dialogo non facile con le istituzioni), col suo “teatrominimo” (agli inizi “Teatro d’occasione”) ha “sedotto”, emozionato più di una generazione, declinando nel tempo il livello amatoriale in un’apprezzata e oggettiva professionalità che ha dato a lui e alla sua compagnia in toto un’affettuosa popolarità immutata nel tempo.
Iniziato nel 1976 (con “Patì sotto Ponzio Pilato”, da commedia dove lavorò anche il grande cantautore Eupremio Fersino nel ruolo di Ponzio Pilato, poi diventata un film), costellato di proposte di qualità, il percorso artistico (che tuttora prosegue: il maestro ha pronto un altro spettacolo, di cui scaramanticamente tace anche il titolo) è antologizzato nel volume “Scatti per ricordare”, Editrice Salentina, Galatina 2020, pp. 72, € 15,00.

E’ essenzialmente un album di ricordi sfuggenti, dove, attraverso le foto di scena e le locandine, ma anche la genesi delle opere rappresentate (“Tornavo da Lecce una sera in macchina, ascoltavo la radio… Scoprii che si trattava di Le ultime lune…”), scorre mezzo secolo di storia di una compagnia teatrale di provincia, ma anche di un paese, Castrignano del Capo, metafora di una terra complessa, che non si fa scoprire, fuori dal giro delle compagnie e i circuiti nazionali, che però col maestro non ha sofferto di tale marginalità, anzi, l’attore, regista e autore (ha cominciato come fotografo con una Comet Bencini II) ha assolto alla grande la mission che si è data: portare il teatro con la “t” maiuscola nelle sue infinite coniugazioni culturali dove era sconosciuto o quasi, facendo in tal modo elevare i livelli culturali del Salento. Chi mai aveva sentito parlare di Frida Kahlo? Per questo è già nell’Olimpo, avrà un posto nella Storia.

In repertorio testi non facili: da “Viaggio verso l’ignoto” di Sutton Vane a “La morta”, da un racconto noir di De Maupassant, e poi autori classici e d’oggi: Garcìa-Lorca, Molière, Aldo Nicolaj, Achille Campanile, Raffaele Protopapa, ecc. Senza scordare la rilettura del personaggio di Papa Galeazzo, il prete irriverente di Lucugnano protagonista di mille avventure (dalle Quattro Tempora all’asino acquistato alla fiera di Miggiano).

Un lavoro fatto con coraggio e passione, con grande sapienza e maestria, senza i limiti del provincialismo che marca tante espressioni artistiche della zona, quando non scopiazzate da altre realtà geografiche, culturali, antropologiche e riproposte tali e quali. E di cui resteranno tracce esigue nella memoria.

Tutto il contrario dell’arte di Diso-Pisani, che sarà custodita per sempre nel cuore del suo pubblico e la memoria di una terra che da millenni è un grande palcoscenico sospeso fra il mistero del cosmo e le zolle di terra irrigate dal sudore di uomini veri che amano la poesia e la cercano anche seduti sotto la luna davanti all’arte che accompagna la loro vita.

Francesco Greco


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